Castelvecchi
1994
9788886232227
Mi dichiaro Giovane Salmone di Tommaso Labranca. Sono partito a valle, dall'ultimo libro – il magnifico “78.08”, Excelsior, 2008 – e lentamente e gioiosamente sto risalendo alla sorgente. Era da un pezzo che non mi veniva voglia di leggere l'opera omnia di un autore partendo da un solo libro. Vorrei tornare indietro di dieci anni per ritrovarmi la scrivania deserta di ultime uscite e strenne, popolata solo e soltanto delle mie scelte e dei miei gusti, per vederla puntinata da tutti i libri di questo artista unico, coraggioso e divertente, schizzato e insolente, profetico e intelligente. Andrò piano, ma prima o poi me li pappo tutti. E ve ne parlo. Perché di fronte al talento assoluto c'è solo una cosa da fare: scriverne e celebrarlo. Labranca merita. Nessuno, tra i nostri contemporanei, ha uno stile e una personalità autoriale del genere; la cifra stilistica di Labranca, la satira, è d'altra parte poco letteraria, in Italia, e ingiustamente impopolare. Qui siamo di fronte a un intellettuale, a un artista, a un osservatore del nostro tempo e della nostra società, di profondità abnorme e di ferocia colossale. E come se non bastasse: non annoia, non rallenta, non si ripete. Si rinnova. E rinnovandosi resta fedele a sé stesso, alla sua anarchica e atipica visione della cultura e della società, ghignando del male, dei fallimenti, del dolore. Di tutti quelli che sembrano sbagli. Con disinvolta grazia, restituisce dignità agli errori. Scrivendo, restituisce vita al cadavere dell'originalità. Ecco: voglio dirlo. Labranca è ORIGINALE. Spendo l'aggettivo impronunciabile per antonomasia. È proprio il caso. Onore al merito.
1994. Opera prima di Tommaso: “Andy Warhol era un coatto”. Incipit letteratura nova, satirica e corrosiva. Italiana, e d'avanguardia. Avanguardia mai cerebrale o fredda: c'è più sentimento in queste divertite evasioni e deviazioni da qualsiasi convenzione strutturale o da qualsiasi canone che in un romanzo di formazione. C'è, in altre parole, anima. Libera, e forte.
“Il trash in sé non esiste. È solo un'apparenza che si rivela quando qualcuno vuole negarlo. Il trash in sé non esiste. Non esiste nulla che sia trash, come non esiste nulla che sia aulico. Il trash in sé non esiste. Siamo noi che lo creiamo ogni volta che ce ne chiamiamo fuori” (LABRANCA, “Andy Warhol era un coatto”)
Il pregiudizio estetico – insegna Labranca – è “come un torrente impetuoso, inarrestabile, che con la sua forza cerca di convogliare a valle il consenso di ogni essere pensante” (p. 17). I giovani salmoni del trash devono risalire questo “fiume ribollente di boria e di ignoranza”: devono risalire alla fonte e inaridirla. Chi sono i Giovani Salmoni? Quelli che credono che certe cose non siano affatto brutte, subculturali o basse. E ci credono spontaneamente.
Sono quelli che osservano, non giudicano. Labranca si emoziona di fronte a una cartuccia stereo 8 di Fausto Papetti: si guarda intorno, cerca complicità. Invano. Piuttosto, c'è chi gli domanda: cos'è il trash? Partiamo da un presupposto: il trash è l'espressione di un ritardo; perché tendenzialmente si tratta di un'emulazione, e quindi è differito rispetto all'originale. Esistono tre ritardi possibili, come scoprirete (ri)leggendo questo formidabile manuale. Di norma, in ogni caso, “quando si è trash, non si sa mai di esserlo” (p. 31): in quel caso si precipiterebbe in un approccio freddo, kitsch o camp.
Vi sono dei creatori originali, insegna mastro Labranca, ed emulatori più o meno riusciti. E la distinzione è fondamentale: “Il creatore del vero è un artista, è il demiurgo, lo stilista, l'ideatore, il rivelatore, l'iniziatore, mossi da tecnica e demone. Il creatore del falso (falsario) è un imbroglione, ma anch'egli è un artista, benché limitato. È mosso solo dalla tecnica e non ha spirito. La sua attività è tesa soltanto a copiare pedissequamente il già fatto, a cercare di ripetere il successo già affermato. Non desidera apparire, desidera solo guadagnare” (p. 47). L'emulatore trash non è un falsario. È uno che vuole proprio sostituirsi al creatore.
Quando subentra la consapevolezza, si rischia di precipitare nel kitsch o nel camp. “Il kitsch mira a essere elevato, ricco. Nella preoccupazione di esserlo, tenta l'annientamento di tutto ciò che è basso, volgare, con l'effetto di essere ciò che non è. Il camp è invece il trash che si fa consapevolezza, ma si spinge troppo in là nel gioco e perde la sua spontaneità”, scrive Emanuele Bevilacqua nella prefazione.
Secondo l'artista milanese, il trash si fonda su cinque pilastri: la libertà d'espressione, la contaminazione, l'incongruenza, il massimalismo, l'emulazione fallita. “Non sono i Prodotti in sé a essere infami, sono le Intenzioni che stanno dietro di loro a essere abiette”, spiega. Qual è il nemico primo? La critica. Per un Giovane Salmone, esiste l'osservazione e non la critica. “L'uomo, per segnare i limiti del territorio estetico o sociale in cui si sente dominante, non orina, ma fa di peggio: ride, compassiona o distrugge con la critica, creando così una barricata virtuale (...) dietro la quale crede di essere al sicuro dalle contaminazioni del ridicolo” - leggiamo nel fulminante capitoletto “Territorial Pissings”. L'approccio più sbagliato? Quello freddo, classico del kitsch: “Il kitsch, come tutti i tentativi di conservazione della presunta purezza della razza, è un atteggiamento assolutamente deprecabile e attuato da imbecilli, di fronte ai quali qualsiasi reazione è giustificata, dall'insulto alla bomba”, sbotta Labranca. E si ride – leggendo, non si ride quasi mai.
Nella seconda parte del libro, esempi illustrati. Meritano di essere ricordati almeno Bill Clinton-Mariotto Segni, Brian Ferry-Roby Vandalo, Nutella-Niger. Nella terza, agiografie non autorizzate, tra cui quella eponima (notevole), “La generazione de I Quindici”, “Musica leggera e letteratura pesante” (ovvero come rapportare Proust a Claudio Baglioni: “probabilmente (e saggiamente) Proust non avrebbe neanche scritto una sola riga, annichilito dalla grandezza di un artista che incarna meglio di chiunque altro il sentimento del tempo”, p. 106). Must assoluto. Quindici anni dopo, “Andy Warhol era un coatto” rimane una lettura fondamentale. E un'autentica lezione di stile.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tommaso Labranca (Milano, 1962 - Pantigliate, 2016), scrittore, autore radiofonico e televisivo, agitatore culturale.
Tommaso Labranca, “Andy Warhol era un coatto”, Castelvecchi, Roma 1994. Prefazione di Emanuele Bevilacqua.
Gianfranco Franchi, dicembre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.