Profondo Rosso
2003
9788889084120
La prima monografia cinematografica di Gordiano Lupi è dedicata a un regista romano misconosciuto in patria (dai tardi Ottanta-primi Novanta è stato attivo fondamentalmente in ambito serial-televisivo e pubblicitario) e apprezzato in tutto il mondo, tra i cultori dell’horror e degli slasher movies in primis, per via di quello che viene salutato come un capolavoro di un genere che pure non aveva fondato, il “cinema cannibalico” (Umberto Lenzi è il capostipite: “Il paese del sesso selvaggio”, p. 101): parlo di “Cannibal Holocaust”, cult movie datato 1979, interpretato da attori all’epoca sconosciuti (tra i quali l’allora giovanissimo Luca Barbareschi).
Nel cinema cannibalico – illustra Lupi – riconosciamo due filoni: “i film a soggetto che utilizzano riprese documentaristiche vere per dare alla storia maggior credibilità, e i film documentaristici puri che inseriscono riprese finte per dare più orrore alle scene”. Il risultato è lo stesso: scolpire un’immagine “raccapricciante” della nostra società, con una curiosa ed esaltante apologia del selvaggio (p. 105).
Questo “Cannibal – Il cinema selvaggio di Ruggero Deodato” è un libro appassionante anche per quanti, come il sottoscritto, hanno scoperto d’aver visto qualche creazione del regista grazie all’introduzione di Lupi. Chiarisco subito questo aspetto per ammettere, in apertura di scheda, che non potrò né confutare le tesi, le critiche, gli encomi e le interpretazioni di Lupi, né condividere le sue impressioni – in generale – a proposito del cinema di Deodato. Mi sono avvicinato alla monografia da neofita, pronto ad appuntarmi curiosità e lacune da colmare. E il volume ha fatto il suo lavoro: posso assicurarvi che sono convinto gli appassionati di Deodato non rimarranno delusi, l’opera è completa di notizie biografiche, filmografia, curiosità, aneddoti, interviste, cast e locandine. È stata la prima, in assoluto.
Ruggero Deodato è descritto come un uomo estroverso, esuberante, schietto e diretto, nato a Potenza (accidentalmente) e vissuto sempre a Roma, nel quartiere Parioli, nello stesso palazzo di Rossellini, del quale fu assistente e allievo (e amico del figlio). Deodato si sente un regista di genere, all’americana: ha girato thriller, lacrima movies, peplum, fantasy, horror e slasher movies, prima di dedicarsi integralmente ai serial televisivi (come “I ragazzi del muretto”, seconda serie): per Lupi è un formidabile attraversatore di generi, più talentuoso nell’horror che altrove. “Deodato ha attraversato tutti i generi: dall’heroic fantasy al giallo sexy passando per l’avventuroso e il comico puro, cavandosela sempre egregiamente, per finire con l’inventare quella fantastica trilogia cannibale che lo ha consegnato alla storia del cinema di genere” (p. 38).
Deodato esordì come attore, con qualche comparsata (“Destinazione Piovarolo”); scartato da Fellini, cominciò come assistente alla regia di Rossellini quand’era giovanissimo. Lavorò anche al fianco di Bragaglia, Freda, Corbucci e del suo autentico maestro Margheriti (noto anche come “Anthony M. Dawson”).
Quindi avviò la sua attività da regista. Rivelandosi un cinematografaro di grande personalità, alieno agli intellettualismi: “Deodato è per impostazione e mentalità il più americano dei registi italiani – scrive Lupi – ma a differenza degli americani, che hanno un sacro rispetto per sceneggiatura e battute, ama improvvisare. Per tutto il resto è regista all’americana, sul set comanda lui, non c’è attore importante che tenga. Ne ha cacciati tanti che non stavano ai patti…” (p. 190);
Lupi ripercorre tutta la sua produzione: dall’esordio, “Fenomenal e il tesoro di Tutankamen” (1968: lo definisce “giallo ingenuo girato con l’entusiasmo dell’esordiente, ormai datato e dal marcato sapore fumettistico”) all’attuale attesa – ormai quindicennale: “Vortice mortale”, mai distribuito in Italia, è del 1993 – di un nuovo “Cannibal Holocaust”. Curiosamente, nello stesso libro, in un’intervista rilasciata a G. Castoldi, Deodato saluta come opera prima “Gungala la pantera nuda” (p. 208), in cui in realtà rimpiazzò Romano Ferrara, precipitando non di rado nel quasi inevitabile trash, non nel kitsch. Leggiamo del lancio di Villaggio, Toffolo, Montesano e Lionello ne “I quattro del Pater Noster”, 1969; dei vari passaggi dal sexy, al film musicale (“Vacanze sulla Costa Smeralda”, Little Tony protagonista) al fantastico; della scelta di Franco Nero per Django, del crudo poliziesco “Uomini si nasce, poliziotti si diventa”, prima vittima delle sforbiciate della censura.
Finalmente, leggiamo del discusso (e processato, e censurato e tagliuzzato) “Cannibal Holocaust”, salutato come atto d’accusa contro certo giornalismo e certo sensazionalismo, evoluzione dei mondo movies (sono “lavori a metà tra la finzione filmica e il documentario (…) occhio gelido sulla violenza sui corpi (…) crudo realismo. Si tratta di finti reportage, spesso bollati come snuff (…)”, p. 64), riconosciuto come fonte d’ispirazione prima per quel “Blair Witch Project” che pare aver rubato l’idea del nastro ritrovato, girato in prima persona dai protagonisti d’una tragedia.
