Ore Piccole
2007
La società industriale e postindustriale sta terminando, qui in Europa Mediterranea, la sua disumanizzante parabola: è stata dissociante, estraniante, disgregante. Ha sradicato l’uomo dalla terra, piantandolo in fabbriche e in uffici; riducendo al minimo, quando non azzerando, la socialità, la spontanea aggregazione, la percezione di adesione e di partecipazione a qualcosa di condiviso: ha fatto di un animale sociale una bestia individualista, costretta nelle metropoli a ritmi inumani e soffocanti, a giornate passate lavorando per qualcuno che spesso nemmeno si conosce, o per qualcosa che non si capisce.
L’alternativa logica – e plausibile – è quel ritorno alla vita, come si suole dire senza spesso capire altro che non sia il suono, a misura d’uomo: il che non significa inoperosa o oziosa, né facile o semplificata; significa caratterizzata da consapevolezza d’appartenenza alla terra, e dalla necessità della dedizione alla terra: significa mediata dal comune sacrificio dei cittadini lavoratori per la fortuna e la qualità del raccolto, significa ispirata da un comune e condiviso amore per quella terra, per quel popolo, per la sua storia. E per il futuro di quel popolo, e di quella terra.
La provincia di Pavia come paradigma d’una provincia ideale, in queste brevi e ispirate pagine di Cesare Angelini (Albuzzano, Pavia 1886 – Pavia, 1976), sacerdote, scrittore, poeta e critico letterario lombardo già caro a Montanelli e Piovene; una provincia amata per ogni lembo di terra, per ogni pietra, per ogni reminiscenza d’una storia che potrà ripetersi. Perché d’altra parte, “la buona terra, come a dire il buon sangue, non mente; e già se n’è visto il ritorno e il recupero. Perché la campagna, chi ci è nato può talvolta dimenticarla ma perderla, no” (p. 27). È un auspicio che l’autore sentiva di pronunciare in un periodo storico che non sembrava annunciare l’opportunità d’un ritorno come questo; è una speranza che germoglierà in futuro.
È importante – pensiamo alle nuove tendenze comunitariste, alle battaglie per la rivendicazione della centralità delle piccole patrie e della restituzione d’altra e diversa (più autentica!) identità ai popoli: finalmente estranei alla menzogna Moloch dello Stato Moderno – leggere d’una provincia come “misura etnica, geografica, amministrativa, coi suoi circondari e mandamenti che, in tempi di europeismi e di ecumenismi politici, resta sempre una realtà positiva; e, ancorandoci a un cantuccio preciso di mondo, ci aiuta a non smarrire il sentimento di noi stessi, la nostra misura d’uomini” (p. 15): questo è quanto dovremmo ripeterci quotidianamente, quando smarriamo la percezione di appartenenza a una società perché estraniati dalle sue leggi, dai suoi ritmi, dal suo disordine e dalla sua corruzione; la nostra identità coincide con quel cantuccio di mondo al quale apparteniamo, e il nostro ruolo non dovrebbe essere difforme. Siamo l’espressione del territorio. Siamo alberi che non sempre possono essere trapiantati altrove. La coscienza delle nostre radici è fondamentale, e fondante. S’avvicina il momento opportuno per rivendicarle: e per ritornare alla consapevolezza di non essere nati per essere microscopici ingranaggi di Stati poggiati sulla burocrazia. E sull’alterazione delle identità locali, in nome d’un folle e robotico centralismo.
Nella prefazione i curatori, Dadati e Fugazza, tracciano la figura di Angelini e lo spirito della sua opera: “Si può dire che la vita intera di questo sacerdote-scrittore abbia ruotato, in qualche modo, attorno al proposito, assunto volontariamente e in piena lietezza, di riconoscere e diffondere i valori della provincia, a dispetto di chi – con atti e con parole – dalla provincia strenuamente e disperatamente vuole, o vorrebbe, allontanarsi: sentendola come un concentrato di negatività, in cui allignano allo stesso modo la noia e il pregiudizio. È una visione ottimistica, perfettamente irenica, che presiede alla fantasia dello scrittore (…). Per lui la sua provincia – paradigma, si conviene, di ogni altra provincia – ha ‘una capitale che non invecchia mai perché antica’ e ‘un contado così prosperoso di vita e di opere tutte al vento e al sole, che ogni giorno qualcuno rinnova il gusto d’esserci nato contadino’ (…)”; e più avanti: “Angelini non esagera l’importanza delle memorie auliche; quel che conta soprattutto, nei paesi della sua terra, è la ‘storia feriale’ fatta dai ‘fittavoli, piccoli particolari, campari, salariati, braccianti’, dunque dai contadini, citati nelle loro svariate categorie” (pp. 5-7).
Completano l’edizione le suggestive illustrazioni di Teodoro Cutugno, artista lombardo classe 1943, cultore – manco a dirlo – della pittura en plen air.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Cesare Angelini (Albuzzano, Pavia 1886 – Pavia, 1976), sacerdote, scrittore, poeta e critico letterario lombardo. Esordì pubblicando “Il lettore provveduto” nel 1923.
Cesare Angelini, “Conoscere la provincia”, Ore Piccole, Piacenza 2007. Prefazione di Gabriele Dadati e Stefano Fugazza. Illustrazioni di Teodoro Cutugno.
Questo testo è originariamente apparso in Cesare Angelini, “Questa mia Bassa (e altre terre)”, Milano, Scheiwiller 1992, pp. 11-20.
Gianfranco Franchi, gennaio 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.