Voland
2003
9788888700007
“Ma sappia che è terribile scoprire la nullità di Dio da una parte e l’onnipotenza del nemico interiore dall’altra. Uno crede di avere sopra la testa un tiranno benevolo, e si rende conto di vivere sotto il giogo di un tiranno malvagio che si annida nelle viscere” (p. 24)
Può un romanzo dialogico ospitare, nell’arco di cento pagine, riflessioni dedicate all’identità, alla morte, alla alterità, all’amore, cantare la bellezza d’una donna e della lettura con sconfortante grazia e stupire e meravigliare per la capacità d’orchestrare eventi e mutamenti, senza mai risultare ripetitivo, o lento, o elementare, o artificioso? Sì – se la creatrice dell’opera è la divinità vivente Amélie Nothomb, luce della nuova letteratura occidentale di questo secolo. “Cosmetica del nemico” non scintilla forse per l’originalità dell’asse portante; è una nuova interpretazione, e una variazione, sul tema del “doppio”, che – senza scomodare Plauto o Dostoevskij o Stevenson o Borges – ha originato, nel corso dei secoli, diverse felici creazioni artistiche. Assume valore perché è un’opera di una scrittrice dall’incredibile talento, che potrebbe serenamente pubblicare (è un invito) la storia delle variazioni e delle metamorfosi della sua lista della spesa perché – ne siamo certi – mostrerebbe d’averla personalizzata e letterarizzata, rendendola assolutamente affascinante.
Chi scrive è giunto, attraverso un sentiero caotico e non lineare, alla lettura del sesto libro pubblicato dall’autrice belga: imploro il lettore di perdonare il personalismo, ma voglio gridare d’essere tanto affascinato e sedotto dallo stile dell’artista che ormai non ha più senso che m’accosti con atteggiamento critico alle sue opere; leggere un libro della Nothomb significa – quale che sia questo libro – avvicinarsi all’estasi estetica; perché è sempre intelligente, sempre appassionante, sempre coinvolgente. Sempre riconoscibile: lo stile dell’artista di Kobe è impresso a fuoco nella lingua, nella struttura, nello spirito d’ogni suo libro. Scomodo l’immagine del “dono degli dèi”, perché altro non riesco a visualizzare: sta di fatto che, mentre m’appresto a parlare di questo “Cosmetica del nemico”, guardo con insistenza i miei scaffali, dove riposa “Dizionario dei nomi propri” che ancora non ho potuto leggere (verginità prossima a esser perduta – o consacrata, dipende dal punto di vista); e agogno quella lettura con l’intensità di chi sa che a breve potrà drogarsi d’una droga splendida, crudele e rigenerante al contempo, e che sentirà qualcosa di simile alla beatitudine ogni dieci, dodici pagine. Stupefacente. Sono un lettore felice da quando ho scoperto che Mademoiselle Nothomb pubblica un romanzo l’anno. Sarò un lettore entusiasta (ma non appagato, sono insaziabile) quando il mondo intero riconoscerà e adorerà la sua intelligenza. Detto questo, torno (corrige: mi riprometto di tornare) alla lucidità e a una almeno vagheggiata impersonalità e vengo a parlarvi della trama del libro.
Storia di Jérôme Angust, in viaggio per affari, costretto ad una snervante attesa in aeroporto; e del suo incontro-scontro con Textor (così battezzato in onore alla madre di Goethe) Texel, olandese logorroico e giansenista. Textor s’avvicina alla sua vittima con atteggiamento provocatorio e aggressivo, e tuttavia fedele alla legalità: nessuna legge impedisce a un cittadino di parlare a un altro, che questi sia consenziente o meno. L’olandese arrembante semplicemente parla: in parte è un vecchio marinaio coleridgiano, che va costringendo chi ha prescelto a testimoniare la storia della sua esistenza; e in parte è daimon socratico, che va a interagire con intento maieutico.
