Considerazioni sulla violenza

Considerazioni sulla violenza Book Cover Considerazioni sulla violenza
Georges Sorel
Laterza
1970

Il libro è nato da una serie di articoli pubblicati, dapprima in Italia, nel 1906, sotto lo stimolo dell’esperienza del movimento operaio francese, quale si era manifestato e si andava manifestando nei primi tentativi di sciopero generale e di lotta politica e di classe, nella sopravveniente crisi della democrazia rappresentativa e della pace sociale, sotto la guida dei «sindacalisti». Integrati l’anno successivo, quei primi saggi sulla violenza e lo sciopero acquistarono la fisionomia e il taglio di un lavoro organico, e diedero luogo, infine, ad un unico volume, che fu poi tradotto, nel 1909, per i tipi dell’Editore Laterza, con una presentazione di Benedetto Croce” (tratto dalla prefazione di Enzo Santarelli, p. 8).

Sorel sosteneva, nell’introduzione all’opera, di non aver avuto intenzione di comporre un libro, quando pubblicava gli articoli ne “Il divenire sociale”. Preferiva ricordare di non essere né professore, né volgarizzatore, né aspirante capopartito: “sono un autodidatta, che presenta a pochi i quaderni che hanno servito alla sua propria istruzione” (p. 55). Asseriva di aver scritto “per appunti”, formulando pensieri “così come sorgono”. Si proponeva solo di “svegliare qualche volta la ricerca personale”, affermando che “forse nell’animo di ogni uomo vive, nascosto dalla cenere, un fuoco vivificatore, tanto più minacciato di spegnersi, quanto più lo spirito abbia accolto, belle e fatte, un maggior numero di teorie. Evocatore è colui che allontana le ceneri e libera la fiamma. Non senza ragione credo potermi vantare di essere riuscito, qualche volta, a svegliare lo spirito di ricerca in alcuni lettori; e tale spirito bisognerebbe, innanzitutto, suscitare nel mondo. Ottenere questo risultato val meglio che riscuotere l’approvazione banale di gente ripetitrice di formule, o avvilire il proprio pensiero in vuote dispute di scuola” (p. 58).

Considerazioni sulla violenza” è strutturato in un’introduzione (“Lettera a Daniel Halévy”), una prefazione, sette capitoli (“Lotta di classe e violenza”; “La decadenza borghese e la violenza”; “Pregiudizi contro la violenza”; “Lo sciopero proletario”; “Lo sciopero generale politico”; “La moralità della violenza”; “La morale dei produttori”) e tre appendici (“Unità e molteplicità”; “Apologia della violenza”; “Per Lenin”).

Nella prefazione, Sorel afferma: “Il sindacalismo rivoluzionario tien vivo nelle masse lo spirito di lotta proletaria e non prospera se non dove si sono prodotti scioperi notevoli o violenti (…). Se si vuole seriamente discutere di socialismo (è necessario) cercare quale sia l’azione propria della violenza nelle attuali condizioni sociali” (p. 91). Non si tratta, scrive, di giustificare i violenti, ma di “ sapere quale compito è proprio della violenza delle masse operaie nel socialismo contemporaneo” (p. 94).

Sorel ha cieca fiducia nel sindacalismo rivoluzionario: ritiene che la violenza proletaria sia un fattore essenziale per il marxismo (p. 141), denuncia e condanna il distacco tra i “socialisti parlamentari”, “raffinati e grossolani” (p. 125), e le reali istanze e necessità rivoluzionarie. La scheda elettorale ha “sostituito il fucile” (p. 104), e non è più tempo per cincischiare e difendere le istituzioni statali: i sindacalisti non devono riformare, ma distruggere lo Stato (p. 170). Il libro è una testimonianza fondamentale, per il contemporaneo, di quanto grande e quanto assurda e tragica fosse la possibilità che il dogma marxista insudiciasse le menti degli uomini di Lettere. Sorel è morboso e ossessionato: convinto com’è che il socialismo debba “illuminare il proletariato”, illustrando la “grandezza” dell’incombente (come sempre) azione rivoluzionaria, si batte per propagandare l’opportunità dello sciopero come prima rappresaglia nei confronti dello Stato borghese. I capitoli – non di rado di difficile comprensibilità per il lettore contemporaneo, per via di reiterati richiami a uomini politici e questioni politiche contingenti alla stesura del testo – vagano, foschi e torbidi, sempre attorno allo stesso concetto: fede in quel marxismo rivoluzionario che s’è tenuto leale alla lettera del buon Dio Karl e ha rifiutato compromessi con il grande nemico – la borghesia, e il suo totem: lo Stato.

