Bompiani
2016
9788845280245
Paradigma antimilitarista, singolare esordio di un narratore destinato a lasciare il segno, nella letteratura del Novecento, per la sua vena satireggiante e grottesca e per il suo dissacrante coraggio, “Comma 22” è un romanzo che deve tornare a essere letto e apprezzato per via del sinistro momento storico che l’Occidente sta vivendo. La parabola di Yossarian, aviatore americano che non voleva bombardare e non voleva combattere più, e si trovava costretto a eseguire ordini che trovava insensati e allucinanti, è già stata simbolo della protesta della parte migliore della società americana contro la guerra in Vietnam: oggi, che per l’ennesima volta gli States hanno manifestato la loro aggressività e il loro disgustoso imperialismo, trascinando il mondo in una assurda guerra “preventiva”, combattuta per tutelare gli interessi d’un’economia avida e bulemica, piace immaginare numeroso l’esercito dei neo-Yossarian. Catapultati a morire, per una “patria” che crede nel dollaro e nel petrolio, in una terra che non li accetta e mai li ha invocati, crediamo che si sentano, col passare del tempo, sempre più estraniati dalla logica della asettica accettazione dei comandi degli ufficiali; e che più di qualcuno, tra loro, inizi a pensare che sia bene tagliare la corda ed evitare d’esser carne da macello nel nome degli interessi del petroliere Bush, piuttosto che morire per mano d’un popolo che li giudica, giustamente, invasori e oppressori: non certo latori di una “democrazia” che per affemarsi si impone massacrando, impunita, innocenti con le sue bombe “intelligenti”. A questi soldati che hanno imparato a dubitare e che non hanno paura di disobbedire va la solidarietà di chi scrive: a quanti diserteranno e denunceranno l’assurdità della loro missione, va la più sentita ammirazione. Detto questo, passiamo alla trama e a qualche ulteriore rilievo.
“Dal tempo della sua infanzia, da quando poteva ricordarsi, Yossarian spiegò a Clevinger con un sorriso paziente, c’era sempre stato qualcuno che tramava un complotto per ucciderlo. C’era gente che gli voleva bene, e gente che non gliene voleva, e quelli che non gli volevano bene lo odiavano ed erano sulle sue tracce per prenderlo. Lo odiavano perché era un assiro. Ma non sarebbero riusciti neppure a toccarlo, disse a Clevinger, perché lui aveva una mente sana in un corpo puro ed era forte come un bue. Non avrebbero potuto toccarlo perché lui era Tarzan, Mandrake e Flash Gordon. Lui era Gugliemino Shakespeare. Lui era Caino, Ulisse, l’Olandese volante; lui era Lot a Sodoma, Deirdre l’addolorata, Sweeney fra gli usignoli del bosco. Lui era l’ingrediente miracoloso Z-247. Lui era…” (J.Heller, “Comma 22”, capitolo II, “Clevinger”).
Lui, Yossarian, era un capitano della 256° squadriglia di combattimento della U.S. Air Force, impegnata nella Seconda Guerra Mondiale sul fronte italiano.
Giurava d’essere troppo folle per poter continuare a volare in missione: ma i suoi superiori non mancavano di ricordargli che chiunque cercava di sottrarsi al suo dovere di soldato era, inevitabilmente, sano e lucido. E così, Yossarian alternava le missioni di guerra a periodi di astuto ricovero in ospedale: imboscato tra una variopinta umanità composta da dottori non sempre concilianti, malati non sempre immaginari e patrioti texani che riuscivano, per la loro retorica e la loro imbarazzante dedizione agli ordini, a svuotare le corsie nell’arco di un paio di settimane.
“Yossarian poteva godersela all’ospedale, almeno fintantoché non c’era nessuno che fosse veramente ammalato nella sua stessa corsia. Il suo organismo era abbastanza resistente per sopravvivere, senza quasi alcun disagio, ai casi di malaria o di influenza degli altri malati. Poteva anche sopportare la rimozione delle tonsille dalla bocca degli altri senza soffrire alcun effetto postoperatorio, e riusciva perfino a tollerare le loro ernie o emorroidi sentendo soltanto dei leggeri attacchi di nausea o di ripugnanza. Più in là gli era difficile andare, senza sentirsi davvero male. Se c’era d’andare più in là, la cosa migliore da fare era svignarsela. Yossarian se la godeva, e riposava all’ospedale, dal momento che non c’era nessuno che si aspettava che lui facesse qualcosa. Tutto quel che gli chiedevano di fare in un ospedale era di morire o di sentirsi meglio, e poiché lui stesso stava perfettamente bene, tanto per cominciare, non era affatto difficile sentirsi meglio” (Capitolo XVII, “Il soldato in bianco”).
Joseph Heller racconta le avventure di Yossarian e dei suoi colleghi trasfigurando la sua esperienza di pilota della Us Air Force impegnato sul fronte corso e italiano: mediante una narrazione sconnessa e bozzettistica, articolata in quarantadue brevi capitoli, si ha l’impressione che l’autore apra squarci di luce nel cielo della sua memoria e che li vada ridipingendo di sarcasmo e di ironia per impedire al dolore e alla sofferenza di riemergere, trionfanti.
