Guanda
1981
Non ho mai sopportato l’esistenza di un pensiero come quello che sto per esternare: ossia, che un libro non debba poter circolare o non debba più essere ristampato. Stavolta – e con profondo malessere – mi avvicino alla consapevolezza che un’opera come questa non può che sporcare l’intelligenza umana, macchiare la storia della letteratura francese e mostrare lo strapiombo dell’arte d’uno scrittore che accantona la narrativa per sprofondare nei liquami d’un pamphlet paranoide, aberrante, vigliacco e idiota.
L’Ebreo massacrato e demonizzato da Céline non è soltanto la metafora d’un potere massonico, mafioso e razzista al contempo: è l’Ebreo in quanto appartenente a una razza, quella ebraica, dipinta come votata a una e una sola causa: schiavizzare e distruggere quella “ariana”.
Siamo nel 1937. Céline si rivela omofobo, razzista, paranoide, demonizzatore, assolutamente antisemita, totalmente antimassonico; il suo nazionalismo francese è imperialista; la sua capacità di denunciare e criticare limiti, aporie e vizi dell’umanità sembra essere marcita: Céline s’è inventato un mostro, e questo mostro è l’Ebreo. Non è il primo ad avere creduto all’esistenza d’un male assoluto; è in buona compagnia, assieme ai regimi totalitari e alle religioni monoteiste. Ma mi fa piangere l’idea che uno scrittore di così grande talento abbia ceduto alla pazzia in questa maniera, e abbia avallato idee così assassine, demenziali e volgari.
Il delirio paranoide di Céline vede ebrei al centro e al comando d’ogni cosa: delle banche (Rotschild), del socialismo, dell’editoria, del cinema, del teatro; della massoneria, delle Chiese Protestanti, e via dicendo. Tutto quel che circonda Céline – e il mondo, a suo dire – è figlio d’un complotto giudaico, massonico, plutocratico e via dicendo. Gli ebrei hanno deciso ogni guerra: e nelle guerre non fanno morire i loro figli: questo è il tenore delle argomentazioni. Naturalmente, condite di tutte le peggiori volgarità che la mente umana possa concepire. Devastante.
L’anticomunismo di Céline può invece soltanto fargli onore; meno per certe argomentazioni (i leader bolscevichi erano fondamentalmente ebrei: naturalmente) che per altre, che piuttosto contribuiscono a denunciare sin d’allora l’arma della propaganda del regime sovietico, e la miseria che massacrava la martire popolazione russa. Purtroppo, questo libro non è un pamphlet anticomunista: l’anticomunismo nasconde soltanto l’ennesima dichiarazione d’odio alla razza ebraica.
Di fronte a tanta violenza, tanta cattiveria e tanta cieca determinazione, rimango onestamente depresso. Mi consola parzialmente quel che scrive il prefatore, Leonzio, in “Dolore e corruzione”: «Per molto tempo ho cercato di spiegarmi perché Bagatelles pour un massacre fosse l’unico libro veramente infernale prodotto dalla letteratura francese dopo Choderlos de Laclos. Ogni metodo usato per situare o circoscrivere questo disumano atto d’accusa e di autoaccuse rischia di apparire funesto o ridicolo: ridicole le motivazioni patologiche (“un momento di follia”) e quelle estetiche (“l’antisemitismo è solo una metafora dell’odio per il mondo”); funeste quelle psicologistiche (“Céline vuole fare scandalo perché in una fase di impotenza creativa”) e quelle enigmatiche (“Bagatelles è un pamphlet antisemita ma noi non sappiamo cosa siano gli ebrei per Céline”). Per quanto queste sciocchezze contengano sempre un riverbero di verità, la realtà è che la materia di questo libro, più che ributtante è intrattabile, impermeabile a qualsiasi giudizio non pretenda di usarla» (p. 7).
