Zona
2010
9788864381077
Gli italoamericani non possono essere soltanto quelli eternati da Puzo e dal suo “Padrino”, malavitosi e vincolati a un primitivo sistema di valori, né possono andare esclusivamente ascritti alle fascinose saghe plurigenerazionali dei Bandini e dei Molise di John Fante (o dei Dante, adesso, grazie al figlio Dan). Esistono tutta una serie di microcosmi da raccontare e restituire a dovere, nel 2010, perché qui in patria si possa studiare e apprezzare l'evoluzione della cultura e dello stile delle famiglie partite a volte più d'un secolo fa, e andare a tenere vivo almeno idealmente il legame tra i loro discendenti e le nostre nuove generazioni. E allora, con una differita di appena una trentina d'anni, possiamo apprezzare l'interessante e caratteristica opera prima dello scrittore italoamericano Anthony Valerio, un narratore laterale nato e cresciuto a Brooklyn negli anni Quaranta. “The Mediterranean Runs Through Brooklyn” [1982] è stato appena tradotto in lingua italiana da un piccolo editore di progetto, Zona, per inaugurare una nuova e interessante collana integralmente dedicata alle scritture italoamericane, diretta dal professor Peter Carravetta.
L'esordio di Valerio è una raccolta di racconti strutturata in due parti asimmetriche: “La famiglia” e “Il mondo”. Nella postfazione, Robert Viscusi, cofondatore dell'Italian American Writer's Association e docente di letteratura inglese e americana al Brooklyn College della City University di NY, ci racconta che l'artista ha definito questo libro una “risposta consapevole a Il Padrino di Puzo: la descrizione di una famiglia italo-americana, di tipo diverso certo, ma pur sempre una famiglia italo-americana”. Viscusi osserva che il testo di Anthony Valerio “include tutte le fantasticherie, l'immaginario vivace, la palma del pellegrino – che non conosce confini nazionali né vincoli di parte – insomma i volteggi di una mente spregiudicata, un aspetto della vita borghese che Puzo esclude rigorosamente dalla saga dei Corleone, col suo patriarca severo e i suoi violenti tirapiedi. Le storie di Valerio appartengono ad un altro ramo della letteratura italo-americana [...]” (pp. 129-130). Insomma, è abbastanza pacifico: stiamo per andare incontro alle vicende di quella pioneristica piccola borghesia italo-americana che tanto credito ha guadagnato, nel tempo, negli States. Le origini proletarie delle famiglie sono distanti anche due generazioni – e si sente. E tuttavia, va da sé, ciò che appare più affascinante per noi italiani è scoprire cosa Anthony Valerio racconta della filosofia e dello stile delle famiglie dei nostri emigranti di seconda o terza generazione. A livello di stile e di scrittura non si registra infatti particolare brillantezza, o personalità.
In uno dei primi racconti, “Le mie zie”, Valerio racconta un fenomeno interessante, sia da un punto di vista socio-economico che culturale. “Più di un italiano ha sacrificato il proprio futuro per la famiglia di sua moglie. Adeguata ricompensa per un uomo simile è che diviene parte della famiglia della moglie, anche se è impossibile: il suo sangue e il loro non sono lo stesso. Lui cerca di realizzare l'uguaglianza attraverso la comunione con il corpo di sua moglie […]. Se non fosse per questa follia, avremmo potuto avere un italiano di spicco sulla Luna, forse qualcuno persino in Ohio” (p. 37). Poco più avanti, come se non bastasse, ci racconta che i parenti acquisiti non possono diventare “capofamiglia”. Cosa riconosciamo in questa dinamica? Niente di più famigliare dell'italianissima lealtà all'istituzione della famiglia: una lealtà che affonda le sue radici non soltanto nell'antica società contadina, ma anche nella terribile povertà che secolarmente ha falciato il nostro popolo, con brevi interruzioni, dalla lontanissima caduta di Roma fino al Novecento. Società estremamente povere dovevano assolutamente considerare i legami famigliari come uno dei sentieri ideali (basilari) per la sopravvivenza. La solidarietà tra membri d'un clan era fondamentale. I risultati li conosciamo tutti, nel bene e nel male.
