Alluminio. Intervista all’autore

Alluminio Book Cover Alluminio
Luigi Cojazzi
Hacca
2007
9788889920114

Incontriamo Luigi Cojazzi, letterato classe 1976. L’artista ha esordito pubblicando, nell’autunno del 2007, “Alluminio” per i tipi di Hacca. La prima domanda, naturalmente, è legata alla recensione appena pubblicata (qui): è uno scritto equilibrato? Ci sono errori, omissioni, fraintendimenti, alterazioni dello spirito e del senso dell’opera? Carta bianca, Luigi: a te. Critica la critica, ripresenta – se necessario – il romanzo.

LC: Be’, il mio spirito autocritico vorrebbe dirti prima di tutto che ne hai parlato troppo bene, ma dalla Hacca mi hanno diffidato dal continuare a uscirmene con cose di questo tipo. Dicono che l’understatement quest’anno non va più di moda. Scherzo, ovviamente. La censura in campo editoriale non esiste. E poi tutti sanno che, in interviste di questo tipo, le risposte dell’autore sono generate da un semplice software che assembla automaticamente e del tutto casualmente frasi prive di un significato reale.

Ok, adesso la pianto con le battute (erano un omaggio al nostro comune idolo, Claudio Morici. E poi l’inizio delle interviste è in genere l’unico momento in cui mi escono delle cose non troppo pesanti). La tua analisi mi sembra che abbia due grossi meriti: prima di tutto non ha puntato troppo sul calcio, argomento che spesso corre il rischio di prevaricare altri aspetti del libro (e comunque quando hai toccato il tema, ne hai messo in luce la valenza metaforica, il suo essere trasfigurazione poetica del reale prima, e tendenza autodistruttiva in seguito, un andare incontro alla propria sconfitta come forma estrema di resistenza).

In secondo luogo hai colto, rimarcandolo nelle citazioni che hai scelto, che il fulcro centrale del racconto è nella messa in discussione di una temporalità ‘orientata al ritorno’. È qui che si annodano parte narrativa e parte concettuale del testo. Un modo per leggere molte delle vicende dei personaggi è proprio in questa domanda: possiamo davvero sperare in qualcosa di slegato dal passato? Esiste un modo per concepire la speranza come qualcosa di totalmente nuovo, di totalmente altro, rispetto a quanto si è già dato?

Ecco, credo che con questi due passaggi tu sia riuscito a sintetizzare in modo estremamente appropriato ed efficace il nucleo di Alluminio.

GF: Bene. Vorrei che ci parlassi della tua esperienza da osservatore internazionale in Colombia, tra 2003 e 2004, per le Peace Brigades International. Quanto ha inciso nella tua formazione e nella tua scrittura? Quanto ha influenzato lo spirito di “Alluminio”?

LC: Diciamo che, senza quell’esperienza, difficilmente Alluminio avrebbe avuto un’ambientazione latinoamericana. In Colombia lavoravo in una zona in disputa tra la guerriglia da un lato e l’esercito e le forze paramilitari dall’altro, e dove la popolazione civile, e in particolar modo le comunità contadine, si pongono il problema quotidiano di come resistere al conflitto. Quell’esperienza è stata l’occasione di incontrarmi con tutte le tonalità emotive di un mondo in cui le parole speranza, sconfitta, futuro, morte assumono delle connotazioni ben precise. E da qui nasce anche l’idea di interrogarsi su alcuni aspetti della espressione della violenza, e sulle forme in cui questa espressione avviene. In Colombia, la brutalità degli attacchi ai civili rappresentano la massima visibilizzazione dell’uso della forza. In Argentina invece, almeno per certi versi, c’è stata all’epoca della dittatura una sorta di ribaltamento del rapporto tra violenza e visibilità. Il desaparecido diventa simbolo del delitto negato, del crimine attuato ma tenuto lontano dallo sguardo. La vittima viene fatta scomparire, lasciando in ombra la violenza che viene esercitata sul suo corpo.

GF: Passiamo ai tuoi artisti di riferimento: ti domando quali sono i libri che ti hanno cambiato la vita, quali quelli che avresti voluto scrivere, quali quelli che non avresti voluto leggere. A latere: ti conosciamo anche come traduttore; c’è qualche opera in particolare che senti determinante nella tua formazione artistica? Chi senti più tuo tra gli autori che hai tradotto?

