Cargo
2007
9788860050137
Come può un artista dichiarare il proprio dissenso, tutta l’amarezza per l’imperialismo e per l’aggressività neocolonialista della sua nazione, tutta la perplessità per la paradossale condizione di vita di cittadini costretti a un’esistenza precaria e a uno stato di guerra senza fine? L’attivismo politico è una prospettiva fallimentare, in questo periodo storico. Frustrante, e insensato spreco di energie. Il pamphlettismo decora le tombe, post mortem, e guadagna dieci righe nelle antologie. Siamo a un passo dal trionfo della dissimulazione onesta, cara al barocco. E quindi la satira e l’allegoria – in altre parole, le strategie letterarie pure – sono armi assolutamente vincenti. Perché la trasfigurazione prima della disgrazia ridicola d’essere americani sotto le amministrazioni Bush non poteva che essere questa: un bel giorno, un padre di famiglia – stanco della retorica delle celebrazioni del Patriot Day, 11 settembre – decide di costruirsi una bomba atomica reperendo materiali tra discariche e internet; assolda il figlio per accelerare i tempi; nasconde l’ordigno nel nano da giardino; infine, finalmente, dichiara l’indipendenza, via fax, a tutti gli Stati del mondo e agli organi di stampa. L’indipendenza della sua casa, che diventa Regno di Weinbergia.
“Desidero pace e libertà per me stesso e per il mio Paese e dichiaro aperti i confini a chiunque sia interessato a porre fine a questi orribili conflitti e a condurre un’esistenza libera dalla paura di perdere il lavoro, o di dire la cosa sbagliata e di essere interrogati; un’esistenza in cui i nostri figli non crescano al solo scopo di essere arruolati” (p. 36) – e di andare a crepare in guerra.
“Under My Roof”, nella versione italiana “Come mio padre ha dichiarato guerra all’America”, è narrato in prima persona dal figlio di Daniel, Herbert. Un dodicenne che riuscirà ad abituarsi sia alle strategie di resistenza attiva del padre e dei suoi brancaleoneschi aficionado, presto sbarcati da mezza America (tra loro, evasori fiscali, studenti e freak), sia alla nostalgia per la madre, riottosa a riconoscersi nella nuova casa-nazione. Casa nazione che diventa modello per tanti microcosmi americani: nel Vermont, nell’Idaho, nel Connecticut, in California, tutto a un tratto è un fiorire di dichiarazioni di indipendenza (d’altra parte, ricorda Mamatas, è nel dna degli USA: cfr. p. 60).
“Perché? Perché non lo fate tutti, piuttosto! Questo Paese sta andando in rovina. Stiamo combattendo quaranta guerre con quaranta Paesi diversi, e per nessun motivo” (p. 30).
Mamatas dà vita a un affresco della quotidianità degli States, prendendosi gioco dell’invasiva presenza dei media televisivi (primo ostaggio di Weinbergia è il tizio delle previsioni del tempo: grasso e stupido, andrà in diretta anche dal salotto del Regno), dell’imbarazzante e assassina politica estera yankee, del proliferare di movimenti separatisti nelle terre di Uncle Sam, ma non delle ragioni del separatismo – e questo è importante – e poi del consumismo esasperato, della mediocre intelligenza delle truppe, delle vite trascorse nelle case, tra televisione e computer, più spesso per disoccupazione o per precariato cristallizzato che per relax e ricerca. L’esito è divertente e velenoso; in altre parole, memorabile e necessario. È un atto di ribellione letteraria, e politica. E davvero non si fatica a pizzicare ferite aperte: come il senso di impotenza di tutti i cittadini americani, di fronte a certi eventi e certe linee politiche. Penso a un passo come questo. Emblematico.
“Nessuno aveva una risposta, tranne una. Rassegnarsi a non essere altro che marionette nelle mani degli Stati Uniti” (p. 66). Già.
Last but not least, delizioso segnalare la considerazione disastrosa del Belpaese, anche in un contesto come questo che sembrava difficile potesse chiamarci in causa. Come scoprirete, serviamo per enfatizzare il ridicolo. Primo e unico Stato a riconoscere l’indipendenza della casa-nazione è la piccola repubblica di Palau, ricca di noci di cocco e di perle. Pronta a offrirle alle nazioni amiche. E la madre di Herb, fieramente statunitense, commenta, infastidita: “Taglieremo tutti gli aiuti finanziari a Palau, al Marocco, all’Italia e a tutti questi paeselli insignificanti che hanno deciso di usare tuo padre come un’arma contro di noi” (p. 87). Come darle torto. Paesello insignificante, come Palau e il Marocco. Questa la percezione di cosa nostra – casa nostra – all’estero, nello Stato egemone. Informate citizen silvio.
“Under My Roof is a young adult book in that there is no cursing or sex... well, YA books are full of those things anyway. Well, there is this kid, Herbie, and he’s the hero and is wise beyond his years... no, wait, that’s in all sort of adult literature too now. Mmm, it’s short? YA books are still short, right? I mean, except for the War and Peace-sized brick of the last Harry Potter novel. But I do think kids should read this book. I mean, better they find out that the nation-state is a lie now, right? If you have some sullen cousin or nephew who is just beginning to slouch and respond to every query with a cracked-voice ‘Whutevah’, you should buy him or her this book for the holidays. It’ll be a life-changing event. For me, anyway.” (fonte: intervista rilasciata a Bookslut, 2007)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Nick Mamatas (Long Island, New York, 1972), saggista e narratore americano. Scrive su disinformation.com. Ha esordito pubblicando il romanzo breve “Northern Gothic” (2001).
Nick Mamatas, “Come mio padre ha dichiarato guerra all’America”, Cargo, Napoli, 2008. Traduzione di Sara Della Corte. Progetto grafico e logo design: Maurizio Ceccato – IFIX Project. Collana “Biblioteca di Cargo”, 16.
Prima edizione: “Under My Roof”, Soft Skull Press, 2007.
Approfondimento in rete: Nick Mamatas’ Journal / Wiki en
Gianfranco Franchi, maggio 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.