Iacobelli
2013
9788862522014
“Cattivi soggetti”, settimo libro di narrativa dello scrittore abruzzese Renzo Paris, romano d'adozione, apparve in prima edizione per Riuniti nel 1988, nella collana “David” diretta dal professor Tullio De Mauro. Rispetto ai primi passi di Paris, vale a dire l'introvabile romanzo breve “La stanza” [Carte Scoperte, 1971], l'atipico romanzo epistolare “Cani sciolti” [Guaraldi, 1973], il discreto memoir erotico e ragazzino “Frecce avvelenate” [Bompiani, 1974], il documentaristico e politico reportage “La casa in comune” [1977], lo psicanalitico e irrisolto “Filo da torcere” [Feltrinelli, 1982] e la sensuale e cerebrale raccolta di racconti “Fuori rotta” [Pellicano, 1984], costituisce qualcosa di diverso: un primo amarcord generazionale parisiano, una prima, irregolare e frammentaria lettura del Sessantotto e del Settantasette romanesco, quasi un diario giocato per ritratti a matita, schizzi e bozzetti, a dieci o vent'anni di distanza dai fatti. In questo senso, “Cattivi soggetti” è un'anticipazione del massimo risultato di Paris narratore, cioè l'atipico memoir “La vita personale” [Hacca, 2009], seducente tributo all'ultima Scuola Romana: un libro, quello, che non ha raccolto quanto doveva, da nessun punto di vista, almeno sin qua. Peccato: peccato soprattutto per la nuova generazione di letterati capitolini, sparpagliata per gruppuscoli, salottini, blog e cricchette, con tutta una canonica serie di pallide e frustrate figure appartate, e una mezza legione di orecchianti. Un libro come “La vita personale” era e rimaneva l'opportunità, unica, per capire quanto grande e complessa fosse l'eredità letteraria dell'ultima Scuola Romana, e quanto diverse potessero essere le personalità da studiare, scandagliare, amare e criticare. Quanto antagoniste, quanto caratteristiche, quanto famigliari. “Cattivi soggetti” va considerato un robusto aperitivo, da questo punto di vista.
Paris, nella premessa alla nuova edizione del libro, Iacobelli, 2013, ha scritto che “Cattivi Soggetti” è “alla fine un memoir, una autofiction, in cui sfilano gli ultimi rappresentanti dell'intelligenza e dell'arte italiana di fine secolo”. E sfilano a Roma, perché è nella vecchia capitale che succedevano le cose, in quel periodo: e Renzo Paris è il loro evangelista. Scrive, a un punto: “Avevo una gran voglia di spostarmi da un punto all'altro della città, curioso di ogni piccolo movimento. Un testimone invisibile. Mi sentivo insomma, a pensarci bene, l'inviato di qualche impero sommerso” [p. 49]. Voleva essere coinvolto: voleva raccontare lo spirito di quel coinvolgimento. Voleva riuscire a osservare con un pizzico di distacco quel che tanto ammirava, probabilmente sempre almeno un poco incredulo di trovarsi nel vivo della storia della letteratura.
Nelle parole di Alberto Moravia, “Cattivi soggetti” era, è, “un libro a mezza strada tra i ricordi e i racconti, o meglio di racconti, basati su ricordi autobiografici […]. Paris ha una memoria straordinariamente precisa, descrive luoghi, disegna figure, riassume situazioni con vagabonda esattezza, senza però il puntiglio professionale del cronista, semmai con le affettuose minuzie di un cantastorie di paese”. Un cantastorie che comunque soffriva, sempre, la paura di tradire la classe operaia, i figli del popolo: “mi vergognavo di scrivere” - ammette Paris. “Era l'idea di essere visto, catalogato come un traditore della classe operaia, che più mi torturava. Sapevo che scrivere era un gesto che niente salvava. Lo scrittore doveva rendersi invisibile a se stesso prima che agli altri” [p. 68]. E questo è puro spirito parisiano, questo è dna autoriale.