L’olandese ingombrante si prende gioco della professione di Jérôme, che sembra aver intuito senza sbagliare, e si balocca della sua incapacità di leggere: chi non è altrove, mentre si sta godendo la lettura, non sta leggendo. Textor è sottile e invadente; le repliche di Jérôme sono invece d’una aggressività diversa, che denuncia intolleranza e insofferenza. Ne deriva un dialogo che – al di là d’un tentativo di fuga, presto sedato, del tormentato Jérôme – trascinerà con sé il lettore, letteralmente inchiodato al testo, fino all’imprevista conclusione; e si discuterà di morte, d’amore, di fede, di bellezza e di aporie e vezzi dell’umanità, fino alla nothombiana soluzione.
Capiterà di godere di passi come questo, dedicato alla letteratura e all’idolatria della bellezza: “Al mondo non c’è niente di più incomprensibile dei volti, o meglio, di certi volti: un insieme di tratti e di sguardi che d’improvviso diventano la sola realtà, l’enigma più importante dell’universo, che si guarda con sete e con fame, come se vi fosse inciso un messaggio supremo. Inutile che glielo racconti: se le dicessi che aveva i capelli castani e gli occhi azzurri, com’era in realtà, non sarebbe un gran progresso. Non sono forse fastidiose, nei romanzi, le descrizioni di rito delle eroine in cui non ci viene risparmiata nessuna sfumatura, come se questo cambiasse qualcosa? In verità, se fosse stata bionda con gli occhi marroni, non avrebbe fatto differenza. Descrivere la bellezza di un volto del genere è vano e stupido quanto tentare di cogliere, con le parole, l’ineffabile di una sonata o di un canto. Ma un canto o una sonata avrebbero forse potuto parlare del suo viso. Il guaio per chi si imbatte in un tale mistero è che non riesce più a interessarsi di nient’altro” (pp. 37-38)
Capiterà di apprezzare e detestare l’arroganza e l’insistenza di Textor: spettro di carne che non sgomenta neppure quando rivela che ama danneggiare l’alterità senza infrangere la legge, godendo dell’incapacità di difendersi delle sue vittime, o quando insulta Dio per costringerlo a una reazione che, come previsto, non si verifica (p. 23); questo, probabilmente, perché l’olandese violante ha l’irresistibile fascino d’un mistico – alludo, ad esempio, a queste sue considerazioni (inoppugnabili?): “Nulla è più potente di una mente animata dalla fede. Non importa che Dio esista o no. La mia preghiera era tanto forte e convinta da annientare una vita. È un potere che ho perduto quando ho smesso di credere” (p. 19).
E non escludo che il lettore sappia e possa partecipare dell’odiosa invadenza di Textor per via dei suoi drammi esistenziali (orfano dall’età di quattro anni), salvo poi sentirsi nauseato dall’estremismo della sua condotta; ma è tutto perfettamente e puramente letterario, si gioca alla morte e all’amore senza che ciò mai vada a intaccare la realtà; nessuna tinteggiatura etica, nessuna morale; e lo scioglimento della vicenda suggerisce altra lettura del personaggio, che – per rispetto e invidia del neofita – preferisco, almeno in questa sede, tacere.
Accompagneremo i due protagonisti in un dialogo che saprà divenire febbrile fino ad apparire delirante; che saprà toccare le corde dei più reconditi istinti dell’anima d’ogni essere umano, le sue pulsioni possessive e distruttive, mostrando quanto grande sia la conoscenza nothombiana della psiche della nostra specie; accompagneremo Textor e Jérôme fino alla liberazione – non estranea al dolore, non estranea alla menzogna, non estranea al male.
Un uomo intelligente sa che non deve negarsi nessun piacere; e che diletto più grande della dipendenza dal piacere non esiste. La scrittura della Nothomb è fonte di piacere estetico puro e totale. Viziatevi, e deliziatevi.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Ha esordito nel 1992 pubblicando il romanzo “Igiene dell’assassino”.
Amélie Nothomb, “Cosmetica del nemico”, Voland, Roma 2002. Traduzione di Biancamaria Bruno.
Prima edizione: “Cosmétique de l’ennemi”, 2001
Gianfranco Franchi, ottobre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.