Nel racconto “Due italiani”, nella seconda parte del libro, c'è un altro aspetto caratteristico e peculiare. Un giovane italoamericano parte per il suo viaggio in Italia. Visita i parenti nei luoghi dell'emigrazione per eccellenza, almeno nell'immaginario americano, vale a dire “Napoli” e “la Sicilia”: in entrambi i posti ci sono famigliari. E poi – divertente deviazione sempre meridionale – “durante una sosta a Bari sposò la bella figlia di un pescatore” (p. 96). In questo senso Puzo ha fatto scuola, c'è poco da fare. Con la differenza che ha preferito ancorarsi alla Sicilia, senza dare vita a improbabili “alter grand tour” che partono da Napoli, passano per Bari e finiscono in Sicilia.
Un rilievo divertente è prendere atto che secondo Anthony Valerio la “peggiore offesa per un italiano” è la parola “cretino”: questo perché rispettiamo “le persone educate”. Mi piacerebbe molto così fosse, non posso dire d'esserne convinto. Ho il sospetto che dietro la parola “educazione” si nasconda dell'altro. Una cosa che invece rimane profondamente vera è il culto (l'ossessione?) per l'alimentazione: nel racconto “L'ictus” leggiamo: “Mangiare era sacro per i Caccia. Non importava quale catastrofe piombasse su di loro, fintanto che erano in vita dedicavano estrema cura all'acquisto e alla preparazione del cibo”. E questa cultura e questo culto, immagino, non cambieranno mai.
Non potevano mancare i siciliani. C'è più di qualche curiosità, nel racconto “I miei zii”: Anthony Valerio parla degli isolani servendosi di convinzioni e topoi antichi, per ribadirne la riconoscibilità. Qualche esempio divertente: “Freddie e io siamo veri siciliani. Ci piacciono le fave e la 'Cavalleria Rusticana'” (p. 42). Oppure: “Nella foto di famiglia fratelli e sorelle si somigliano molto: grosso naso a fungo, occhi vicini, scuri e infossati, capelli lisci e neri; in breve, le caratteristiche di molti siciliani” (pp. 45-46).
A latere, bisogna registrare che, come correttamente rileva Viscusi, Anthony Valerio, in questo suo esordio, mostra una curiosa sensibilità nei confronti della “sessualità infantile”: essa “permea tutti i ricordi che affollano il libro, tingendo le storie degli italiani di Bensonhurst di prima, seconda e terza generazione di un fascino struggente, pronto a virare verso incongruenze surreali” (p. 128). Ci sono più d'una descrizione della madre e della sorella del narratore che confermano in pieno la bontà dell'osservazione del postfatore. In generale, però, devo dire che non condivido la sua osservazione sulle “incongruenze surreali”. Mi sembra, piuttosto, che Valerio abbia una particolare facilità nel descrivere scene di nudo, sia maschile che femminile; è molto curioso e sicuramente simbolico (d'una lettura simbolica molto elementare) che nudi appaiano, in circostanze non sempre quotidiane e piacevoli, il padre e la madre. Non ho idea di quanto l'artista abbia sviluppato questa sua attitudine, nel tempo e nel corso della sua produzione: devo dire che non fatico a credere che sia stato uno degli ambiti principali di sviluppo del suo potenziale creativo, sicuramente dignitoso, ma non memorabile.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Anthony Valerio (Brooklyn, NY, anni Quaranta), scrittore americano. Ha insegnato alla NY University e alla City University di New York. Vive tra Connecticut e New York.
Anthony Valerio, “Brooklyn, Mediterraneo”, Zona, Arezzo 2010. Traduzione di Paola Manuela Battaglia, con la collaborazione di Nausikaa Angelotti. Contiene un intervento di Robert Viscusi. Collana “Atlantis. Scritture italoamericane” diretta da Peter Carravetta.
Prima edizione: “The Mediterranean Runs Through Brooklyn”, USA, 1982.
Gianfranco Franchi, dicembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.