Rizzoli
2012
9788817076470
Espressione autentica di un dolore che non conosce consolazione diversa da quella letteraria, e rifugio altro da quello religioso, “Cronaca familiare” è un romanzo breve d'un'intensità e d'un'onestà impressionanti; è una narrazione esatta e gentile, e per questo fuori dal tempo, classica per la sua grande maturità e la sua semplicità. È un libro che può e dovrebbe fare compagnia a chi ha perduto qualcuno prima del tempo; non è una “Consolatio ad Marciam”, perché non ha niente di filosofico. Eppure commuove, conforta, fortifica: perché insegna ad accettare e fronteggiare il male, una volta assimilata la lezione di questi due sfortunati fratelli, orfani prima – e troppo presto – di madre, e poi l'uno dell'altro. È una lezione di dignità, di amore e di umanità. È una pagina grande di letteratura italiana.
Firenze, 1947. Pratolini pubblica “Cronaca familiare”, trattando quelle pagine come “sterile espiazione” offerta al fratello morto, Dante-Ferruccio, pagine nate come consolazione. Suo fratello, allevato prima da contadini e poi dal maggiordomo di una generosa famiglia borghese, perse la mamma ad appena venticinque giorni. Pratolini aveva cinque anni, e da allora sino ai quindici nutrì un sentimento di rabbia e di odio nei confronti di quel bambino che aveva, involontariamente, causato la morte della mamma. Che era, a quanto pare, già ammalata di spagnola.
“Mi ricordavo spesso di te, con fastidio, con lo stesso sentimento con cui un ragazzo di sei anni ricorda una cattiva azione, con un senso di colpa irreparabile. Mi veniva quasi da piangere; avrei voluto cancellarti dalla memoria. Mi è difficile ricostruire le analogie di quel sentimento. Era così come ti dico, mentirei cercando di spiegarlo. Io sentivo molto la mancanza della mamma; l'unica associazione che facevo era questa: la mamma era morta per colpa tua. Tutti ripetevano che la mamma era morta per colpa tua; nessuno pensò mai al significato che quelle parole acquistavano dentro di me” (p. 24).
Come se non bastasse, il fatto che s'era ritrovato a crescere nell'agiatezza borghese costituiva una diversa ragione di fastidio, e forse di invidia e vergogna al contempo; c'era chi faceva ironia sulla sua famiglia, che non aveva saputo allevarlo, dimenticando che suo padre era rimasto ferito in guerra. Era da poco passato il 1918. Nel 1920, il padre, riabilitato e risposato, cercò di riprendersi l'altro figlio: invano.
Pratolini, a dieci anni, andava a trovare il fratello nella sua ricca casa borghese: per lui era come vivere una doppia vita. “Le visite a Villa Rossa mi sembravano ormai una commedia. Vivevo una vita diversa, trascorrevo molte ore al giorno sulla strada, venire a Villa Rossa era per me un'avventura, una doppia esistenza che ai miei amici mantenevo segreta (…) Tutto quanto accadeva nelle nostre visite a Villa Rossa era estraneo alla mia vita, esisteva in una dimensione delle cose e del mondo che non mi apparteneva, gioco e commedia” (p. 41 e p. 46). Passarono otto anni, i due si incontravano sempre più di rado. Pratolini era garzone di bottega, Dante aveva intanto seguito il maggiordomo suo protettore e benefattore nelle sue nuove avventure, tra San Remo e Montecarlo, post mortem del padrone della Villa; quindi, era tornato a vivere a Porta Romana. I rapporti tra i fratelli non miglioravano: “Tu ed io vivevamo nella stessa città, ma era come se ci separasse il mare. Non pensavo più che la mamma era morta per colpa tua. Ti avevo dimenticato” (p. 53).
Nel 1935, 22 anni Vasco e 17 il fratellino, si ritrovarono per caso in una sala di biliardo. Il piccolo era diventato un giovane adulto: giocava con un'espressione “dura, crudele quasi” e quando s'accorse di Vasco cominciò a perdere. A un tratto, spiegò ai compagni che perdeva perché c'era il fratello; ma Vasco negò d'esserlo. “Nemmeno per sogno”, rispose. Passò qualche tempo, e fu Dante-Ferruccio a venirlo a cercare, nella casa in cui l'artista viveva, arrangiandosi come poteva; aveva avuto guai in casa, perché aveva puntato la figlia del nuovo padrone, e aveva bisogno di rifugiarsi da qualcuno. E così andava da chi, pure fratello, in tanti anni non aveva conosciuto mai. I due si trovarono - “fraternizzarono”, è il caso di dire – e assieme sembrarono costruire, con naturalezza, un grande sodalizio. Lentamente, riscoprirono le proprie vere radici; andavano a trovare la nonna, in ospizio, sempre più spesso; s'avvicinavano, man mano, a passare del tempo assieme al vero papà di tutti e due. Ma poi Vasco si ammalò, e fu una malattia che domandò due anni di cure in sanatorio, tra i monti e un lago; i due si scrivevano spesso, intanto, e in quelle lettere Pratolini riconosceva “una delle cose che mi attaccavano alla vita” (p. 110).
Passò ancora qualche anno. Pratolini riprende a raccontare dal 1944. Dante-Ferruccio veniva a trovarlo a Roma, reduce da molti mesi di ospedale. S'era sposato e aveva avuto una bambina, proprio come Vasco; ma intanto, combatteva contro un male oscuro. L'ultima parte del libro racconta la sua lotta contro il male; la sua disperata voglia di vivere; il suo ultimo saluto al fratello. Sono pagine eccezionalmente cupe, dolorose, inconsolabili. A quel dolore, e a quel distacco, non c'è risposta diversa dalla fede nell'aldilà, e in una dimensione lontana, più giusta, immacolata. Un grande sogno che nessuno può abbandonare. La descrizione della malattia, e della vita a fianco del malato, è una cosa che solo chi ha vissuto quell'esperienza può intendere; soprattutto nelle omissioni e negli intervalli di silenzio del racconto di Pratolini. Commentarla sarebbe mortificante. Immagino vagamente quanto sia stato difficile descriverla.
Ecco, questo libro è come un fiore poggiato sulla tomba del fratello. Un grande fiore, che non conoscerà inverno.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Vasco Pratolini (Firenze, 1913 – Roma, 1991), scrittore italiano; ex tipografo, barista e venditore ambulante.
Vasco Pratolini, “Cronaca familiare”, Mondadori, Milano 1960. Collana “Narratori italiani”, 68.
Prima edizione: 1947.
Adattamento cinematografico: “Cronaca familiare”, di Valerio Zurlini, 1962.
Gianfranco Franchi, novembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Un romanzo breve d’un’intensità e d’un’onestà impressionanti; è una narrazione esatta e gentile.