Perché tornare a esaminare questo libro? Semplice: per comprendere meglio cosa stia avvenendo nella sinistra parlamentare ed extra-parlamentare del nostro tempo. La questione, a ben guardare, non è mutata: c’è chi ancora s’aggrappa al vangelo secondo Marx e non può non rifiutare la liceità e l’opportunità della violenza, e l’essenzialità dello sciopero a oltranza, pur di contribuire alla creazione del promesso paradiso in terra (a quello nei cieli pensano le religioni, è evidente): c’è chi, con un pizzico di buon senso e di umanità in più, comprende che il sangue, le violenze e la barbarie possono e devono essere rifiutate; e che quel regime che nasce nel sangue, nel sangue morirà. Nel 2005, assistiamo ancora – pur con minor intensità d’un tempo, ammettiamolo – all’angosciante e tragicomico fenomeno dell’evangelizzazione marxista, per via di intellettuali neo-soreliani e nostalgici leninisti vari (all’insegna dell’adagio: Stalin era narcisista e accentratore: un compagno che ha sbagliato. Lenin, invece, ah…): dogma fondato sull’esistenza d’un nemico (lo Stato, in ogni sua forma: e le multinazionali, tutte), d’una razza inferiore (il non comunista: ergo, il fascista), d’una razza eletta (i compagni), con un chiaro traguardo “rivoluzionario” che garantirebbe un’adeguata libertà e finalmente assicurerebbe “l’uguaglianza” ai cittadini (“fascisti” a parte: andremmo, immagino, rieducati in apposite strutture: ameni e accoglienti gulag). Io voglio essere profeta: in tempi come questi, con qualche italiota che torna a parlare della liceità degli “espropri proletari”, con altri che s’uncinano alla vecchia dottrina del “compagno che sbaglia” (eccesso di zelo?), un saggio come questo non potrà che tornare di moda e venire ristampato. È ora.

Mi spiace solo per quelle menti della nuova generazione che sognano d’umiliare “democrazie borghesi”, e d’opporsi al “socialismo parlamentare”: meno per quei borghesi che, mimetizzandosi da proletari, da anni cercano di guarirsi dalla noia della loro esistenza infilandosi nei centri sociali. Torneranno a casa, dissociandosi. Come sempre. (V’aspetto!)

Come in passato, non saranno loro a correre rischi: ma quei figli del popolo che, prestando fede alle fandonie marxiste-leniniste (oggi: toninegriane) e alle enigmatiche e sempre fumose ambizioni “rivoluzionarie”, pregiudicheranno la loro intelligenza e la loro vita.

Valga, per Sorel, la vecchia regola: conosci il tuo nemico. Ogni libro va letto: un libro come questo è uno scrigno di idee. Si possono, ad esempio, interiorizzare interessanti lezioni di comunicazione: Sorel temeva che si potessero “rubare” e riadattare le parole appartenenti al pensiero e al lessico marxista, per screditarne l’originaria (per così dire) accezione, e rinnovarle. Splendido suggerimento. Nutrirsi di quel lessico per rovesciare quel dogma. Un borghese ti saluta.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

George Sorel (Cherbourg, France 1847 – Boulogne-sur-Seine, France 1922), ingegnere di ponti e strade, filosofo francese. Maestro del sindacalismo rivoluzionario.

George Sorel, “Considerazioni sulla violenza”, Laterza, Bari, 1970. Traduzione di Antonio Sarno. Prefazione di Enzo Santarelli. Con un'introduzione di Benedetto Croce alla prima edizione (1909).

Prima edizione: “Réflexions sur la violence”, Marcel Rivière, Paris 1908. Edizioni successive, con integrazioni: 1910; 1913; 1919; 1921; 1923; 1926. L’edizione Laterza si basa sull’edizione del 1926.

Gianfranco Franchi, marzo 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.