Lupi spiega che i cannibali italiani sono diversi da quelli ai quali siamo abituati noi contemporanei, Lecter in testa: “I nostri cannibali sono quasi sempre dei selvaggi mangiatori di uomini, tribù antropofaghe dell’Amazzonia che si sbarazzano di chi va a turbare la loro tranquillità. I film del nostro filone cannibalico sono girati tra Brasile, Perù e Colombia e vogliono portare sullo schermo riti tribali di mangiatori di carne umana. Più raramente il cannibale italiano è metropolitano e ha problemi psichici” (p. 77; segue approfondimento, con cenni a D’Amato e Margheriti). Invita alla visione gli appassionati di horror e del sensazionale: perché questo cinema, “disturbante al massimo”, incarna Ginsberg quando scriveva: “Ribellati contro i governi, contro Dio. Resta irresponsabile. Dì solo quel che sappiamo e immaginiamo. Gli assoluti sono coercizione. Il cambiamento è assoluto” (p. 85; citazione importante per comprendere la Weltanschauung dello scrittore di Piombino…). Tecnicamente interessante l’adozione della camera a mano nel secondo tempo del film, fascinosa la visione della natura e del popolo dell’Amazzonia, scioccanti la violenza e il sangue; i cannibali divorano una troupe televisiva, difendendosi così dalla loro prepotente ricerca della notizia a ogni costo – la metafora è chiara, per chi parteggiare altrettanto.
“Cannibal Holocaust” venne criticato dagli animalisti e dagli ecologisti (p. 53 per la difesa di Deodato: realismo, e crudeltà mai gratuite; stessi principi ribadisce Lupi a p. 68): subì diversi processi, uscì con anni di ritardo e mai in versione integrale (Lupi parla d’una versione olandese in vhs, più completa). Sembra un must per tutti i cinefili. Personalmente mi riprometto di procurarmene copia quanto prima.
Segnalo, a latere, che nel libro leggiamo, tra le altre cose, di tutti gli pseudonimi adottati dal regista (cfr. p. 37), della storia dell’incontro e della collaborazione con la prima moglie Silvia Dionisio, e dei suoi primi veri nudi; delle collaborazioni musicali con Riz Ortolani e l’argentiano Simonetti.
Ancora qualche annotazione sui film di Deodato: Lupi sembra apprezzare molto anche “Inferno in diretta”, crime story tropicale, con scene gore molto creative, e lo slasher “La casa sperduta nel parco”, con chiare influenze craveniane (cfr. “L’ultima casa a sinistra”). Non ha difficoltà a stroncare le pellicole fallimentari e a segnalare i limiti – che so – del fantasy conaniano “The Barbarians & Co.” o del fantastico-avventuroso “I predatori di Atlantide”, o di quel “Camping del terrore” che omaggia con troppo entusiasmo “Venerdì 13”.
In sintesi, la monografia è godibile, chiara e completa: appassiona anche un neofita. Il cultore della scrittura di Lupi troverà interessanti fonti della sua ispirazione; le scene più crude e violente dei suoi noir – e a questo punto anche certa talentuosa propensione per rappresentare il cannibalismo – non possono non riportare a quanto viene letto in queste pagine. Stesso discorso vale per la lettura su più livelli delle sue opere: potente davvero l’allegoria contro il sistema che il piombinese sprigiona da questo “Cannibal Holocaust”.
Chiudo con le parole di Lupi: “Ho conosciuto Ruggero Deodato alla prima edizione del Joe D'Amato Horror Festival che si teneva in un cinema periferico di Collesalvetti. Mi ha ispirato subito una grande simpatia perché lui è uno che non se la tira, che sta bene in mezzo ai giovani, che ama stare al centro dell'attenzione e fare battute, scherzare... insomma non è più giovane ma si sente giovane. Ho rivisto insieme a lui Cannibal Holocaust e La casa sperduta nel parco e sono tornato ventenne ad appassionarmi per il suo horror cannibale e per il suo cinema di avventura estremo. Ho deciso di scrivere CANNIBAL – il cinema selvaggio di Ruggero Deodato, che è la mia prima monografia cinematografica, come un omaggio al cinema horror italiano che non esiste più, un cinema che da ragazzino (e ancora oggi) mi appassionava molto. Va da sé che se non avessi avuto un rapporto di amicizia e collaborazione con Luigi Cozzi di Profondo Rosso non ne avrei mai fatto di niente perchè non sono molti gli editori italiani che si occupano di questo cinema” – scrive l’autore nel maggio 2007.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.
Gordiano Lupi, “Cannibal – Il cinema selvaggio di Ruggero Deodato”, Profondo Rosso, Roma 2003. In appendice interventi critici di Gian Luca Castoldi, Maurizio Maggioni, Antonio Tentori e Luigi Cozzi. Contiene una bibliografia essenziale con saluti e riconoscimenti a Marco Castellini di www.horrorcult.it , a www.mondoculto.it e a Grattarola e allo staff di Cine 70.
Gianfranco Franchi, Maggio 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.