A casa tua ridono e altri racconti

A casa tua ridono e altri racconti Book Cover A casa tua ridono e altri racconti
Vincenzo Mastronardi
Einaudi
2002
9788806164058

Questa edizione (Einaudi, 2002) ospita due libri precedentemente pubblicati da Mastronardi (Vigevano, 1930-1979): il romanzo “A casa tua ridono” (1971) e la raccolta di racconti “L’assicuratore” (1975). Assieme, è stato pubblicato il racconto “L’industrialotto”: originariamente apparso su “L’Unità” del 30 settembre 1962, fu integrato ne “Il meridionale di Vigevano” (1964) e successivamente stampato, a cura di Maria Antonietta Grignani, nei racconti riproposti in appendice agli "Atti del convegno Per Mastronardi".

Scrive Tesio nell’introduzione: “La realtà di Mastronardi (…) non ha nulla da spartire con gli esemplari di una qualsivoglia etichetta neorealista. Il suo primo maestro è Vittorini, il suo mondo nasce subito «altro», difficilmente riducibile – tanto più se letto oggi – a una «variante» di «neorealismo in atto» (…). «Altro», perché immediatamente buffonesco, grottesco, certo zigzagante e incongruente, giocato su piani giustapposti, straniti e sghembi come clown” (p. VIII): e tuttavia non possiamo negare che la prima musa dell’autore sia la piccola borghesia e la classe operaia della sua Vigevano: una piccola borghesia patetica, oggetto d’una satira feroce e impietosa, descritta come classe uncinata al culto del denaro e irrimediabilmente segnata da complessi di inferiorità nei confronti di chi maneggia denari e influenza e incide sull’esistenza della comunità, a sua discrezione. Diciamo subito che la mistificazione detestabile di questo Novecento è stata la pretesa stessa di “realismo”: concetto che, non appena accostato all’idea di letteratura, stride e origina un ossimoro. Questa pretesa è figlia d’un’ideologia, e non dell’intelligenza: e ha macchiato non solo la narrativa, ma la critica e la lettura storico-letteraria dell’opera di diverse generazioni. Al punto che – a voler essere franchi – la raccolta di racconti “L’assicuratore” non può che apparire assai realistica e piuttosto fedele alla miseria spirituale, culturale ed etica della piccola borghesia, passata e presente, e del “proletariato” italiano a chi va sfogliando, nel 2004, questo romanzo: la questione, allora, è che questo “realismo” risulta sgradevole e non allineato a chi pretendeva impegno politico d’un determinato colore; ossia, faziosità e propaganda. Idee estranee a questo “L’assicuratore”, che è invece una intelligente, demistificante e provocatoria rappresentazione letteraria delle grottesche e paradossali ambizioni d’affermazione d’una classe piccolo borghese patetica e squallida; d’uno squallore appena attenuato dagli eccessi e dagli errori che sembra pretendere di sperimentare, persuasa di poter divenire quel che non è: è il libro di certi italiani di Lombardia dei foschi anni Sessanta e Settanta, estranei ad altra intelligenza che non sia mercantile, ad altra etica che non sia quella della “rispettabilità” rionale, invulnerabili al dubbio e all’autocritica: umanità nata per nutrirsi, proliferare, arricchirsi e scendere sottoterra in una volgare bara di lusso, senza aver conosciuto altro che l’ambizione, l’avidità, l’ignoranza: e una grettezza spirituale altrove inimmaginabile. Ecco allora sintetizzata l’attualità dell’opera del “documentarista di Vigevano” Mastronardi: mostra a questa nuova generazione miserie, nefandezze, contraddizioni e contrasti della generazione che, maturando, è diventata leghista o berlusconiana: esistendo in funzione del lavoro, della produzione, della scalata sociale; smaniando di possedere e di comandare, ma senza nulla avere, “dentro”, di diverso da un generico risentimento nei confronti dello Stato (ladro: per le tasse) e da una irresistibile invidia (di qualsiasi creatura abbia qualcosa di socialmente o economicamente “superiore” – per quel che vuol dire). Se questa non è sensibilità nei confronti del proprio tempo, e intelligenza mostrata nominando e ridicolizzando quel che era l’Italia negli anni della sua (apparentemente) irrefrenabile crescita economica, non immaginiamo cosa possa essere la sensibilità e l’intelligenza.

