Marcos Y Marcos
2010
9788871685267
Dan Fante, scrittore italo-americano classe 1942, è un figlio d'arte con piena dignità artistica, e discreta personalità autoriale. L'ombra del padre, John Fante, è quella scomoda e magnifica del genio. L'opera prima di Dan, “Angeli a pezzi” (“Chump Change”, 1998; IT, Marcos Y Marcos, 1999; 2010), è la difficile, tumultosa e sofferta trasfigurazione della sofferenza del figlio per la malattia e la morte del padre; coincide con un suo ritorno alla scrittura, e con l'agognata prima giornata di lucidità dopo anni di sbronze e di blackout figli dell'alcol, e della depressione. Sembra quasi che Dan Fante riesca a diventare uomo, dopo una lunga e sregolata adolescenza, soltanto nel momento in cui perde il suo faro, e il suo totem. Suo papà. Ogni lettore maschio di una certa età può capire almeno vagamente cosa significhi. La differenza è che nostro padre non era John Fante. Ma sempre grande e ispirato come Fante ci sembrava.
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Stilisticamente, per via della sua immediatezza e della sua estrema semplicità, Fante è stato accostato a Bukowski: la Pivano, a suo tempo, dichiarò che i suoi romanzi sono ballate di amore e di morte, come quelli di Buk e di suo padre. Io sono reduce dall'esperienza di questo suo primo libro, non posso generalizzare; in questo libro c'è più morte e rinascita che amore. L'amore è quello filiale, sconsolato, intenso, tenero. Quello famigliare, volendo, anche: c'è qualche (riuscito) cameo della mamma di Dan Fante e di suo fratello. Senza bruciarvi niente, dico solo che lei è una lettrice forte. Qualcosa avrà significato.
Entriamo nel vivo. “Angeli a pezzi” è la storia di Bruno Dante, appena uscito dal reparto alcolizzati e malati di mente d'un ospedale del Bronx. È un (non più) giovanotto estremo, autodistruttivo e non estraneo a tendenze suicide. È sposato con Agnes da undici anni. Lei ormai odia suo marito e si maledice per il matrimonio, ma sembra rispettare quel legame come niente fosse, formalmente. Non è mai in ritardo. Era un'insegnante sensibile e seducente, occhi neri, capelli neri, un culo meraviglioso. Si erano incontrati quando Bruno scriveva versi – iconoclasti, rabbiosi, brevi. Davvero un'altra epoca. Adesso, “Volevo scrivere, ma non ci riuscivo. Non mi interessava più. Avevo perso la capacità di concentrazione. Ero un ubriacone. Lo sapevo, e non ci potevo fare niente” (p. 20). Quando suo fratello legge una sua vecchia poesia, si ricorda che mezzasega di scrittore sempre emergente e solo emergente è stato: “pretenzioso, senza talento, senza pudore” (p. 70).
Bruno parte per Los Angeles. Suo padre è malato. Lui intanto si guarda allo specchio e si sente un impostore. “Giacca e cravatta erano assurde ed eccessive. Ancora lì a cercar di mostrar loro che stavo bene. Che mi fregava? Tanto lo sapevano che la mia vita era a pezzi” (p. 33). D'altra parte, è contento di ritrovarsi a L.A., perché si sente degno di quella comunità – come gli assassini di suo padre: “produttori cinematografici ventiduenni che avevano spappolato il suo cervello e guru della distribuzione che avevano deciso il corso della sua vita”.
Le descrizioni del padre al capezzale sono vivide, e scabre. Ma umanissime. “Mi avvicinai al letto e gli presi una mano”. Perché questo soltanto puoi fare, in quei momenti. “Le dita erano corte e grosse. Buone per impugnare il martello, magari anche uno scalpello. Mi ricordai di quelle dita. Mi ricordai anche di aver pensato, una volta, che probabilmente Michelangelo le aveva uguali. Le dita di mio padre avevano forgiato parole senza prezzo, quelle parole erano balzate fuori dalla sua macchina per scrivere su chilometri di carta, creando quello straordinario fiume di onestà e di dolore che era la sua opera di scrittore. I suoi romanzi. Ora il fiume era secco. Abbassai la testa, mettendomi la sua mano sulla guancia, sperando di poter dire qualcosa a quel fantasma. Non mi venne una sola parola” (p. 60).
Prima di poggiare giù la mano, qualcosa riesce a dirgli. E mentre dice quelle cose semplici e bellissime si sente qualcosa che scava dentro di lui, e va a fondo, e va a fondo, e va a fondo. “Era il vuoto di un buco che non si sarebbe mai più riempito”.
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Dan ci racconta dei libri di suo padre. “I libri sugli scaffali dietro la scrivania erano quelli importanti. Roba sacra. A differenza di tutti gli altri, non venivano mai spostati, se non per essere riletti. C'era tutto Knut Hamsun, tutto Sherwood Anderson, tutto Jack London. Nella casa di Dante si parlava solo di grandi scrittori, grandi artisti, grande letteratura. Uomini di talento, come lui (…). Gli altri libri, quelli che non meritavano, stavano per terra, in pile. La maggior parte era comunque di scrittori buoni, ma in realtà papà Dante non li aveva mai letti. Era uno che sfiorava i libri, sempre impaziente, mai entusiasta. Leggeva interi libri a quel modo, pochi paragrafi, a caso” (pp. 82-83).
“Fame” dell'immenso Knut Hamsun è il libro che ha fatto diventare scrittore John Fante – questo ci rivela Dan. Nel segnalibro, aveva scritto centinaia di volte il suo nome. Knut Hamsun, Knut Hamsun, Knut Hamsun. Proprio come avrebbe fatto suo figlio, senza saperlo, con Cummings.
A un tratto, nelle ultime battute, Dan-Bruno si ritrova in una libreria di modernariato. Scopre, vicino a una leggendaria traduzione del “Demian” di Hesse, e a una copia di “Festa mobile” di Hemingway, il tascabile di “Chiedi al vento”. Ha perso la sua copia tanti anni prima. Sente di volerla. Sfoglia e ritrova la dolorosa onestà delle parole di JF che ben ricordava. Riconosce suo padre al massimo delle sue potenzialità. È pronto a comprarlo, ma non ha abbastanza soldi. E il commesso sembra stronzo. Il resto lo scoprite da soli. Fatevi un regalo, scopritelo presto.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Dan Fante (Los Angeles, USA, 1942 – Los Angeles, USA, 2015), scrittore americano. Ex tassista, ex venditore porta a porta, ex lavavetri, ex chauffeur, ex investigatore privato, ex parcheggiatore e via dicendo. Uomo avventuroso.
Dan Fante, “Angeli a pezzi”, Marcos Y Marcos, Milano 2010. Collana minimarcos, 6. Traduzione di Marco Giovannini e Mary Sellers.
Prima edizione: “Chump Change”, 1998.
Gianfranco Franchi, febbraio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.