Un libro più che ributtante: intrattabile. Spesso Céline ricorre a dei dati: le fonti citate sono sempre prive di puntuali riferimenti bibliografici. Riporto soltanto questo schema, che costituirebbe una “Dichiarazione del Gran Rabbino”: imprecisata, orba di date e di altri riferimenti. Avrà senso trascriverla? Soltanto per dimostrare il livello di pazzia dell’autore francese, e per spiegare a fondo quale fosse la sua ossessione: “Popolazione totale della Francia: 40 milioni. Ebrei e incrociati: 2 milioni. Ricchezza totale della Francia: 1.000 miliardi, di cui 750 agli Ebrei. Francesi mobilitati nella prima guerra mondiale: 8.400.000. Ebrei: 45.000. Francesi uccisi: 1.750.000 (1 su 5). Ebrei uccisi: 1.350 (1 su 33)” (p. 99)
Ora: siano o meno autentici, questi dati rivelano quale fosse il tarlo di Céline, e degli antisemiti – in generale: la consapevolezza che la ricchezza della nazione fosse in mano a una minoranza di cittadini “stranieri” (non posso che virgolettare), sentita come estranea, profittatrice e rivale. Quella minoranza, nella loro percezione, dominava e inevitabilmente dettava legge. L’odio cieco – ribadisco, pure nell’ipotesi grottesca che quei dati corrispondano alla verità – imponeva di parificare ogni ebreo a un altro ebreo: il povero proletario o il piccolo borghese veniva equiparato al ricco banchiere. La teoria delle razze era l’arma princeps per giustificare un malessere economico di un popolo: possibile? Il razzismo questo nasconde, semplicemente? Fame di denaro e potere, o di diversa distribuzione di denaro e potere?
Céline è orribilmente pesante, alogico e stupido, quando argomenta così, altrove: “Per il popolo un Ebreo è «un uomo come un altro»…questa spiegazione lo convince al cento per cento…i caratteri fisici, morali, dell’Ebreo, il suo infinito arsenale di astuzie, cautele, piaggerie, la sua avidità delirante… la sua prodigiosa slealtà… il suo razzismo implacabile… il suo strabiliante potere di menzogna, assolutamente spontaneo, di una faccia tosta mostruosa… l’Ariano li ingoia ogni volta… li subisce in pieno, fino a dissolversi, sparire, creare, senza chiedersi un solo istante quel che gli capitando…cosa succede?...che razza di musica?... Crepa come ha vissuto, mai disingannato, cornuto fino in fondo” (p. 124).
Il viaggio nell’incubo non finisce qui. Céline trascrive – sempre senza integrare corretti riferimenti bibliografici – frammenti del Talmud. Che dovrebbero suggerire al lettore l’idea che la prima religione razzista e violenta sia quella ebraica. Dunque, mi limiterò – non potendo verificarne la correttezza e la puntualità nella traduzione, confidando tuttavia nell’antica cura editoriale della Guanda – a trascrivere questi passi talmudici; che onestamente mi sembrano altrettanto inquietanti, quindi preferisco immaginare si tratti d’un errore di Céline o di una traduzione infedele; o di testi desacralizzati. In nessun caso, anche qualora fossero autentici passi del Talmud, mi sembra – ovvio e stupido ribadirlo – che possano giustificare un libro assassino, spietato e razzista come questo. Non è a certe ingiustizie che si deve rispondere con ingiustizie peggiori o più atroci. Questo è un campione delle citazioni talmudiche celiniane:
“L’Ebreo che stupra o corrompe una donna non ebrea e anche la uccide deve essere assolto secondo giustizia, perché non ha fatto del male che a una giumenta” (Il Talmud) – p. 194. “Gli Ebrei sono la sostanza stessa di Dio, ma i non-Ebrei non sono che semente di bestiame” (Il Talmud) – p. 219. “Dio ha dato agli Ebrei ogni potere sui beni e sul sangue di tutti i popoli” (Il Talmud) – p. 225. “I non-Ebrei sono stati creati per servire l’Ebreo giorno e notte” (Il Talmud) – p. 246. “Né promesse né giuramenti impegnano l’Ebreo verso i cristiani” (Il Talmud) – p. 252. “Solo gli Ebrei sono uomini e le altre nazioni non sono che varietà di animali” (Il Talmud) – p. 253.
Fine dell’incubo: chiudo per sempre questo libro, e non leggerò più niente di Cèline per qualche anno. Mi devo spurgare dal male: soffoco.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Louis-Ferdinand Destouches, detto Céline (Courbevoie, 1894 – Meudon, 1961) medico e scrittore francese.
Louis-Ferdinand Céline, “Bagatelle per un massacro”, Guanda, Milano 1981. Traduzione di Giancarlo Pontiggia. Nota introduttiva di Ugo Leonzio.
Prima edizione: “Bagatelles pour un massacre”, Paris 1937.
Gianfranco Franchi, Lankelot, 25 luglio 2005