Loffredo
2006
9788875641795
Rossana Maria Caira è la curatrice – per disposizione della professoressa Michelina Tecchi – del carteggio Stuparich-Tecchi, pubblicato in questo “Con fedeltà immutata” (Loffredo, 2006), completo di un piccolo nucleo di lettere e cartoline di Tecchi a Stuparich, rintracciate dalla professoressa Giovanna Criscione Stuparich. Si tratta, nella maggioranza assoluta dei casi, di documenti inediti, di interesse non soltanto filologico.
La Caira è convinta che il sodalizio Stuparich-Tecchi sia stato un incontro di due diverse “manifestazioni di solitudine, di percezione di una società che non era quella dove i due scrittori avrebbero desiderato vivere. L'ambiente letterario degli anni Trenta deluse entrambi (…). Il mondo letterario, troppo sfiorato dalla politica e inutilmente rissoso, non lasciava vivere tranquilli né Tecchi né Stuparich, due intellettuali non schierati” (pp. 9-10). Vediamo noi, adesso, da posteri, di restituire loro – pian piano – tutta la luce e la considerazione che meritano, apprezzando la loro estraneità agli schieramenti politici dell'epoca almeno quanto le loro opere letterarie. È un impegno sensato e doveroso.
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L'edizione prende il nome da una battuta rivolta da Tecchi a Stuparich, e da Stuparich a Tecchi, trent'anni di corrispondenza alle spalle: “Pensa a me come a uno che ti ha voluto bene sempre, con fedeltà immutata”. Stuparich è rimasto, a quel punto della sua vita, con pochi amici davvero, forse per la sua “esigenza a spogliare le cose della vita, a vederle nella loro essenzialità” (lettera n. CL). Vale a dire, per la sua onestà, la sua dirittura morale, la sua natura scontrosa e solitaria. L'amicizia con Bonaventura Tecchi era nata in occasione della pubblicazione del “Nome sulla sabbia” (1925), spedito a un artista sentito spiritualmente simile, post suoi “Colloqui con mio fratello” (1925).
Scopriamo tutto questo nella lettera I, 25 settembre 1925. A scrivere è Elody, signora Stuparich. “La sua voce mi sembra quella di un amico. Non è facile, ai giorni nostri, trovare pagine serie e umili come queste sue (…). E forse ha ragione: c'è nel tono fondamentale somiglianza coi Colloqui” (p. 103).
Elody, sì. Apriamo una parentesi: Elody Oblath, ex grande innamorata (non corrisposta) di Scipio Slataper (cfr. “Lettere alle tre amiche”), quindi moglie di Giani, gioca, da subito, un ruolo non marginale nella corrispondenza. La Caira ricorda che, ab origine, il suo incontro con Stuparich, col quale “sembra trovare un affiatamento istantaneo”, era stato scosso dalla notizia dell'eroica morte di Slataper, determinando il raffreddamento del loro comune e comprensibile entusiasmo interventista. Si sarebbero amati per tanto tempo, d'un amore riservato, vero e discreto, come Giani voleva. Con tanti bambini. Chiusa parentesi.
Torniamo al 1925. Qualche giorno più tardi, Giani conferma le buone impressioni di sua moglie, sostenendo che in Tecchi sente qualità che ha sempre apprezzato: la nulla ricerca d'effetto, la serietà, la sincerità (“sola garanzia d'una coscienza pura”). E riconosce molto un famigliare “senso di solitudine” vissuto in mezzo agli uomini, con tanta angoscia per non saperlo vincere. Tre anni dopo (Lettera IX, 5 gennaio 1928) ammette di non essere stato del tutto persuaso, a suo tempo, della vicinanza spirituale; man mano s'è ricreduto.
