Voland
1998
9788862430180
“Antichrista” è un romanzo breve concentrato fondamentalmente sulla grazia, sulla frustrazione e sugli estremismi del periodo più contraddittorio ed estremo della vita d’un essere umano, l’adolescenza. Amélie Nothomb dà vita a due personaggi dalla psicologia pericolosamente antitetica: Blanche e Christa.
Sono due sedicenni eccezionalmente precoci: frequentano già l’Università. Blanche è un’adolescente solitaria e introversa che vive in un microcosmo di letteratura e studio. Figlia di due professori che la percepiscono infelice e prigioniera del suo amore per la lettura, ha scelto di studiare Scienze Politiche per studiare la “convivenza umana”. Si sente priva di grazia ed estranea alla bellezza: è isolata, e vive osservando e amando quel che non può avere, combattuta tra il desiderio di integrarsi nel tessuto sociale dei suoi coetanei e una primitiva pulsione alla coerenza, all’ostinata rivendicazione della sua individualità e delle sue peculiarità – pur così estranee al suo tempo, e così distanti da una pur sommaria comprensibilità allo sguardo dei suoi coetanei. Vive in una camera “sognatoio”: unico arredo, una finestra. Unica pretesa, uncinare lo sguardo alle nuvole (e godere il suo frammento di infinito).
Christa non è stata precoce soltanto intellettualmente: a differenza della co-protagonista, è una seduttrice irresistibile ed è serenamente integrata nel microsistema degli studenti universitari. Ha quel fascino naturale che, di volta in volta, chiamiamo “magnetismo” o “carisma”: non può non piacere, non può non attrarre, non può non essere desiderata. Ha un ragazzo, Detlev, che somiglia vagamente a David Bowie e – a sentir lei – rappresenta la nuova incarnazione dell’archetipo del cavaliere servente: bello, nobile e tenebroso. Pendolare tra la sua cittadina d’origine e l’Università, di origine e cultura franco-tedesca, Christa ha eccellenti talenti mimetici: metamorfica e adattabile a qualsiasi contesto, è ovviamente portata a vampirizzare l’intelligenza, la bellezza e l’umanità del prossimo.
Blanche vede sorridere Christa in un corridoio, in facoltà. Attende invano che le si avvicini. Una settimana dopo, allo sguardo di lei corrisponde un sorriso. È il principio di una relazione ossessiva, allucinata e tormentata. Christa si insinuerà nella quotidianità famigliare e nell’intimità di Blanche, mentendo e corrompendo la serenità della vita della sua amica, che aveva deciso di ospitarla in casa per evitarle la noia del pendolarismo giornaliero.
Christa costituirà il modello di quel che Blanche avrebbe dovuto essere, nelle interazioni coi suoi genitori e con l’alterità in generale, e quel che Blanche avrebbe potuto essere, fisicamente. Perché il primo, grottesco e drammatico segno dell’abisso che separa i due mondi rappresentati dalle adolescenti è uno specchio. Christa vuole provarsi gli abiti dell’amica, e si spoglia nuda, di fronte a lei, con una disinvoltura impeccabile. Ma pretende che avvenga lo stesso. Non pensa ai vestiti. Pensa a mettere Blanche di fronte alla verità.
La coscienza del suo sgradevole aspetto estetico, a dispetto dello splendore del corpo dell’amica, significherà la radice d’una relazione fondata sulla sproporzione, sulla dipendenza della più debole e della più sfortunata dalla più forte e fortunata, sull’indesiderata “iniziazione” alle norme e alle consuetudini d’una vita che per Blanche ha ancora in serbo un meraviglioso (almeno: in linea teorica) scrigno di prime volte.
Blanche, pur interdetta e infastidita, accetterà di spogliarsi. Sarà il principio della fine del suo vecchio mondo. Christa è l’esperienza che ancora non aveva: specchio e simbolo di quel che non potrà essere mai. Perché il suo corpo “urla di fame”. Perché quando s’emoziona è come “spaventata dalla gioia”. È una diversa, e dovrà trovare la rabbia e l’orgoglio di restare sola e bastare a se stessa, amandosi prima di poter amare altre persone.
