Alet
2009
“Appunti sparsi e ribaldi su cani e libri” è una nuova, succulenta plaquette natalizia della Alet, da Padova; negli anni scorsi, avevamo apprezzato “I fatti di Poznan” di Bilenchi e “Lettere alle tre amiche” di Slataper. Stavolta, scopriamo due rari scritti di Steinbeck nella traduzione di Fabio Zucchella. Il primo, “Appunti sparsi sui cani”, è originariamente apparso nel “Saturday Review” nel 1955; il secondo, “Appunti sparsi e ribaldi sui libri”, nel volume “The Author Looks at Format” di Ray Freiman, nel 1951. Potete leggerne un'anticipazione su “Tuttolibri” del 19 dicembre, on line – sin quando Torino vorrà – a questo indirizzo qui.
Nel primo pezzo, Steinbeck scrive ispirato dalla nostalgia per un suo vecchio setter, T-Dog, un cane che “vedeva cose inconoscibili”, sino forse a smettere di credere alla realtà che percepiva e all'esistenza della persone, restando illuso di sognarle e basta; quel cane, un giorno, aveva deciso di andarsene a spasso, forse per predicare il suo verbo ai suoi simili. Il ricordo di quel cane straordinario spinge JS a omaggiare tutti i suoi compari, meditando sui ruoli e sulle funzioni assunte dai migliori amici dell'uomo nel corso dei millenni; cani da guardia, da caccia, da riporto, da compagnia. Oggi – scrive l'artista californiano – i cani sono l'antidoto alla solitudine, sono “il confidente di un uomo o di una donna. Un pubblico attento per i timidi. Un figlio per chi è privo di figli” (p. 10). Sono, in altre parole, semplicemente fondamentali per le nostre anime, e per il nostro equilibrio psichico. Steinbeck non si rattrista per le esistenze dei cani da appartamento: perché vivono (ma si annoiano) quasi il doppio dei cani da campagna. Sogna, infine, un cane con una grande sfumatura di stati d'animo, eccellente per dormire al suo fianco, introverso ma curioso, coraggioso e mai litigioso, d'una razza che forse non esiste: una varietà del bull terrier inglese, bianco.
Nel secondo pezzo, lo scrittore padre di “Al Dio perduto” intercetta e descrive un fenomeno in atto già negli anni Cinquanta: quello del “packaging”, ossia dell'arte della confezione di un prodotto. S'è accorto che l'involucro sta diventando più importante del contenuto: “cosa inevitabile, visto che l'acquirente moderno compra merce confezionata” (p. 15). Lui sogna qualcosa di diverso: che un libro sia sempre economico, e che sia il più possibile simile al libro astratto: “Ci dovrebbero essere libri caldi e libri freddi, libri vivaci e libri tetri. Se un libro è pieno di dolore, i suoi colori e le sue illustrazioni devono essere dolorosi; se è piacevole e acuto, queste dovrebbero esserne le caratteristiche grafiche. Così come un titolo dovrebbe catturare l'essenza di un libro, lo stesso dovrebbe fare il suo formato” (p. 22).
Le copertine dei libri giocano – scrive – su tre tipi di confezione diversa: “quella che attrae come un fiore attira gli insetti, quella che sancisce la loro profondità con copertine austere e noiose (perché in genere la profondità viene ritenuta noiosa) e infine quelle che grazie all'illustrazione in copertina indicano o mentono a loro riguardo. In ogni caso, si tratta dello stesso meccanismo utilizzato per catturare le mosche” (p. 15).
Steinbeck si prende gioco degli editori che pubblicano “a peso” (suggerisce loro di fare copertine di piombo), ammette le sue debolezze (“io sono uno che odia le sovraccoperte. Il mio impulso è quello di toglierle e di sbarazzarmene in fretta. Si sgualciscono e sono d'impaccio”, p. 18), depreca i costi accessori e gli sprechi (“perché è necessaria la tela? Un cartone trattato non sarebbe altrettanto durevole e molto più conveniente?”) e infine considera, orgoglioso e lucido, quanto sia sacro il libro per le civiltà contemporanee:
“Un libro viene protetto e fatto circolare. È rarissimo che un uomo distrugga un libro, a meno che non lo odi veramente. La distruzione di un libro è una sorta di omicidio. E vista la tendenza sempre maggiore a censurare e a controllare la gente per il suo bene, i libri sono l'unica forma di espressione che ancora vi sfugge. Un quadro può essere tagliato a strisce, ma una qualunque forma di restrizione imposta a un libro viene combattuta fino alla morte” (p. 21). E su questa meravigliosa consapevolezza ci congediamo dalla plaquette, sorridendo per la rarità dell'edizione, e per la sua sobria, ma elegante confezione.
BREVI NOTE
John Steinbeck (Salinas, California, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968), narratore e saggista americano, premio Nobel 1962. Fu pescatore e sterratore, giornalista e corrispondente di guerra.
John Steinbeck, “Appunti sparsi e ribaldi su cani e libri”, Alet, Padova 2009. Traduzione di Fabio Zucchella. Edizione stampata in 500 esemplari. La mia è la copia numero 87. Testi tratti da “America and Americans and Selected Nonfiction”, a cura di Susan Shillinglaw e Jackson J. Benson, Penguin 2003.
Gianfranco Franchi, dicembre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.