Il ricordo di compagni caduti in missione e di anni dedicati a una guerra che sembrava non avere fine (e che pure, sento di aggiungere, allora era giusta e sacrosanta) è lacerante e precipita l’autore in una confusione mentale che solo la benedizione del distacco temporale e la contaminazione dell’assurdo, del grottesco e del non-sense permettono di risolvere.
I capitoli sono spesso dedicati a un solo personaggio: si tratta di una delle poche e povere connessioni esistenti all’interno del libro, altrimenti estremamente disordinato e più prossimo, strutturalmente, ad apparire simile a una “striscia” di fumetti che a un romanzo. Ho avuto l’impressione, in più di un frangente, che si potesse accostare a questo volume l’epopea delle “Sturmtruppen” di Bonvi: l’imbecillità e l’idiozia del militarismo, la caducità della vita, la quotidiana frequentazione con la morte sono descritte con un furore iconoclasta appena venato dalla demenzialità e dall’assurdo.
Yossarian prende coscienza della precarietà della sua condizione: c’è qualcuno che, “pur non conoscendolo”, vuole ucciderlo perché indossa una divisa e rappresenta uno Stato; i suoi superiori continuano, nel frattempo, ad aumentare il tetto minimo di voli utile per ottenere il congedo, e i suoi compagni, uno ad uno, cadono vittime d’una guerra che li vede operare come marionette e come automi, dimenticando e tradendo la loro natura di esseri umani. Yossarian vuole fuggire e vuole tornare a vivere: ha perso di vista la ragione della guerra che sta combattendo, è smarrito di fronte all’idea che si possa sparare a uno sconosciuto o bombardare innocenti, non trova più significato nelle gerarchie e nella fedeltà agli ordini.
Riconosce follia dappertutto: in tutto il mondo, i soldati impazziscono e ricevono medaglie, morendo per “quella che hanno detto” loro essere “la patria”. Dopo anni di guerra, Yossarian non vede più “patrie”, ma uomini. Pazzi di dolore, pazzi per la vicinanza della morte.
Infatti: “Di notte, quando cercava di addormentarsi, Yossarian passava in rassegna, dentro di sé, tutti gli uomini, le donne e i bambini che aveva conosciuto e che ora erano morti. Cercò di ricordarsi di tutti i soldati, e riportò alla vita le immagini di tutte le persone anziane che aveva conosciuto da bambino: tutte le zie, gli zii, i vicini, i genitori e i nonni, i propri e quelli degli altri, e tutti i patetici, illusi bottegai che aprivano i loro negozietti polverosi all’alba e vi lavoravano dentro stupidamente fino a mezzanotte. Erano tutti morti, anche loro. Il numero dei morti sembrava stesse salendo in continuazione. E i tedeschi continuavano a combattere. La morte era irreversibile, egli pensò con sospetto, e cominciò a credere che non l’avrebbe mai battuta” (Cap. XXXII, “I compagni di tenda di Yo-Yo”).
E questa follia e questo assurdo che segnano la quotidianità del soldato al fronte sono ben caratterizzati dal famigerato comma 22: facilmente riadattabile a ogni circostanza, sancisce ogni volta qualcosa di differente.
Prescrive che “ogni lettera censurata porti il nome dell’ufficiale censurato”, che “devi sempre fare quello che l’ufficiale superiore ti ordina di fare”; afferma che “tutti quelli che desiderano d’essere esonerati dal volo attivo non sono veramente pazzi”; e che i soldati “hanno il diritto” di fare ai civili tutto ciò che i civili non possono impedirgli di fare. Perché? Perché lo impone il polimorfico e metamorfico comma 22.
La logica ha perduto la sua battaglia, l’umanità s’è aggrappata a un comma: e uccide, e viene uccisa. Ma Yossarian non dimentica d’essere uomo, ritrova intelligenza e senno, nonostante le varie ferite e i tormenti, e sgattaiola via. Per ricostruire la civiltà, e opporsi a ogni conflitto. Tornerà in un altro libro, quaranta anni dopo. Ma questa è un’altra storia…
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Joseph Heller, (Brooklyn, New York, 1923 / East Hampton, New York, 1999), romanziere e professore universitario (Pennsylvania, Yale).
Joseph Heller, “Comma 22”, Bompiani, Milano, 1963. Traduzione di Remo Ceserani.
Prima edizione: “Catch-22”, Simon & Schuster, 1961.
Il primo nucleo del romanzo risale al 1953: “Catch 18” apparve in “New World Writing” numero 7, nel 1955.
Yossarian tornerà, assieme a Milo e agli altri protagonisti del libro, nel penultimo lavoro dello scrittore americano, “Closing time” (1994), che narra dell’incontro dei veterani a New York, a quaranta anni di distanza dagli eventi descritti nel primo romanzo.
Riduzione cinematografica: “Catch-22”, di Mike Nichols (1970).
Gianfranco Franchi, dicembre 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.
A Krazykat.