Piano B Edizioni
2010
9788896665077
In principio era un sito web: www.calciobidoni.it era il punto di riferimento ineludibile per tutti gli appassionati del più goliardico amarcord dei tifosi di pallone, quello degli acquisti straniera sbagliati. Finalmente, la fantastica idea di Cristian Vitali è diventata un libro: “Calciobidoni. Non comprate quello straniero” (PianoB, 2010) è un ricco archivio di vicissitudini calcistiche ed extracalcistiche, dagli anni Ottanta a oggi. Scheda per scheda, vi ritroverete quando di fronte a memorie polverose da vecchie figurine Panini, quando di fronte ad autentici carneadi che anche voi, ossessi della pelota, avevate – ammettiamolo – dimenticato.
Quattro parole per spiegare ai lettori semplici (i non tifosi di calcio) di cosa parliamo quando parliamo di un “bidone”. Il calcio italiano tornò ad “aprire le frontiere” nei primissimi anni Ottanta, consentendo di acquistare un calciatore straniero per squadra (in serie A). In quel periodo, non c'era la straordinaria circolazione di idee, notizie, filmati che oggi conosciamo e diamo per acquisita; in quel periodo, poteva capitare semplicemente che lo scout di una piccolissima squadra provinciale italiana si ritrovasse a comprare, magari per una discreta barca di soldi, un calciatore sudamericano che aveva visto giocare mezza volta, fidandosi alla cieca del suo fiuto, o del consiglio di un loffio dirigente locale. Se l'acquisto era radicalmente sbagliato, le reazioni della tifoseria, e del pubblico nazionale, si facevano più accese; e le polemiche (e le prese per il culo) diventavano più clamorose: trattandosi di un'unica chance, la scelta dello straniero doveva essere indovinata. Ma che dico indovinata: determinante, geniale. Le cose non andarono proprio così. Almeno, non sempre. Man mano, negli anni, si passò da uno a due stranieri per squadra; quindi, tre stranieri; poi – evito la cronistoria precisa – si cominciò a fare distinzioni tra calciatori comunitari (europei) ed extracomunitari, sino ad arrivare alla situazione odierna in cui, nel calcio italiano, nessun europeo è più considerato “straniero” (scelta molto politica, eh?) mentre svizzeri, sudamericani e orientali sì, e quindi possono essere tesserati entro un certo numero. Ciò significa che il mito del “bidone” straniero s'è un po' attutito, proprio perché non si tratta più soltanto di uno o due errori clamorosi; adesso gli errori clamorosi possono essere anche una decina, a ben guardare, e quindi fanno notizia solo in coincidenza con un eccessivo lancio mediatico, ab origine, o con una spesa veramente eccessiva rispetto al valore del calciatore (caso Quaresma-Inter).
Un tempo, per capirci – e poi chiudo e passo a parlare del libro – tutti noi ragazzini sapevamo a memoria quanti e quali giocatori stranieri avevano giocato in squadre come Como, Empoli, Avellino, Pistoiese, Catania: nei loro sporadici o unici (Pistoiese) passaggi in Serie A avevano fatto scelte più o meno azzardate, e quindi per anni bastava nominare certi nomi (Pedrinho! Cop! Skov! Luis Silvio!) per far sganasciare i vecchi amici. “Oh ma ti ricordi quando l'Avellino ha comprato il centravanti greco, Anastopoulos?”. Cose del genere ci divertivano tantissimo. Ce li ricordavamo tutti, questi stranieri, anche perché erano molto pochi, ripeto, per forza di cose. Adesso sfido chiunque a tenere in memoria i nomi dei giocatori stranieri – tutti – che militano addirittura nelle serie inferiori. Impossibile.