**
Qualche esempio della qualità e dello stile dei ricordi di Renzo Paris: e della sua sensibilità, e dei suoi sentimenti. Per flash. La povera Amelia Rosselli: “Ricordo un 'capodanno di lotta' passato a casa sua, dopo il brindisi in una fabbrica occupata della Tiburtina. Non volle partecipare all'allegria degli altri compagni. Disse che brindare portava male. Ci invitò a gettare tutti i bicchieri dalla finestra, subito dopo aver bevuto. Ballammo due o tre volte insieme quella notte e a me sembrò di ballare con una macchina che dettava gesti e mosse e sembrava non volersi più fermare. Aveva il terrore che quei festaioli rossi le avessero rubato i pochi libri a cui teneva. Così i giorni seguenti le telefonate si sprecarono. Chi era quello, chi era quell'altro, ma sei sicuro che non era strano, ah lo conosci bene, perché io potrei anche pensare che tu sei un loro inviato. A volte pensarlo non è peccato, no? E giù quella risata che mi andava per le ossa” [p. 38].
Pier Paolo Pasolini: “Qualche tempo prima della sua morte mi sentii chiamare da quella voce inconfondibile su un marciapiede di via del Babuino. Mi portò dentro un negozio d'antiquariato e mi pregò di dargli una mano a trasportare una sedia d'epoca, di cui si era invaghito e aveva subito acquistato. Si trattava di afferrarla per un lato, ché all'altro lato ci avrebbe pensato lui. Così, con quella strana sedia in mezzo, percorremmo via del Babuino sotto lo sguardo dei curiosi […]. Gli chiesi notizie del suo nuovo romanzo. Mi rispose che il suo romanzaccio sarebbe apparso soltanto post mortem, che comunque ci sarebbero voluti diversi anni prima di finirlo. 'Ormai mi considero uno scrittore postumo', mi disse guardandomi fisso per leggere nel mio volto i segni di qualche meraviglia” [p. 72].
Antonio Veneziani: “Meno male che gli sono rimasti i versi, che la letteratura gli ha insegnato a vivere, che una poesia di Rimbaud per lui è più importante di una infuocata dichiarazione di Mieli. Altrimenti, diceva, si sarebbe suicidato. Dopo il Settantotto e la vicenda Moro, Antonio decise di rinchiudersi in campagna, di passare i giorni della sua maturità in un paesino del Lazio, tra gente all'antica, che pretende dal frocio non più di un numero, dove alla fine si sente accolto con benevolenza […]. Vero, non riusciva più a fare l'amore come una volta, ma questi erano problemi suoi, non di tutti, finalmente. E soprattutto non aveva più voglia di investire di questi suoi problemi il mondo intero. Antonio il Settantasette ce l'aveva nel sangue” [p. 81]
E poi c'è tanto altro – c'è il fantasma del poeta trasteverino Dario Bellezza, e il ricordo degli ultimi tempi della sua malattia [cfr. “Il male di Dario Bellezza” di Maurizio Gregorini], c'è un giovane, discretamente irriconoscibile Alberto Asor Rosa, c'è la presenza carismatica e autorevole di Alberto Moravia, e s'intravedono il distacco e la fragilità della Morante; c'è qualche ombra milanese e c'è qualcuno che prima di fare il rivoluzionario voleva fare il poeta, e finiva a casa Paris su consiglio di Sofri. C'è il regista di “Ecce bombo” nel pieno della ricerca della sua identità artistica. Ci sono i giorni di Castelporziano.
Paolo Pietrangeli, l'ex sessantottino che cantava “Contessa”, a suo tempo voleva farne un film, di questi “Cattivi soggetti”: “Scrivemmo insieme un soggetto, ma i soldi raccolti non bastarono e non se ne fece nulla”, ricorda Renzo Paris.
Forse dovrebbe essere il suo vecchio sodale Nanni Moretti a bussare alla porta del grande allievo di Moravia, adesso; o magari Marco Tullio Giordana. Servono cattivi soggetti. Roma è là che aspetta.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Ha insegnato Letteratura Francese all’Università di Viterbo. Collabora con “Pulp” e “Nuovi Argomenti”.
Renzo Paris, “Cattivi soggetti”, Iacobelli, Roma 2013. Include tre racconti tratti da “Ragazzi a vita” [Marcos Y Marcos, 1997]. Contiene un indice dei nomi. ISBN: 9788862522014.
Prima edizione: “Cattivi soggetti”, Editori Riuniti, 1988; quindi, De Donato-Lerici, 2002, assieme a “Cani sciolti”, col titolo “Un'altra generazione perduta.
Approfondimento in rete: WIKI it
Gianfranco Franchi, aprile 2013.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Nuova edizione del settimo libro di narrativa di Renzo Paris…