TEA
2014
9788850234615
Bologna, ferragosto. Non c'è un'anima in giro, non c'è nessuno davvero. In una “mostruosità edilizia” ai confini della città, un palazzone di venti piani, tre persone stanno per salire in ascensore. L'ascensore ha le pareti di acciaio inossidabile. La cabina è alta due metri e venti. Capienza sei persone. La porta automatica ha due pannelli scorrevoli in lamiera d'acciaio.
La prima a entrare è Claudia. È una studentessa, si mantiene lavorando come cameriera nel bar del Porco. Fatica a sopportarlo, quel tizio, ma ha bisogno di soldi. Ha ventiquattro anni e i capelli tinti di verde; indossa ancora l'uniforme da cameriera. È lesbica, e ha nostalgia della sua compagna, Bea, che sta girando un film da qualche parte nel deserto, in Marocco. Si consola pensando ai suoi amati fumetti, e alla doccia che tra poco potrà farsi.
Il secondo a entrare è Ferro. È uno che si presenta al suo pubblico strappando la pelle del viso della sua nuova vittima, Alex. L'ha scelto tra i clienti del suo locale, perché aveva la maglietta di una band sopravvalutata come i Sex Pistols. Ferro ha una morbosa ossessione per Elvis. Si veste come lui, ha i basettoni assurdi come lui. Una famiglia normale – preoccupante, in un thriller – un lavoro ufficiale (tre locali: Pink Cadillac, Graceland, Memphis), e una grande facilità di sedurre le donne. Con tanto di scommesse con gli amici (vinte). È malato di snuff movies; adesso ha cominciato a girarli in proprio. E così, prende e inchioda al contrario il viso del ragazzino. Vuole torturarlo meglio, ma gli servono un paio di cose nel suo vecchio appartamento da scapolo. In tasca ha un coltello a serramanico, per sbaglio. Potrà tornargli utile, ma ancora non lo sa.
Il terzo a entrare è Tomas. Ha in tasca un biglietto per Amsterdam, e indosso una maglietta del Boss. È un adolescente ribelle, orgoglioso del suo piercing. Sogna di fondare una rock band. Sta per andare a prendere la sua Francesca, partiranno insieme. È il giorno più importante della sua vita, pensa. Stanno per scappare assieme. Chissà dove andranno a finire, in Europa.
Sono le cinque di pomeriggio: l'ascensore si ferma a metà strada, giusto tra un piano e l'altro. Buio, e poi una luce verde, quella d'emergenza. Schiacciare i pulsanti degli altri piani non serve a nulla. L'allarme non sembra funzionare. I telefonini non hanno campo. Gridare si può, ma non risponde nessuno. Forzare le porte non serve a niente. Una volta aperte, appare un muro. Stop. Claustrofobia assoluta. Ferro, intanto, ha notato il vestitino scollato di Claudia, e ci sta pensando su. Passa un'ora e mezzo. Tomas pensa al treno che parte da Parma alle otto. Rischia di non farcela. Quarta ora. Claudia ha un po' di biscotti, se li dividono. Manca ossigeno: “la gola sembra di cartone per quanto è secca, parlare fa male, respirare è un'agonia” (p. 126). Claudia trova dei pocket coffee in borsa, ne mangia uno di nascosto dagli altri. Sesta ora. Ormai Tomas ha perso il treno. L'ossigeno è un sogno. Là dentro stanno impazzendo. E tutto il resto non posso proprio raccontarvelo, sarei un assassino a farlo. Non sta bene.