Il concetto di “bidone”, quindi, sta tornando a essere anche molto legato agli acquisti “italiani” sbagliati. Il “bidone”, qui a Roma, per esempio, diventa la “sola”. Per capirci... una Roma di quasi vent'anni fa decise di acquistare uno stopper giovane, belloccio, lento e poco tecnico dalla Juve. Veniva da qualche anno dignitoso nel Bologna, si chiamava Marcantonio De Marchi. Giocò una manciata di partite, naturalmente condite da un autogol, credo proprio a favore della Juve, e venne rispedito al mittente. Si trattava di uno dei pochi acquisti di quella stagione, si rivelò un fallimento. Ecco: se fosse stato argentino, l'avessimo pagato dieci, quindici miliardi delle vecchie lire, l'avessimo presentato in pompa magna come il nuovo Passarella, avesse giocato quindici partite e poi fosse tornato a casa sarebbe stato uno dei “bidoni” degni di apparire in questa antologia. E cioè si sarebbe chiamato Roberto Luis Trotta. Trattandosi di un italiano, non fa notizia. Se vogliamo è questo l'aspetto tragicomico e vagamente xenofobo della nostra cultura calcistica; le radici di questa strana e altrimenti incomprensibile forma di xenofobia, lo ripeto, stanno a monte. Tutto chiaro? Bene. Adesso divertiamoci.
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C'è bidone e bidone. C'è il calciatore straniero veramente improponibile, uno che in patria non era salutato come un fuoriclasse o un grande giocatore e quindi è davvero difficile decifrare perché sia stato acquistato (Luther Blissett), e c'è quello che in patria o a livello internazionale aveva fatto grandi cose, ma nel nostro calcio non ha saputo ambientarsi, per varie ragioni (tattiche, sociali, climatiche e via dicendo). Ma la cosa più divertente – ammettiamolo – è concentrarsi sugli improponibili, non tanto sui grandi o buoni giocatori che qui hanno fallito (Amor e Socrates nella Fiorentina, Rui Aguas nella Reggiana, Rush nella Juve, Geovani nel Bologna, Mendieta nella Lazio, Ruggeri nell'Ancona). La loro bandiera è l'africano Zahoui, acquistato dall'Ascoli di Rozzi nei gloriosi anni Ottanta. I più lo ricordano come “Zigulì”, e forse c'è poco davvero da aggiungere.
La categoria degli improponibili include tendenzialmente soggetti provenienti da nazioni che non hanno mai brillato nel calcio internazionale: con poche, o nulle eccezioni. Il primo improponibile presente in “Calciobidoni” è una mezzala del Bologna 1988-89, Aaltonen, proveniente dall'oscura compagine finnica del Turun Palloseura, alle spalle un gol da 35 metri a Zenga, in Coppa Uefa. Bastò quella giocata da fuoriclasse paesano a convincere l'allora presidente dell'Inter che si trattava di un fenomeno. Possibile? Possibile. Per fortuna dei nerazzurri, l'Inter aveva già abbastanza stranieri in squadra; il ragazzo venne così spedito a farsi le ossa prima in Svizzera e poi in IT, al Bologna. Tre spezzoni di partite, parecchi esami all'Università, e poi una carriera fatta di oscure comparsate in Europa e in Israele. Oggi insegna Economia in patria. Si dice sia un genio dell'economia. Staremo a vedere. L'unico talento prodotto, ad oggi, dal calcio finlandese rimane Litmanen, ex Ajax. In Italia non ha mai giocato. In compenso, abbiamo ospitato per sei mesi un altro mediano, Lehkosuo: a Perugia lo ricordano per la prima conferenza stampa. Gaucci aveva detto che eravamo di fronte a un altro Benetti.
Il calcio greco, storicamente, non è in grado di produrre geni del football. La Grecia ha vinto un eroico Europeo, qualche anno fa, trincerandosi dietro il più fosco contropiede della storia del calcio moderno. Noi italiani abbiamo voluto comunque sincerarci della qualità dei loro talenti, acquistando negli anni Ottanta una loro gloria locale, Anastopoulos. Giocò nell'Avellino, in campionato non segnò mai, si fece notare per l'indolenza e l'abulia, accompagnò mestamente in B i lupi irpini. Si dice che tornò in Grecia in pedalò. Ci piace credere che sia andata così. In pedalò non è tornato a casa Zagorakis, acquistato dal Bologna post famoso Europeo ellenico: Vitali non ne parla, ma siamo sempre dalle parti della bufala di prima qualità. Onesto mestierante fu invece Dellas, ex Perugia, ex Roma. Molto alto. Molto rude. Stopper.
