ISBN
2010
9788876381539
Berto s'è appena sposato ma non sembra proprio euforico. Dovrebbe essere almeno felice, ma non sembra felice. Sembra preoccupato, più che altro. Lui e sua moglie stanno in viaggio, e lui non ha una gran voglia di pensare. Meglio non pensare. Meglio non capire. Sente che Anna è nervosa, si discute per cose minime. Forse è l'emozione del nuovo, comune inizio. Forse è qualcosa di diverso.
In viaggio di nozze si va nell'isola d'Elba, Berto è originario di quelle parti là. Le prime notti insieme non è che vadano alla grande. Diciamo pure che vanno in bianco. E quando non vanno in bianco somigliano a qualcosa di ripetitivo, di troppo lineare. E Berto si sveglia più stanco di prima. E Berto è comunque confuso. Non vede futuro, e considera il presente un garbuglio.
Anna era la donna di Sergio. E con Sergio era felice. Con Sergio era stata felice. E a Berto aveva detto di sì “senza convinzione, senza dolcezza. Avevo vinto, ma sarebbe stato meglio perdere, forse” [p. 351]. Sergio era rimasto come un'ombra – l'ombra del passato a cui guardare con nostalgia. L'ombra della vita parallela che si poteva, a quel punto, soltanto sognare.
E intanto le giornate passano, e Berto ha la sensazione che il tempo si sia fermato: Berto è impastato di insicurezza e di angoscia, e di rimorsi. “Dovevo essere contento. Dovevo essere felice. Forse bastava un poco di buona volontà, forse bastava cominciare. E invece continuavo a rimuginare le cose, sinché trovavo il particolare sgradevole. Allora lavoravo, lavoravo su quel particolare, lo gonfiavo smisuratamente. Mi dicevo che stava a me fare la mia vita, decidere. Occorreva buona volontà, occorreva cominciare” [p. 380]. Ma non cominciava mai, la vita nuova. Non cominciava niente.
E così, mentre la luna di miele cincischia e vagola, arriva la notizia della morte di Sergio, suicida a Milano. Berto diventa ancora più nervoso. Dovrebbe dirlo ad Anna, ma sulle prime non trova le parole, non trova la forza. Sergio, da morto, è una ragione di angoscia più grande ancora. Berto e Anna si sono sposati distruggendo qualcosa che aveva forza, vivacità e sentimento; assieme hanno dato vita a una routine fatta di grigiore e scarsa comunicazione.
Quando Berto racconta a sua moglie la fine del povero Sergio, niente cambia; c'è dolore, c'è malinconia, c'è buio, ma il destino grigio e fiacco che la coppia s'è scelta sembra, infine, farsi più potente. La giovinezza s'è suicidata assieme al tradito sogno. Piccola borghesia impone fiacchezza, e plastica, e bugia.
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Secondo il professor Guido Davico Bonino, “Acqua alla gola”, terzo romanzo di Oreste Del Buono, può essere accostato al Gogol dei “Racconti di Pietroburgo”, e al suo “registro di spietato grottesco. Non siamo nei meandri dell'allora capitale zarista, ma lungo le linee orizzontali dell'isola natia, l'Elba, dove il protagonista, Berto, conduce la sposa Anna in viaggio di nozze […]” [p. XII].
Nelle “Notizie sui testi”, in appendice, Silvia Sartorio riferisce che la prima edizione di “Acqua alla gola” apparve nel 1953 nella collana mondadoriana “La Medusa degli italiani”. Nelle schede editoriali segnalate dalla letterata, leggiamo i giudizi di Remo Cantoni ed Elio Vittorini. Cantoni salutava, nel manoscritto, un “racconto vivace, schietto, ben dialogato, con un suo sapore di realtà”; Vittorini apprezzava “grandi meriti di leggibilità” e aggiungeva: “Tiene in sospeso l'attenzione come verso un orgasmo. E fa vedere con immediatezza le cose di cui parla” [p. 1611].
Giorgio Bàrberi Squarotti, in una recensione apparsa su “TTL” nel 1992, considerava “Acqua alla gola” una “opera di strenua linearità e di feroce accanimento nell'analisi dell'impossibilità della comunicazione all'interno della coppia […]. Il risultato è altissimo, anche per la scrittura sempre tesa, senza un indugio o una sbavatura, nella quale si aprono, a tratti, squarci mirabili di luna, nuvole, soprattutto di vento sulla sabbia, contro le imposte, sul mare e sul cielo, come un'indicazione di partire, di vivere, di mutare” [pp. 1614-1615].
Dramma esistenziale tinto di incomunicabilità, di sentimento e di nostalgia (di tutto: di rifiuto serio del presente), “Acqua alla gola” è la rovinosa lettura d'una scelta di vita interiorizzata e vissuta come un giogo, e come qualcosa di meccanico, di inevitabile ma di sbagliato. Tecnicamente, Del Buono riesce a restituire con nitore e con precisione una letteraria radiografia delle dinamiche psichiche del personaggio maschile, vellicando soltanto l'eterno femminino nella rappresentazione dell'anima della protagonista. Il risultato è sicuramente dignitoso, ma niente affatto innovativo – comunque apprezzabile per una certa, militare esattezza nella scarnificazione della plastica borghese.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Oreste Del Buono (Isola d'Elba, 1923 - Roma, 2003), è stato scrittore, traduttore, editor presso Rizzoli, Bompiani, Garzanti. Ha diretto “Linus” e collaborato con numerose testate tra cui “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Panorama”. Esordì in narrativa pubblicando il romanzo “Racconto d'inverno”, memorie della sua prigionia di un anno e mezzo, in Germania.
Oreste Del Buono, “Acqua alla gola”, in “L'antimeridiano. Romanzi e racconti. Volume primo”, ISBN, Milano. A cura di Silvia Sartorio. Con un saggio di Guido Davico Bonino e una testimonianza di Nicoletta del Buono. ISBN: 9788876381539.
Prima edizione del romanzo: Mondadori, 1953. Quindi, Ponte alle Grazie, 1992; 1995. In Spagna: “Con el agua al cuello”, Barcelona, 1962.
Approfondimento in rete: WIKI IT / Repubblica
Gianfranco Franchi, novembre 2011.
Prima pubblicazione: Lankelot.
La prima edizione di “Acqua alla gola” apparve nel 1953 nella collana mondadoriana “La Medusa degli italiani”.