Morozzi scantona dalla narrativa pop e generazionale per misurarsi – alla grande – con un genere distante dalle sue corde: il thriller. L'impresa è pienamente riuscita; a testimoniarlo, traduzioni del romanzo in Inghilterra, America e Germania, e prossimamente in Spagna. Non è mancato nemmeno il cinema (“Blackout” Rigoberto Castaneda, Messico, 2007), e chissà cosa potrebbe derivarne ancora; magari, chissà, un remake del film messicano diretto e architettato a Hollywood, con un cast di tutto rispetto. La sensazione è nelle mani di Fincher questo film potrebbe avere un impatto molto simile a quello di “Saw”, grande ibrido tra “The Cube” e “Seven” uscito qualche anno fa. “Blackout” è ben strutturato e ben scritto; il colpo di scena finale è inatteso e ben calibrato, e il messaggio politico e mediatico (rimango vago ad hoc: non me ne vogliate) arriva pienamente a destinazione. Decisamente ben fatto lo studio dei personaggi; Morozzi racconta le storie di tutti e tre, spargendo per ognuno le sue grandi passioni; Claudia diventa una fumettara, Tomas un giovanissimo fan di Bruce Springsteen, Ferro un ossesso da Presley. Manca qualche riferimento al Bologna, e poi ci siamo, il dna autoriale è chiaro, completo e riconoscibile. La vicenda è ambientata, con la consueta intelligente fedeltà al proprio territorio, nella città delle Due Torri.
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Omaggiati direttamente o indirettamente parecchi film: “Le Iene” di Quentin Tarantino; “Cocktail” con Tom Cruise; “Star Wars I”; “Matrix”; “The Others”; “Blair Witch Project”; “Io e Annie”, “Amore e guerra”.
Musica: omaggi diretti a Springsteen (“Gloria's Eyes”, “Burning Love”, “Thunder Road”, “Born to Run”; non mancano “Viva Las Vegas” e altre cover del Re); Presley (“Can't Help Falling In Love”, “Suspicious Mind”, la cover di “Bridge Over Troubled Water”,). Omaggi indiretti a Cobain, David Bowie (“Ziggy stardust”), Pearl Jam, Who.
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Non soffro di claustrofobia, ma soffro molto la costrizione a dover dividere uno spazio ridotto con troppe persone estranee; curiosamente, questo non avviene allo stadio, ma da qualche tempo mi succede nei concerti che si tengono in locali non eccessivamente grandi. Stessa dinamica si ripete negli uffici postali, o in banca o in coda, nel traffico. Scatta, direi, superata una soglia che mi sembra si stia pericolosamente abbassando, negli anni, un senso di irrequietezza e di fastidio che sfocia con discreta facilità nell'intolleranza, e nell'aggressività. Leggere questo romanzo ha rappresentato, da questo punto di vista, un incubo: ero facilmente portato a identificarmi nel giovanotto che aveva un appuntamento tre ore dopo, e pensavo al senso odioso di perdita di tempo e di lucidità che doveva massacrarlo, in quella cripta: assieme, trovavo e trovo eccezionalmente indovinata la descrizione di fastidio per la compresenza di due estranei in quella gabbia. Morozzi, eliminando ogni attrattiva sessuale nella ragazza, lesbica, e descrivendola fisicamente poco seducente (se non fosse per il vestitino...) mi ha aiutato a vivere la simulazione di quello stallo abominevole come un incubo assoluto. Non riesco a immaginare come potrei comportarmi, in un contesto simile. Senza dubbio rimarrei freddo a oltranza, per qualche ora. Poi, sospetto, vivrei un'alternanza di risate nervose e di scatti d'ira per sfondare tutto, gridando per essere liberato. Infine, mi chiuderei in me stesso, cancellando – per quanto possibile – l'alterità. Già, per quanto possibile. Morozzi ha infilato, non a caso, un esperto di snuff movies, in questa prigione d'acciaio.
Assolutamente da leggere, che amiate i thriller o no, proprio come il sottoscritto; Morozzi scrive così bene che neanche vi accorgete di ritrovarvi in un romanzo di genere, e facilmente visualizzerete tutto quel che sta accadendo. E vi innervosirete; e avrete paura; infine – forse – sorriderete. Ho detto: forse.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gianluca Morozzi (Bologna, 1971), scrittore e musicista, ha esordito pubblicando il romanzo Despero per Fernandel nel 2001. È stato tradotto in Inghilterra, America e Germania. Sostiene di essere “il più grande tifoso del Bologna mai esistito”; a quanto pare è proprio così.
Gianluca Morozzi, ”Blackout”, Guanda, Parma, 2004.
Approfondimento in rete: WIKI It
Gianfranco Franchi, agosto 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.