Il calcio tunisino, come sa anche il mio gatto, non ha niente a che fare con il calcio europeo. Eppure ci fu una parentesi tunisina nel Genoa di Franco Scoglio. Vitali ci spiazza tirando fuori il misterioso terzino di spinta Khaled Badra, 16 presenze e nessun gol nel 2001, rimosso anche dagli ultras genoani. Giurerei non sia stato l'unico tunisino di quel Genoa, ma vado a memoria. Scoglio era stato l'allenatore della Tunisia e sembrava convinto d'aver scoperto la nuova frontiera del calcio. Sospetto fosse l'unico a pensarlo.
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Il bidone per eccellenza è brasiliano. Perché il Brasile è la nazione del calcio, perché “brasiliano” è sinonimo, con poche eccezioni, di calciatore molto forte tecnicamente, capace di dare nuova linfa alla parola “imprevedibilità”, di calciatore superiore. Peccato che non sempre sia così. Il primo della lunga serie di bidoni brasiliani è Luis Silvio. Costò una cifra accettabile, si presentò con questa benedizione di Falcao (“Luis Silvio? Mai sentito nominare”) e si rivelò inadatto al ruolo di centravanti: era una “ponta”, non una “punta”. Era un'ala. Per anni, si giurò che fosse rimasto a Pistoia per vendere gelati in curva. Altri dicevano che si fosse ricostruito una vita come pizzaiolo, altri erano convinti d'averlo visto in un film porno. Recentemente ha smentito tutto, riemergendo dal buio. L'altro è il povero Eneas, comprato dal Bologna nel 1980-81. Indisciplinato, insofferente al nostro clima, generoso ma inadeguato, segnò tre reti e tornò in patria, senza scrivere nuove pagine di storia del calcio. Qui in Italia sono rimaste molto impresse le sue calzamaglie di flanella.
C'è stato poi Caio, ventisei partite tra Inter e Napoli, metà anni Novanta, centravanti estraneo al gol, eterna promessa inespressa; Fabio Junior, il più sciagurato acquisto della Roma di Sensi, trentacinque miliardi per una schiappa senza precedenti, spacciato come punta superiore a Ronaldo e Romario; il gaucho Toffoli, che ha fatto ghignare mezza Lecce; lo stravagante Wagner, comprato dalla Roma di Zeman in vena di sperimenti e di sorprese. La lista è veramente sterminata.
Dici Uruguay, e se pensi alla vera pippa uruguagia pensi a Jorge Caraballo, scelto dal figlio di Anconetani negli anni del Pisa in A, primissimi Ottanta, su segnalazione di un tassista di Montevideo (!). E dire che nei begli anni del Pisa nella massima serie Anconetani padre indovinava acquisti stranieri micidiali, da Chamot a Berggreenn. Caraballo, oggi, fa il tassista. Si dice. Destino. L'altro uruguagio equivoco fu un pallino di Mazzola, José Maria Franco, protagonista – si fa per dire – del Toro tra 2002 e 2005. Pagato quattordici miliardi (!), rimase un giovanotto di belle speranze, incapace di incidere nelle sorti della squadra, stipendiato come un fenomeno. Due nomi su tutti.
Mi fermerei qui, dovremmo esserci capiti. Must per gli appassionati di calcio, alla larga tutti gli altri. Gran bella idea. Andrebbe applicata anche all'editoria, se solo le cifre fossero pubbliche. Una bella carrellata di artisti stranieri comprati per una barca di soldi, spacciati per nuovo King, nuovo Tolkien, nuovo Proust, e rimasti per anni a prendere polvere nei magazzini. Ci sarebbe da ridere... libri comprati perché “vendono su Amazon”, oppure semplicemente per una bella presentazione su un catalogo straniero, o per la segnalazione di un agente amico. È la prassi, sapete? Nell'ambiente si ride per anni per certi straordinari anticipi versati per libri semplicemente sciagurati. Ridono meno gli editori. Come i presidenti delle squadre di calcio. Cose che capitano.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Cristian Vitali (Terracina, 1980), giornalista e conduttore radiofonico, fondatore del sito www.calciobidoni.it
Cristian Vitali, “Calciobidoni. Non comprate quello straniero”, PianoB, Prato 2010. Prefazione di Ivan Zazzaroni. Introduzione di Cristian Vitali.
Gianfranco Franchi, Giugno 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Scheda per scheda, vi ritroverete quando di fronte a memorie polverose da vecchie figurine Panini, quando di fronte ad autentici carneadi che anche voi, ossessi della pelota, avevate – ammettiamolo – dimenticato.