Christmas Cards

Christmas Cards Book Cover Christmas Cards
John Updike
Alet
2010

La plaquette natalizia della Alet è diventata, negli ultimi anni, una piccola tradizione: s'è trattato e si tratta, sempre, d'una dichiarazione di stile e di un'iniezione di intelligenza e di ricercatezza. Bibliomani, bibliofili e una fortunata piccola cerchia di lettori forti hanno potuto apprezzare, sin dal 2006, inediti e rarità di Romano Bilenchi, Scipio Slatater, John Steinbeck (giusto un anno fa è apparso il formidabile “Appunti sparsi e ribaldi su cani e libri”). Nel 2010 è il turno di John Updike (1932-2009): “Christmas Cards”, curato da Sara Tosetto e Daniela Giustacchini, include tre frammenti originariamente apparsi in “More Matter”, nel 1999. Si tratta, oltre a quello eponimo, di “Fiction: A Dialogue” e “Print: A Dialogue”.

Entriamo nel vivo. In “Christmas Cards” il vecchio John Updike, all'epoca della stesura quasi settantenne, pensa ai suoi genitori quand'erano una coppia di ragazzi di neanche quarant'anni, e a lui che sgambettava per casa. Erano una coppia di ragazzi che viveva, con il loro bambino, in casa dei genitori: quelli erano gli anni della Depressione. Tutto costava troppo. Figuriamoci un buco in cui crescere il proprio bambino. In quegli anni la Depressione non sembrava fermarsi: proprio come il debito pubblico degli States. I ricordi di Updike bambino sono quelli di una famiglia povera che vive con claudicante dignità i giorni di festa: sono i ricordi di un marmocchio che ha già ben capito che se la sua mamma passa le nottate a fare i solitari in cucina non è un gran segno, e che se suo papà crede di farla contenta regalandole un mazzo di carte doppio le cose non potranno migliorare molto. “Non serbo memoria di cosa ricevetti quel Natale” - conclude l'artista. “Gli sci di legno, forse, con i legacci in pelle che non tenevano, o un celebre classico per bambini che non avrei mai letto. Per un attimo, sento il triangolo capovolgersi; attraverso la piccola scatola vellutata delle carte vedo i miei genitori: la loro povertà, la loro gentilezza inutile, la loro sottaciuta condizione di senzatetto, il loro aggrapparsi l'un l'altro, e a me, con questi segni di affetto” [p. 8]. Inutile dire che la scelta di pubblicare un frammento come questo sembri particolarmente in linea con l'economia italiana degli ultimi anni, e con le necessarie e impreviste scelte di vita di diverse famiglie. La letteratura saprà sconfiggere la recessione, va da sé. Intanto, però, bisogna imparare a convincerci.

Il secondo frammento è “Sulla narrativa: un dialogo”. Updike ci regala uno scambio di battute ambientato nel deserto californiano, nel corso di uno strano meeting organizzato dalla Nasa. Protagonisti sono Farquhar, letterato minore dell'Indiana, e Chokchöq, “emissario proveniente da Marte”, una mezza formica antropoide di grossa intelligenza e vera curiosità.

Farquhar racconta che la narrativa è più reale del reale, perché “fornisce un'immagine della vita molto più consistente e vivida di quella che potrebbe fornire qualsiasi altro genere maggiormente legato alla realtà come la storia, la sociologia o l'autobiografia” [p. 10]. E aggiunge che la narrativa esiste per dare “l'illusione dell'esperienza”: perché noi si possa sapere cosa significa davvero essere vivi. E che la narrativa è capace di parlare di tutto e niente al contempo, perché – e qui Updike sale in cattedra - “Fa appello all'anima nella sua interezza. È qualcosa di esistenziale, ontologico, fortuito, sublime. È vasta come la vita, e come la vita è alta e profonda, ma altrettanto bassa e agrodolce, perfino torbida. È uno specchio a briglia sciolta, se riesci a immaginarti qualcosa del genere” [p. 12]. L'epilogo dell'interazione tra il terrestre e il marziano è decisamente ludico: ricorda “Mars Attacks!” di Tim Burton. Il contenuto del racconto, a ben guardare, è invece una preziosa e solare dichiarazione di estetica.

Terzo e ultimo frammento è “Sulla stampa: un dialogo”. Si tratta di un dialogo tra gli spiriti di Gutenberg e Bill Gates, ambientato dalle parti della Fiera del Libro di Francoforte, ai giorni nostri. Un divertissement dignitoso fondato sulla rivoluzione del libro e della cultura del libro (no, non sembra un'evoluzione) in atto. Updike mostra ragionevole angoscia nei confronti della digitalizzazione selvaggia, e si direbbe che si serva delle parole d'un vecchio artigiano di genio per esternarla. Saggia angoscia. Starà a noi arginarla.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

John Updike (Reading, Pennsylvania, 1932 – Danvers, Massachussets, 2009), narratore, poeta e critico letterario nordamericano.

John Updike, “Christmas Cards”, Alet, Padova 2010. A cura di Sara Tosetto e Daniela Giustacchini. Traduzioni di Sara Tosetto e Fabio Zucchella. Edizione numerata fuori commercio, 700 esemplari. La mia copia è la copia numero 8.

Prima edizione: testi tratti da “More Matter”, Ballantine Books, 1999.

Approfondimento in rete: wiki it / john updike society

Gianfranco Franchi, gennaio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.