1927. Stuparich apprezza il “Wackenroder” di Tecchi. Fraternizza con lui nel tentativo di “appagare con l'arte la tua umanità”. Racconta della sua vita, “molto ritirata e tranquilla”, spedisce qualche novella in lettura, accenna a problemi editoriali con Treves: il pubblico, secondo l'editore, è stanco delle novelle e dei racconti. Servono romanzi. Ottantacinque anni dopo gli editori non hanno cambiato parere, soltanto glissano sulla stanchezza del pubblico. Tecchi si dimostra lettore “coscienzioso e spassionato” degli scritti di Giani. I due dibattono, a quanto pare (mancano le lettere di BT), sulle qualità delle reciproche creazioni, animando una dialettica intensa e appassionante, completa di recensioni sulla carta stampata.
Curioso che due letterati così intelligenti siano, sulle prime, entrambi feriti da un senso “d'oscura scontentezza” post lettura degli “Ossi di seppia” di Montale, allora giovane poeta di cui si diceva un gran bene (“d'aristocratico sentire”, dice Giani, alludendo alle battute di comuni amici). Cambieranno idea, presto e radicalmente. Tecchi, addirittura, costretto alle dimissioni dal suo incarico di Direttore del Viesseux per ragioni politiche, finirà per cedere il suo lavoro al poeta dei Limoni (1930).
Nel febbraio 1928, Stuparich comincia ad accennare alla sua “malattia dei nervi”. Consiglia a Tecchi di smettere subito di lavorare non appena sente il cervello avvelenato dalla stanchezza; confida di trovar pace nella natura. Tre mesi più tardi, consola Tecchi, ferito da una simile sofferenza, dicendo che quando siamo deboli di nervi, “siamo come un campo indifeso aperto a tutti gli assalti” (Lettera XIII, 9 maggio). Nel 1930 ammette “antipatia per l'esibizionismo fotografico”: in altre parole non manda foto ai giornali. Nel 1931 scrive d'aver passato le vacanze senza far nulla, perché era “molto stanco di nervi”. Nel 1933, scrive che data la sua natura è “ben difficile che vada a una fiera del libro, pur non disapprovando per nulla coloro che sentono d'andarci” (Lettera LXII, 5 febbraio). Nel 1959, parla apertamente d'un “esaurimento che dura ormai da alcuni anni” (Lettera CLVIII, 16 aprile). Povero Giani. Ragione in più per avere cura della sua anima, adesso. Almeno quanta ne ebbe Tecchi, a suo tempo, nell'editoria, proponendo i suoi libri a Ribet, Vallecchi (1928), Mondadori (1934), Garzanti (1940); e garantendogli, quand'era il momento, un onesto assegno per sopravvivere alle storture della vita, e delle patrie lettere.
Un epistolario toccante, trattato con rispetto e semplicità dalla curatrice, destinato a fare la gioia non soltanto di noi letterati giuliani, ma di tutti quei lettori e letterati italiani ed europei che non dimenticano la lezione di vita e di stile di Giani Stuparich. Pochi ma buoni.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giani Stuparich (Triest, Austria, 1891 – Roma, 1961), giornalista e scrittore italiano, di madre triestina (Gisella Gentili) e padre di Lussino (Marco Stuparich). Iscritto all’Università di Praga, si trasferì assieme a Slataper all’Università di Firenze. Si laureò in Letteratura Italiana con una tesi su Machiavelli. Esordì pubblicando “Colloqui con mio fratello” nel 1925.
Giani Stuparich, “Con fedeltà immutata. Lettere a Bonaventura Tecchi (1925 – 1961)”, Loffredo, Napoli 2006. Introduzione e cura di Rossana Maria Caira. Collana “Le ricerche di 'Critica Letteraria'”, 15. In appendice, Indice dei nomi.
Approfondimento in rete: Wikipedia.
Gianfranco Franchi, marzo 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
L’edizione prende il nome da una battuta rivolta da Tecchi a Stuparich, e da Stuparich a Tecchi, trent’anni di corrispondenza alle spalle: “Pensa a me come a uno che ti ha voluto bene sempre, con fedeltà immutata”.