LC: Mah, un libro su tutti che mi ha cambiato la vita: Sorvegliare e punire di Michel Foucault. Be’, non è narrativa, ma comunque la qualità letteraria è notevole, uno stile pulito, preciso, depurato fino all’estremo di ogni moralismo. Ma di Foucault potrei citare anche altre opere, come Le parole e le cose.

Più che parlare di altri autori di riferimento, preferisco dirti due splendidi libri letti in questo periodo: Vergogna, di Coetzee, e Scogliera, di Olivier Adam. Ecco, forse proprio quest’ultimo è un libro che mi sarebbe piaciuto saper scrivere. Uno stile in grado di graffiare la pagina, ma con molta delicatezza, di toccare ma senza mai diventare patetico. Comunque, sono più contento che l’abbia scritto lui, intanto perché mi risparmio un bel po’ di fatica, e poi perché ho come il sospetto che io avrei rovinato tutto…

E quanto ai libri che non avrei voluto leggere, ho avuto la fortuna di essere davvero riuscito a non leggerli! O almeno la prontezza di riflessi per lasciarli lì dopo poche pagine. Passando al discorso traduzione: più che gli autori tradotti, direi che per la mia formazione è stato determinante proprio il tradurre in quanto tale. L’attitudine alla ricerca della parola, a tornare continuamente sull’organizzazione della frase, per limarne gli intoppi, smussarne le asperità, e raggiungere l’obiettivo di trasmettere nella maniera più chiara e appropriata lo spirito del testo originario. Ecco, per me scrivere è prima di tutto è confrontarsi con questa cura della frase.

GF: Genesi di “Alluminio”: come e quando è nata l’idea del romanzo? C’è stato un innesco, diciamo un’esperienza o una canzone o un incontro che ha dato vita alla scrittura di questo libro?

LC: La prima cosa che mi sono immaginato, è stata la fine. Ho visto la scena finale. E volevo riuscire a raccontarla. Ma per farlo, dovevo riuscire a capirla bene, e devo dire che ci ho messo un po’. Mi sembrava che nella densità della scena si intrecciassero modi differenti di vivere l’abbandono. Mi interessava esplorare quelle varie “forme dell’abbandono” (questo è stato a lungo il titolo del progetto di lavoro). Raccontare storie a partire dal fallimento dell’idea originaria che contenevano. Alluminio nasce da un’ossessione per il rapporto dell’uomo con la sconfitta, vista come uno dei momenti in cui l’uomo può raccogliersi più in prossimità di se stesso, può testare la saldezza e la coerenza dei propri principi. Nasce dall’esigenza di raccontare alcune figure emotive che stanno all’incrocio tra l’amore, l’abbandono e la sconfitta. Storie di uomini che si dibattono nella loro caduta, ma che cercano anche di attuare delle modalità di resistenza alle differenti forme con cui il potere stringe la sua presa sui loro corpi.

Di lì in poi, di inneschi ne ho avuti tantissimi, per ogni parte o scena del libro che prendeva vita. L’innesco per me è qualcosa che improvvisamente ti accende un’idea (e che non ha un’attinenza diretta e immediata con quello che ti stai apprestando a fare, se non per te solo). Una canzone, la strofa di una poesia, un’immagine, un racconto che magari hai già letto mille volte e di colpo ti dice qualcosa di nuovo. Per esempio: la prima pagina del Gioco del mondo di Cortázar. E-bow the letter dei Rem. L’incipit di Trainspotting. I ragazzini colombiani che giocano a calcio sotto la pioggia. A volte può bastare l’accostamento di due parole. Il loro suono inaspettato.

GF: Cosa avresti voluto che scrivessero o dicessero del tuo libro? Come sognavi fosse presentato, e come volevi fosse confezionato graficamente?

LC: Domanda ardua. In effetti, non mi sono mai posto il problema di come sarebbe stato recepito il libro. Credo che anche adesso, l’unico timore è verso le letture che lo riducono a un solo aspetto: un libro sui desaparecidos. O: un libro sui mondiali del ’78. O peggio che peggio: un libro sul calcio. Non credo che ci sia niente di più fuorviante che si potrebbe dire sul mio racconto (né di meno accattivante). Per il resto, trovo interessante qualunque nuovo spunto qualcuno possa cogliervi dentro. Anche se magari è qualcosa cui in realtà non avevo mai pensato. Per quello che riguarda la veste grafica, avevo un po’ gli stessi timori, che potesse suggerire una di quelle letture monodimensionali. Ragion per cui avrei preferito evitare il pallone. Ma alla fin fine credo che l’accostamento tra il titolo, e il bel tango (con miccia e reminiscenze varie) realizzato dal bravissimo Maurizio Ceccato, mantenga un suo certo effetto spaesante (‘di che cosa diavolo parlerà questo libro?’), che spesso è ciò che incuriosisce il lettore a prendere in mano un volume.

