Mondadori
2003
9788804512103
Storia di un maratoneta che non ha mai vinto, e di un amore tradito e del tradimento di un amore; storia di un gruppo di mezzofondiste magiare che si devono tramutare in maratonete, e della loro passione macchiata dal doping; storia di una adozione difficile, e della chimica insolita di un fiume; storia d’una ragazza che sognava l’amore ascoltando i R.E.M., e della sua confusione e della sua risolutezza; tra Trieste e la campagna ungherese, attraverso memorie di semitrionfi newyorchesi, vita di un istruttore d’atletica leggera italiano trapiantato provvisoriamente nell’Europa centro-orientale.
Covacich sembra avere un singolare talento per la ricerca di storie d’ambientazione e d’argomento nuovo, o perlomeno insolito; per molti tratti di questo romanzo, come vedremo più avanti, si può parlare di materia hapax; ed è un hapax che però non domanda furiosi e artefatti sperimentalismi, ma al contrario – si accompagna ad una narrazione scorrevole e distesa, mai leziosa e mai pretenziosa. Uno dei tratti distintivi della narrativa di Covacich si può riconoscere nella presenza, finalmente più marcata, delle nuove tecnologie di comunicazione: sms e e-mail. Se la memoria non inganna, le apparizioni più convincenti di queste nuove tecnologie, che effettivamente vanno sradicando le nostre antiche abitudini e accelerando i tempi e le modalità di comunicazione, si erano incontrate solamente nell’ultimo romanzo di De Carlo, “I veri nomi” (Mondadori), e nel divertente e inconsueto esordio letterario di Tullio Avoledo, “L’elenco telefonico di Atlantide” (Sironi). Per apparizioni più convincenti si intende, ovviamente, che non si sia trattato di manierismi o di artifizi: ho indicato questi romanzi perché mi sembra che in essi il ruolo e la funzione di sms ed e-mail sia assai prossimo a quella quotidianità e a quella spontaneità che normalmente hanno acquisito per molti individui. Non è dunque un caso se Dario Rensich, protagonista di questo romanzo, si dichiari inizialmente alieno all’uso degli sms salvo poi adottarli in decine di circostanze differenti senza tradire alcuna difficoltà e mostrando sempre meno imbarazzo.
Da un punto di vista stilistico, è certamente più semplice cercare e individuare, per Covacich, affinità tra autori contemporanei che illustri paternità tra autori del passato; come primo impatto, lo stile e l’argomento dell’opera sembrano denunciare non distanza, ma refrattarietà alla tradizione triestina del Novecento: chi andrà inseguendo le orme d’un nipote di Svevo o d’un figlio di Magris o d’un epigono di Tomizza, andrà deluso. Trieste appare, sì, nell’opera: ma è sfondo, e sfondo perlopiù occasionale; assai reclamizzato pare essere il centro commerciale Giulia, che nello spirito della città gioca oggi ruolo non distintivo, ma omologante nei confronti dell’Occidente; il narratore sembra anzi infastidito dall’aura mitteleuropea che un tempo pareva differenziare e caratterizzare (e certamente ha differenziato e caratterizzato) la tradizione letteraria giuliana. Spazzate via, così, le attese di quanti potevano gioire per un nuovo episodio di Trieste & la Mitteleuropa (nostalgie & speculazioni), si può riconoscere nel Covacich una felice assonanza con artisti anglosassoni, più che italioti; qualche debito nei confronti di Ian McEwan e di Jonathan Coe mi sembra evidente. Non solo nei dialoghi, – particolarmente vivaci, freschi; e piuttosto fedele mi sembra l’adesione al parlato – ma, per esempio, nella singolare importanza data alla “colonna sonora” del libro; senza scomodare la monomaniacalità di Nick Hornby, almeno si può ricordare la centrale importanza che spesso la musica acquista nei romanzi di Jonathan Coe, come elemento connotativo della personalità di un personaggio o di un ambiente. Nel caso dell’ultimo Covacich, il disco omaggiato è il (fiacco, a dire il vero, e deludente per i vecchi fan) recente “Up” dei R.E.M.; in almeno due circostanze, viene ripescata la classica ballata “Losing my religion”, che tanta fortuna diede ad “Out of time” nel 1991.
A voler cercare artisti italiani prossimi a Covacich, il primo nome che viene in mente è certamente quello di De Carlo (non il De Carlo del “Treno di panna”, ma il De Carlo degli ultimi “Di noi tre”, “Nel momento”, “I veri nomi”), per facilità di scrittura e contemporaneità dell’ambientazione, e fedeltà al parlato nei dialoghi; fedeltà che Covacich aveva già dimostrato ne “L’amore contro”, pure romanzo più crudo e “aggressivo” da ogni punto di vista; per freschezza, verrebbe da dire, ed effervescenza della lingua, si pensa a Roberto Pazzi; per ragioni analoghe a De Carlo, si può nominare l’ultimo Brizzi, quello de “L’elogio di Oscar Firmian e del suo impareggiabile stile”. Non vorrei forzare, però, mi fermo qua: ribadisco che le assonanze maggiori si avvertono nel confronto con certa narrativa inglese contemporanea, e intendo questo davvero come un pregio.
In conclusione, questo “A perdifiato” è un romanzo notevole per almeno due ragioni: per l’argomento e per la convincente apparizione delle nuove tecnologie di comunicazione. Fatico a ricordare romanzi italiani dedicati alla figura di un maratoneta, fatico a ricordare d’aver letto avventure e sentimenti d’un istruttore della Fidal a Budapest, fatico a ricordare una trattazione del doping così chiara e diretta, fatico a ricordare l’adozione così convincente di sms ed e-mail. La vicenda sentimentale è invece, nonostante la grande e apprezzabile attenzione dedicata alla questione delle adozioni, piuttosto canonica: tradimenti, ritorni di fiamma, menzogne, illusioni, fuochi presto spenti: niente di nuovo, ma certamente è ben raccontata.
Il protagonista si ritrova a vivere su quella stessa soglia di Van Aaken che intendeva far provare alle sue maratonete negli allenamenti; è un romanzo fondato sulla soglia di Van Aaken di un uomo, in un momento di difficile transizione e di fisiologica incertezza; romanzo piacevole, ben scritto, ben strutturato. Covacich merita d’essere seguito con maggiore interesse.
“La soglia di Van Aaken è il punto oltre il quale il fiatone non consente più di chiacchierare. Non è ancora quella anaerobica, ma è ben oltre quella aerobica. Noi lavoreremo sulle componenti aerobiche periferiche, sull’utilizzo degli enzimi mitocondriali e degli acidi grassi. Insomma, sullo sforzo prolungato”. (M.Covacich, “A perdifiato”, cap. 8).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Mauro Covacich (Trieste, 1965), narratore italiano.
Mauro Covacich, “A perdifiato”, Mondadori, Milano, 2003.
Gianfranco Franchi, marzo 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“La soglia di Van Aaken è il punto oltre il quale il fiatone non consente più di chiacchierare”.