Il libro si compone di dodici racconti: nel primo, “Impiegato d’ordine”, il protagonista si presenta in un’agenzia matrimoniale, per incontrare finalmente l’anima gemella. Vive nella pensione della signora Doglie, in nero; al termine della storia, si troverà sfrattato per via dei pettegolezzi a proposito del subaffitto, e spiantato, perché saccheggiato dalle capricciose pretese dell’infermiera che la sorte – medium l’agenzia – ha sentito di riservargli.

Assisteremo alle vicende de “L’assicuratore”, borghese che s’impegna a mantenere e difendere il suo precario posto di lavoro, incappando in una serie di rovesci della sorte davvero memorabile, vittima dell’arroganza d’un ricco, della volubilità d’una stravagante, dell’astuzia e delle disgrazie dei meno abbienti: conclude la sua parabola sfogandosi con l’innocente moglie, casalinga non estranea all’esibizionismo. E ancora: “La ballata del calzolaio”, parabola dell’incompleta e sfortunata ascesa sociale d’un lavoratore che si trasforma in un piccolo imprenditore; “Serata indimenticabile”, tristo epilogo della passione di plastica d’un’operaia sognatrice, Olga, che s’innamora d’un cantante che è creatura d’impresari (oggi penseremmo: creatura catodica e figlia del marketing), che riesce a sfregiare la sua ingenuità e la sua innocenza con una facilità sconfortante. Ancora sfortuna e disgrazia nel nucleo famigliare piccolo borghese d’un giovane liceale, rimandato in latino e invitato, dai genitori, a farsi allievo d’un professore dal considerevole salario; in questo racconto, “L’esame”, nonostante il ragazzo viva nella stessa stanza dei genitori, diviso da una tramezza di compensato, e nonostante il conto in banca sia assai vicino al deficit, l’ambizione di questi onesti ed emergenti lavoratori è tanto grande da rinunciare a qualsiasi comodità pur di assicurare al rampollo la migliore istruzione possibile – ossia, “a livello” dei benestanti. Il padre economizza sul fumo e sulla benzina. Il professore gongola. Segnaliamo ancora “Dalla santa”, testimonianza della vocazione italiota al gabbo e alla credulità, vicenda d’una ciarlatana assai stimata nel suo paese, e “La sigaretta”, testimonianza dell’ossessiva cura dei piccolo borghesi nei confronti della rispettabilità e della “esemplarità” della loro condotta (un maestro elementare, che ha suo figlio tra gli allievi, viene pizzicato con la sigaretta accesa dalla direttrice: subita la stizzita reprimenda, va in tilt).

Negli altri racconti – si sarà ormai inteso – le aspettative del lettore a proposito dello spirito della narrazione e della particolare tipologia sociale dei personaggi non possono più essere tradite; Mastronardi dipinge questi spaccati della borghesia lombarda, manifestando una piacevole fedeltà al parlato (numerose le voci “italianizzate” dal dialetto, costante la tendenza a rispettare ritmi e intervalli dei dialoghi, spesso taglienti e incisive le battute), una singolare attitudine a mostrare debolezze, vezzi e decadenza morale, un talento totale nella rappresentazione delle sfortune e delle disgrazie del piccolo popolo lombardo.

