Meridiano Zero
2008
9788882371746
Quando un sistema muta equilibri – passando dall’ordine al disordine – allora la sua entropia aumenta. E magari possiamo farne letteratura, di queste nuove dinamiche del disordine d’un sistema, con buona pace di Beckett e delle sperimentazioni letterarie più introspettive e profonde, quelle rivoluzionarie intimiste protonovecentesche. Max Giovagnoli, giornalista, saggista e scrittore romano classe 1973, ha deciso di cantare l’entropia nel suo secondo romanzo, “All’immobilità qualcosa sfugge”, storia di sette persone intrecciate da dinamiche di amore, desiderio e morte. Due le reminiscenze cinematografiche chiave per accedere allo spirito del romanzo: la trilogia di Kieslowski, “Tre colori”, e “Magnolia” di Paul Thomas Anderson. Spiego: il narratore, extradiegetico e onnisciente, tiene i fili delle sue marionette, proprio come fosse dio; le sue marionette interagiscono deviando dalle loro relazioni originarie, fracassando stabilità e frantumando ogni equilibrio iniziale, seguendo esclusivamente un principio-cardine: assecondare un disegno che non conoscono. Fossimo stati in epoca classica avremmo parlato di destino, di volontà divina, di dannazione plurigenerazionale e di sacrifici per la liberazione dalle colpe: siamo in era postmoderna, niente destino, niente dio, nessun ghenos da estirpare, nessun disegno misterioso. O forse – proprio come in Kieslowski – necessità e destino sono sinonimi di casualità: si vede che certe storie andavano raccontate. Oppure, come in “Magnolia”, si devono accettare l’inspiegabile, le connessioni tra le vite delle persone, dimenticando che stiamo giocando il gioco di un autore. Il regista. Lo scrittore. Quasi questo regista fosse il regista di un “Truman Show” di weiriana memoria. Già. Altra reminiscenza nient’affatto accidentale, come scopriremo.
Il romanzo di Max Giovagnoli potrebbe – con l’eccezione di una storia, annodata attorno all’esperienza web borghese di “Second Life”, divertissement per creature nicolettiane, e del retrogusto grandefratellide di un’altra – essere stato ambientato in qualsiasi altro secolo, e in qualsiasi società occidentale. Perché le tematiche sono e rimangono quelle che ci ossessionano da sempre: desiderio, fedeltà, verità, lealtà, appartenenza. Cambiate il costume a questi personaggi, cambiate le tecnologie e sempre di fronte alla stessa umanità vi ritroverete. I dialoghi, in questo libro, mancano del tutto o quasi; c’è una discreta epifania di conversazioni avvenute su Second Life che non sembrano molto distanti dal parlato quotidiano e “reale”, e qualche sms e una o due mail – non a caso, confezionate esattamente come le missive scritte a mano di qualche anno fa, o al limite battute a macchina. C’è qualche tentativo di rappresentare l’italiano di una straniera o il dialetto romanesco, ma senza incidere, senza volontà di rappresentarlo. Succede, e scivola.
La questione è indagare e analizzare i sentimenti, scandagliare le emozioni, descrivere. Giovagnoli è un descrittore infaticabile, è come se sceneggiasse e non raccontasse. È come se volesse fosse il lettore a far dialogare queste sue mute creature di carta. È un autore che ti racconta quel che succede ma non sa interpretarlo. Succede. Terza persona. Come centodieci, centoventi anni fa. Come era in principio. La differenza potrebbe, dovrebbe farla l’ambientazione. Uno dei personaggi è uno dei registi dell’abominio catodico per antonomasia della televisione berlusconiana, senza nominarlo – che questo almeno possiamo fare - facilmente avete inteso: parlo dello squallore assoluto della ripresa delle scimmie antropoidi in gabbia, viatico per serate delle scimmiette televisive da Costanzo e nei locali. Scopriamo la sua umanità nel momento in cui s’accorge che il padre sta combattendo contro un grande male all’ospedale: quanto al resto, il personaggio è curiosamente polemico nei confronti di quelle figurette che gli danno da mangiare, i suoi topolini dal volto d’uomo e di donna, e nei confronti della curiosità morbosa del pubblico della sua televisione. Ma insomma, viene il sangue al cervello soltanto al pensiero che un personaggio letterario sia un regista di un format trapiantato da quasi un decennio nelle reti, già pericolosamente livellate verso il basso, del capo del governo, dei suoi sponsor e dei suoi discutibili scherani.
Allora è meglio non pensare che la contemporaneità è il format della casetta con tante telecamere e l’internet dei ricchi annoiati che scoprono il web, dimentichi delle avventure grafiche degli anni Ottanta e Novanta o della preesistenza delle community nel Duemila almeno. È meglio pensare che la contemporaneità di Giovagnoli è composta da quei sentimenti universali che decidono il nostro stato, e determinano i nostri ruoli o almeno le nostre interazioni. Troverete una prostituta dell’est e le sue ferite d’adolescenza, e di perduto romano amore; e la nostalgia irrefrenabile del conquistatore traditore, già sposato e con un bambino in arrivo; e la di lui moglie che intanto tresca su “Second Life” con un loffio parlamentare; mentre la di lui moglie cura il padre del regista di quel programma idiota e patetico, steso su un bianco letto d’un ospedale. Matrimoni traballanti, tresche senza colpevolezza, passioni clandestine e fittizie. Sentimenti falsi ed emozioni vere. Ci si incontra di nascosto, o per caso. Il destino è un disegno. Autoriale.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Max Giovagnoli (Roma, 1973), giornalista new media, romanziere e saggista italiano, già editor per Dino Audino e Halley (narrativa). Dirige il corso di Laurea in Cross-media Communications alla Link Campus University di Roma. Come narratore, ha esordito pubblicando “Fuoco ci vuole” per la Halley nel 2005.
Max Giovagnoli, “All’immobilità qualcosa sfugge”, Meridiano Zero, Padova 2008. Collana Primo Parallelo, 38.
Gianfranco Franchi, maggio 2008.
Prima pubblicazione: “Lankelot”.