Einaudi
2005
9788806180355
Quarto romanzo della serie di Hap e Leonard, “Bad Chili”, pubblicato nel 1997, è solo apparentemente un nuovo, scanzonato noir dei due detective per caso: in realtà, si direbbe una digressione sulla loro vita sentimentale, su un amore perduto prima per incomprensione e poi per una tragedia – è il caso del nero e omosessuale Leonard – e su un amore inatteso, fortunato e capace di superare il destino e i tornado – è il caso del bianco, total etero Hap. “Bad Chili” è, diciamo così, uno strana commistione tra noir e rosa, più felice nei momenti in cui parla d'amore (d'assenza, di nostalgia, di comprensione, di possesso) che in quelli in cui sprofonda nella solita, contorta e caotica vicenda à la Lansdale. In questo frangente – ma forse, ripeto, ha davvero minor rilevanza – i due si ritroveranno sulle tracce del cupo King Arthur, re del chili e di tutta una serie di altri traffici; attraverso snuff movies o giù di lì, omosessualità violenta e striscia (ti pareva) di omicidi legata a quell'ambiente, indagine in sostituzione o al fianco (non sempre gradito) delle sempre abbastanza fiacche forze dell'ordine.
Il nuovo ragazzo di Raul, l'ex amorazzo di Leonard, è un motociclista (poliziotto, scopriremo. Anche) dal curioso ed evocativo nome di battaglia: Cazzo-di-Cavallo. Come un capo indiano, qualcosa del genere. L'uomo chiamato cavallo fa una brutta fine: Leonard potrebbe essere uno dei sospetti. A nessuno sono sfuggiti (e a molti non sono estranei) i suoi scatti d'ira, negli anni, né la forza dei suoi sentimenti per Raul. Può starci che perda la testa, e che vada al di là del consentito e della legge.
Hap sa benissimo che deve sostenere il suo amico nel bene e nel male, sicuro della sua onestà e della sua (relativa) integrità. Non mancherà. Leonard non crolla, di fronte alla morte: davanti alla tomba di Raul, dice soltanto: “In un certo senso, una tomba non significa niente. Proprio come quando è stato seppellito mio zio. Uno è morto, e questo è tutto” - e poi scalcia un po' di terra sulla tomba, e se ne va (p. 87). In silenzio. Non c'è troppo da aggiungere, a ben guardare. È così.
Al solito, Leonard regala periodicamente lapidarie perle di saggezza popolana. La mia preferita, in questo romanzo, è quella della responsabilità. Ecco, condivido: “Sono stufo di sentire scuse. Un tizio spaccia droga, ed è perché è morta sua nonna. I ragazzi poveri spacciano perché sono poveri. Un altro va fuori di testa e ammazza della gente, e dipende dal fatto che mangiava troppi Twinky, e lo zucchero gli è andato al cervello. A volte può anche essere vero, ma sai una cosa? Non me ne frega un cazzo. Credo che una persona dovrebbe assumersi la responsabilità di essere uno stronzo. Una volta era così. Se facevi qualcosa, dovevi essere disposto a pagare il prezzo. C'era meno di questa merda, prima” (p. 150).
Quanto al resto, stavolta si sente il peso della sua solitudine e della sua malinconia per quanto accaduto tra lui e Raul, e per averlo perduto. Non è una malinconia schiacciante; in compenso, la sua è una solitudine convincente.
Passiamo ad Hap. Mesi dopo l'esperienza di lavoro su una piattaforma petrolifera, è appena tornato a casa a Laborde, Texas. Neanche il tempo di poggiare i piedi sulla terra tanto amata che subito prende e sprofonda nel grottesco: viene mozzicato da uno scoiattolo, probabilmente malato di rabbia. Già che c'è, vede subito di ammonirci: “Se non avete mai visto uno scoiattolo arrabbiato, avete visto poco, e udito ancora meno, perché il verso di uno scoiattolo incazzato è qualcosa che non si dimentica. È così acuto e forte da farti scappare i coglioni nel buco del culo” (p. 6). Imprecare non serve a niente: il feroce animaletto si infuria sempre di più (forse, scrive Lansdale, perché ha tendenze battiste).
Di qui in avanti, superata la degenza in ospedale, ritroviamo il nostro detective della domenica impegnato nella relazione con un'infermiera molto appariscente e dal passato altrettanto notevole: e ingombrante. È una wasp simpatica e aperta, dalla battuta pronta e dalla coscienza delle proprie radici culturali (razziste, rozze e radicali), disponibile ad abbracciare la diversità (il fratello di Hap, Leonard, è l'antitesi delle persone frequentabili, per il suo ambiente originario: è negro e omosessuale. Olè!) e ad affrontare i soprusi e le ingiustizie (marito violento di sua sorella incluso. Al limite, poi chiude i giochi Hap. Cavalleresco). Dov'è il thriller, allora? C'è, ma stavolta non vi dico niente o quasi. Non è solo per non privarvi del piacere della scoperta, ci siamo intesi. Secondo me JRL aveva una gran voglia di parlare d'amore. A modo suo, è chiaro. Cos'è? È quando, al termine di un uragano (simbolico e non), ci si ritrova, “bagnati fino alle ossa, a osservare la luce del giorno morire lentamente, per lasciare il posto alla notte”. Poi, “Le stelle iniziarono a bucare l'oscurità vellutata, come spilli attraverso un tessuto nero. Poi sorse un bellissimo quarto di luna. Lì, nella vasca umida che era il nostro letto, con la notte per soffitto, sopraffatti da uno strano senso di pace, ci addormentammo abbracciati” (p. 257). Trascrivendo questo passo ho appena fatto uno sgarbo terribile a tutti quelli che non hanno mai letto il romanzo: ve ne accorgerete, prima o poi, ed eventualmente scatteranno le necessarie rappresaglie. Non me ne vogliate, compari: stavolta ho nascosto la trama. O forse l'ho stanata, decidete voi.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951), scrittore e sceneggiatore americano. Ha esordito pubblicando “Act of Love” nel 1980.
Joe R. Lansdale, “Bad Chili”, Einaudi, Torino 2003. Collana Stile Libero Noir. Traduzione di Alfredo Colitto.
Gianfranco Franchi, aprile 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.