Linguisticamente, registriamo voci incomprensibili al di là del fazzoletto di terra in cui sono ambientate le vicende: ad esempio, si descrivono occhi che “scarnebbiavano” (p. 97), si parla di alberi da “ressiare” e “scravare” (p. 119), si versano borsate di “tomere”, “misté della sua giornata d’incò” (p. 132), e via dicendo. Qualche nota in calce non sarebbe stata affatto sgradita, considerando che il volume è stato stampato col contributo del Comune di Vigevano e della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Passiamo adesso al romanzo: “A casa tua ridono”. Strutturato in tre parti, narrato alternativamente in prima e in terza persona (considerando il dibattito che, in quegli anni, aveva opposto in private lettere il calviniano mare “dell’oggettività” alla mastronardiana “soggettività dichiarata”, si troverà meno anomalo il doppio registro: cfr. Introduzione, p. V), narra delle vicende d’un giovane lavoratore, sorta di atipico Barry Lyndon (più ossessivamente vincolato a un’idea – “lavoro” e ricchezza, e meno vizioso) del nostro tempo, e di come conobbe fortuna e successivi rovesci del fato; “amori”, incomprensioni, complessi e Weltanschauung d’un mediocre ipersensibile che attenta alla “gloria del cummenda” bruciandosi e corrodendo per sempre il suo equilibrio e alterando considerevolmente la sua identità (si rifletta ancora sul passaggio I°-III° persona). Incontriamo il protagonista a partire da quella che definisce “l’ultima giornata” della sua adolescenza: qualcuno ha rubato l’orologio d’una sua compagna di classe: lei l’ha accusato: aveva ragione.

Pietro è competitivo: conosce invidia: conosce emulazione. Desidera tutto quello che non ha: pretende d’essere quel che non è. Il romanzo si distende, come s’accennava, in tre parti, descrivendo la parabola di questo lavoratore disgraziato e cinico, che viene licenziato per dodici volte, a causa della sua trasandatezza e della sua avventatezza (pure autolesionistica), conosce disperazione e amarezza sconsolata, fino ad assumere altro ruolo attraverso opportuna strategia “erotico-politica”: muta ruolo mutando compagna. “Normalizzato” dal lavoro, rimane ossessionato dalla povertà e non s’accontenta: deraglierà per avidità e opportunismo, fino a restare – come il lettore vedrà – vittima della sua (rinnovata o ritrovata?) sensibilità.

Vorrei concludere questa breve trattazione con un frammento del romanzo, legato alle primissime vicende del protagonista, che mi ha suggerito come prima reminiscenza l’hamsuniana “Fame” – con questa suggestione, assume forse altro senso. Ecco: “Oramai non mi vuole più nessuno. Nessuno mi prende più nella considerazione. E poi io non ho più la faccia di presentarmi. Passo la giornata tirarmi le dita. E la giornata è lunga da finire. Quando sono stufo di stare in casa me ne vado nella ringhiera. E sto studiare il comignolo del tetto davanti. E quando sono stanco di stare sulla ringhiera vado nel cortile. Sto seduto sul rialzo. Lo sguardo fisso al tombino. E mi viene di pensare che se fossi un pittore io dipingerei solo dei tombini. E quando sono stanco dei pensieri inutili me ne vado nella chiesa. Mi piace essere immenso nel silenzio claustrale. Ho trovato un lavoro che fa per me. (…)” (p. 175).

Da restituire ai contemporanei, per contribuire a illuminare le radici culturali e lo spirito d’un popolo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Lucio Mastronardi (Vigevano, 1930 – Vigevano, 1979), scrittore italiano.

Esordì pubblicando “Il calzolaio di Vigevano” sul numero d’esordio de “Il menabò di letteratura” (1959).

Lucio Mastronardi, “A casa tua ridono e altri racconti”, Einaudi, Torino 2002. Introduzione di Giovanni Tesio.

Prime edizioni: “A casa tua ridono”, Rizzoli, Milano 1971. L’assicuratore”, Rizzoli, Milano 1975.

Gianfranco Franchi, novembre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.