Rizzoli
1975
1975. Il terzultimo libro di Tommaso Landolfi, “A caso” è una raccolta di racconti – tredici – che possono essere suddivisi in tre gruppi: i primi due vincolati alle tematiche dell’omicidio; dal quarto al decimo si vira sulle tematiche dell’impotenza, del voyeurismo e del tradimento; infine, si va a bastonare la retorica patriottarda o lo Stato, in generale. A fare da interludio la blasfemia gratuita del terzo racconto, “Rugiada d’oro” (s’allude, per capirci, all’orina del Profeta della liberazione dell’uomo).
Che libro è? È un manifesto dell’aurea mediocritas cara ai letterati di mestiere. Quelli che dovremmo salutare come scriventi, al pari degli amatori e dei dilettanti, se volessimo essere onesti e integralisti. L’ormai quasi settantenne Landolfi non ha sostanzialmente niente di nuovo da dire; quel che di nuovo appare, nella sua narrazione, è l’analisi della suggestione dell’omicidio, e del potere dell’assassino che va a sfidare o oltraggiare il potere di Dio, meglio ancora se l’ambizione omicida è rivolta su un bambino. Il resto – impotenza, voyeurismo, incapacità d’avere una donna – sembra abbastanza convenzionale nella scrittura dell’autore di Pico Farnese, sia nella prima che nella seconda parte della sua produzione. Stesso discorso sembrerebbe valere per le bastonate – più o meno letterarie, e quindi tenui o fiacche e comunque regolarmente pleonastiche – a uno Stato guardato sempre con l’aristocratico disprezzo del piccolo aristocratico ciociaro.
Siamo davvero a un passo dalla fine dell’attività artistica d’un’intelligenza che davvero poteva dar vita a qualcosa di differente; non in ambito romanzesco – sembra davvero che il respiro della scrittura landolfiana sia adatto a qualcosa di corto, breve, immediato; ai racconti appunto, al limite alle recensioni – ma a livello di argomenti e invenzioni artistiche, in generale, pure in ambito di prose brevi; lo spirito satirico, il saccheggio del bestiario romantico e postromantico e il genio descrittivo potevano e dovevano animare e armare qualcosa di differente. Landolfi è una grande, una grandissima occasione sprecata della Letteratura Italiana; la seconda parte della sua produzione, diciamo a partire dalla stesura dei diari, va inevitabilmente giocando per ripetizioni, variazioni, sempre più irritanti biografismi e diarismi da cameretta, compiaciute osservazioni del proprio stato e delle proprie condizioni, fallimentari e odiosette interazioni con creature di sesso femminile, stupide e prevedibili blasfemie e fiacche coltellate al culo dello Stato.
Questo “A caso” è un libretto che va via senza difficoltà, e non riesce nemmeno a essere pruriginoso quando vorrebbe – e quando vorrebbe essere altro dal Moravia dell’industria editoriale, in particolare. Si comincia – dicevamo – con un racconto lungo, quello eponimo, in cui si titilla l’idea dell’omicidio come offesa al Creatore (p. 15), per allucinati dialoghi con un io interiore e malaticce osservazioni di adolescenti o ragazzini, complicati da qualche sbirciata di troppo a una ragazzina e dall’incapacità di uccidere il designato marmocchio. Si procede con “Il riso”, dove il narratore assolda un killer che si rivela umanissimo: ingaggiato per uccidere il committente, s’intenerisce e lascia correre. Si intervalla con la “Rugiada d’oro” d’un Messia abbondantemente riconoscibile, pezzettino ottimo per strappare due risate a qualche letterato ateo e ingordo di blasfemie facilotte, quindi si comincia a sprofondare nel gino-dramma di Landolfi. Umorismo crasso da borgataro o da ciociaro in “Osteria numero venti”: altro che divertissement letterario, questo è materiale da gran contado del basso Lazio, appena erudito di cose letterarie – merda d’autore di professoretto della provincia della provincia, frustrato imbrattacarte a tempo perso. Come i più esperti avranno intuito, nell’Osteria numero venti dei canti goliardici la fica ha i denti e quanti cazzi all’ospedale!, e via dicendo. Landolfi è così falso e stupido da non scrivere né “cazzo” né “fica”, ma non so perché… risulta sporco e artefatto proprio per questo. Divertimento di un mediocre. Che se scrivesse “cazzo” starebbe assai meglio, magari arrossirebbe un po’ e probabilmente avrebbe un principio d’uccello barzotto (altro aggettivo che altrove ha adottato). Insomma, Tommaso: peccato non fossimo amici o compagni di letture e bevute, altrimenti t’avrei educato e spronato: coraggio, Landolfi, scrivi: “cazzo, cazzo, cazzo, cazzo” – e vedrai che ti senti meglio.
Invece niente da fare, in “Rose” si vagheggia l’incontro con un ermafrodito e in “La prova” un impotente prova a corrompere una puttana perché non dica a nessuno che purtroppo lui scrittore non ce la fa, s’ammoscia sul più bello, guarda e basta; ne “Un petto di donna” un tizio salva una donna da un incidente e lei chiede di dare qualcosa in cambio, lui domanda di baciarle un capezzolo ma accidenti a casa di lei scopre, mentre si spoglia, che ha le tette smorte ma non è un male, perché… indovinate. E poi in “C.F.” – dove C. parrebbe proprio stare per “cazzo”, ma Landolfi nemmeno da vecchio riesce a nominarlo, lui tizi si baciano le orecchie e dopo un po’ capiscono che è ora ma niente, niente, lui ha il “c.f.” e non il “c.b.” e praticamente non si scopa, tutto il resto seghe di un vecchio che non ha più nulla da dire, niente, niente, niente.
Succede un titolo onesto, “Frammento senza costrutto”, onanismo sul tradimento e le ragioni immaginatele ancora da soli, le ragioni dell’ossessione per queste inevitabili corna. E finalmente “Volpi scodate”, dove la coda non è proprio la coda, e si discute ancora di necessità del sesso e via dicendo quando purtroppo…
Non so. Se questa è Letteratura di un Artista allora ben vengano il peggiore Bevilacqua e il sessuomane Moravia all’ultimo stadio: almeno, Moravia, scopava. Landolfi doveva avere due occhiaie incredibili, e a forza di leggerlo mi passa la voglia di stringergli la mano, anche lassù, un bel giorno. Poche seghe, Tommaso: avevi detto tutto, da un pezzo. Ripensarci è da cornuti. Pubblicare questo materiale è da venduti, dopo aver scritto quel che avevi scritto. In altre parole… era meglio “A cazzo” che “A caso”. Un po’ più onesto. E forse si vendeva meglio.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova. Tradusse – tra gli altri – Novalis, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Lermontov, Puskin.
Tommaso Landolfi, “A caso”, Rizzoli, Milano, 1975.
Prima edizione: Rizzoli, Milano, 1975.
L’opera omnia di Landolfi è attualmente in via di pubblicazione nelle edizioni Adelphi.
Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia
Gianfranco Franchi, aprile 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Trascurabile raccolta di racconti di uno stanchissimo Landolfi, a fine carriera.