GF: Sei tra i primi artisti pubblicati dalle promettenti Edizioni Hacca. Puoi parlarci della collana e della casa editrice, in generale? È un progetto editoriale destinato a incidere nel nostro tempo?

LC: Hacca è un marchio editoriale nato come costola della Halley (una casa editrice marchigiana specializzata in giuridica e professionale) appena un paio di anni fa, è un progetto quindi nuovissimo, e che ha il suo motore giovane, fresco e inarrestabile in Francesca Chiappa, direttrice editoriale, e nella editor Cristina Tizian. Mi sembra che nelle prime scelte editoriali ci sia già una evidente dichiarazione di intenti, una volontà di portare avanti una ricerca letteraria a tutto campo. Scritti che colgono la contemporaneità da prospettive differenti, autori che esulano da quei modelli di narrativa autoreferenziale che potremmo definire ‘ombelicale’. Se poi inciderà nel nostro tempo, eh eh, questo sarà il tempo a dircelo (tanto per chiosare con una frase che va bene per quasi tutte le occasioni, e che potrebbe essere benissimo una citazione di qualche libro sacro. Che so, Tao-Te-King, XV-XVII; oppure: Morici, Actarus, p. 44).

GF: Un rugbista che scrive di calcio: perché? Raccontaci del tuo amore per il rugby, e delle analogie e delle differenze nell’essenza di questi due sport.

LC: Il calcio, a me, in particolare qui in Italia, crea un certo fastidio. È uno sport ormai talmente ridotto alla sua dimensione di evento mediatico, da non avere più alcuna plausibilità, almeno come sport intendo. Del rugby, di cui sono un appassionato fin da piccolino (ricordo che nel giugno dell’87, ero un bambino, mi alzai alle cinque di mattina per vedere in diretta la finale dei primi mondiali), adoro il suo essere riuscito a rimanere ai margini del mondo televisivo, e in questo modo a conservare una sua dimensione orale; un suo épos eroico e un po’ sbruffone, fatto di leggende, ricordi, esagerazioni e reale spirito del superarsi.

In questo senso il rugby non è una battaglia, ma ne è la perfetta finzione, ma, perché la finzione regga, agli interpreti è richiesta un’assoluta dedizione alla sua etica di fondo. Ecco perché per esempio nel rugby non si vedrà mai un giocatore abbandonarsi a sceneggiate dopo un fallo, né qualcuno dei partecipanti insultare l’arbitro. Sarebbe come per un attore farsi beccare sul palco fuori dalla propria ‘parte’, mentre chiacchiera con il gobbo, o come se un musicista se la prendesse con il direttore d’orchestra. Delle mancanze imperdonabili. Capaci di mandare all’aria tutto lo spettacolo. È questo che mi rende tanto inguardabile il calcio. È così poco… credibile.

E così, quando in Alluminio ho cercato a mio modo di costruire una leggenda del calcio, sono andato a pescare proprio nella vasta mitologia del rugby.

GF: Progetti futuri: chi e cosa vorresti raccontare adesso? Cosa dobbiamo attenderci dal secondo romanzo di Luigi Cojazzi?

LC: Mi piacerebbe esplorare un asse tematico che è rimasto tutto sommato fuori dal primo libro. Quello del desiderio.

GF: Grazie davvero della disponibilità, e grazie per questo tuo magnifico romanzo. Ogni migliore auspicio, davvero.

LC: Grazie a te. E lunga vita a lankelot.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luigi Cojazzi (Colli Orientali del Friuli, 1976), laureato in Filosofia all’Università di Padova. Traduttore, redattore, viaggiatore e scrittore italiano. Questa è la sua opera prima.

Luigi Cojazzi, “Alluminio”, Hacca, Macerata 2007.
Copertina e logo design: Maurizio Ceccato, IFIX Project.

Gianfranco Franchi, dicembre 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Intervista a Luigi Cojazzi sulla sua notevole opera prima, “Alluminio”, pubblicata dalla Hacca di Matelica.