«A sei anni, spogliarsi non è nulla. A ventisei, è ormai una vecchia abitudine. A sedici anni, spogliarsi è un atto di una violenza insensata. “Perché mi chiedi questo, Christa? Sai cosa significa per me? Lo pretenderesti, se lo sapessi? È proprio perché lo sai che lo pretendi? Non capisco perché ti obbedisco” » (p. 16)
Come a volte accade nei romanzi nothombiani, l’insistenza e l’aggressività dell’antagonista dell’io narrante sono patologici ed esasperati: il male, nella letteratura della scrittrice belga, non conosce nessun filtro, nessuno scrupolo etico o morale, nessuna pietà della sofferenza e del dolore del prossimo. È un male compiaciuto e cosciente di se stesso, fino al parossismo. Gli antagonisti nothombiani sono artisti dell’egoismo, campioni di vanità e presunzione, dominatori e prevaricatori: con quella “malignità divertita” che conoscevamo, ad esempio, nelle diaboliche incarnazioni letterarie del “Maestro e Margherita” di Bulgakov.
Veniamo ad altri aspetti del testo. È ormai superfluo ribadire la scintillante intelligenza dei monologhi interiori (con non episodici aforismi di gusto wildiano), e lo splendido ritmo dei dialoghi nelle opere della Nothomb: tuttavia bisogna ammettere che questo romanzo, a differenza della stragrande maggioranza degli scritti del genio di “Mercurio”, pecca onestamente di originalità. L’intreccio non ha niente di inedito, né di insolito, né di atipico; le sporadiche digressioni sulla natura di “Antichrista” dell’antagonista non sollevano una narrazione piuttosto piatta. Increspando le quasi centoventi pagine s’incontrano segni dell’adorazione della bellezza e dell’iperbolico edonismo della Nothomb, ma sembrano piuttosto attutiti rispetto al passato. Non vorrei nemmeno pensarlo, e non intendo essere sessista affermando quel che sto per scrivere; ma ho il vago sospetto che questo libro sia destinato a essere compreso soltanto dalle adolescenti; o dalle donne che non hanno dimenticato di esserlo. Questione di sensibilità, di percezione della realtà, di quel segreto splendido e irrisolvibile chiamato femminilità.
Concludo trascrivendo due tra i passi più ispirati dell’opera. Solo una grande lettrice poteva parlare con tanta grazia della lettura: a voi. “(…) una delle gioie della mia vita di adolescente consisteva nella lettura: mi sdraiavo sul mio letto con un libro e diventavo il testo. Se il romanzo era bello, mi trasformavo in lui. Se era mediocre, trascorrevo comunque delle ore meravigliose a godere delle cose che non mi piacevano e a sorridere delle sue occasioni mancate. La lettura non è un piacere sostitutivo. Vista dall’esterno, la mia esistenza era scheletrica; vista dall’interno ispirava quello che ispirano gli appartamenti il cui unico mobilio è una biblioteca sontuosamente stracolma di libri: l’ammirazione gelosa per chi non si sovraccarica del superfluo e trabocca del necessario” (p. 49).
E ancora, più avanti: “L’infelicità serve a qualcosa: io, per esempio, avevo recuperato la mia stanza e il mio diritto alla lettura. Non avevo mai letto tanto come in quel periodo: divoravo libri, sia per compensare le carenze passate sia per affrontare la crisi imminente. Chi crede che leggere sia una fuga è all’opposto della verità: leggere è trovarsi di fronte il reale nella sua massima concentrazione, il che, stranamente, è meno spaventoso che avere a che fare con le sue eterne diluizioni” (pp. 111-112).
Da leggere, comunque. È sempre Nothomb.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. “Igiene dell’assassino” è stato il suo primo romanzo.
Amélie Nothomb, “Antichrista”, Voland, Roma 2004. Traduzione di Monica Capuani.
Prima edizione: “Antéchrista”, 2003.
Gianfranco Franchi, gennaio 2005.
Prima pubblicazione: Lankelot.