Coniglio
2008
9788860631428
Il giornalista Giorgio Gigliotti, classe 1960, esordisce come narratore con “Hotel Allah”: quattordici prose piuttosto immediate e incisive, creativa trasfigurazione letteraria delle pluriennali esperienze all'estero dell'autore, altrimenti felice derivazione del suo immaginario ormai euro-islamico. Il libro ha rischiato di diventare un piccolo caso già in fase di post-produzione, per via delle minacce (avvertimenti?) che, a quanto pare, l'editore ha ricevuto per via del titolo dell'opera: “Hotel Allah”, per la sensibilità di certi islamici, è proprio un titolo blasfemo. È il caso di tranquillizzarli: di blasfemo, questo albergo di Dio dalle molte porte ha molto poco; è piuttosto la testimonianza di un umano accostamento a una religione e a delle culture così distanti e diverse dalla nostra. È la fotografia di una progressiva assimilazione, mai artificiosa e mai radicale. È narrativa, e di almeno discreta qualità. L'ambientazione principe e le atmosfere sono sicuramente nuove o almeno sporadiche protagoniste delle patrie lettere; questo è un merito non da poco, a mio avviso.
Uno sguardo europeo sul mondo islamico: nelle parole del prefatore Allam, “sguardo di chi ha vissuto l'esperienza della libertà e ne è il prodotto, che incontra il mondo musulmano attraverso quattordici paradigmi che diventano altrettanti racconti (...). Ogni oggetto narrativo rappresenta un'immagine e dunque un immaginario di e su questo mondo (...) sfuggente anche di fronte a se stesso, perché non capisce che cosa gli stia accadendo”. Non riesco, personalmente, a parlare di quell'area come di un “mondo” unico: sulla base di quel che ho letto e studiato, negli anni, credo non abbia senso parlare di “mondo musulmano”, perché le visioni dell'Islam e i sostrati culturali variano popolo per popolo, nei limiti. Ragionevolmente, è altrettanto azzardato parlare di “mondo cristiano”. Meglio “mondi musulmani”, e “mondi cristiani”, direi. Ma credo di aver capito quel che Allam voleva comunicare, semplificando un po' le cose. Transeamus, usque ad metam.
Tredici racconti brevi e un racconto lungo, l'ultimo: “Il mondo di Uqbar”, di ispirazione borgesiana (“Tlon, Uqbar, Orbis Tertius”, in “Finzioni”) e resa emi-giornalistica. Voglio segnalare almeno alcune trame. Il primo racconto, “La terza via di Zarzisa”, è ambientato a Marrakech. È la storia di una donna che sogna libertà e felicità. Cerca una via di fuga. La trova nella prostituzione. Vergine, scopre così il sesso. Passano due anni. Sciolta la collaborazione con la ruffiana Armida, lavora in proprio. La via di fuga era un'illusione. L'epilogo è drammatico. La terza via è la morte.
“Una giornata straordinaria” è il terzo pezzo. Tunisi. Nazzareno, sconsolato per la sua inutilità, vive inerte. Uncinato al passato. Incontra un giovanotto che parla la nostra lingua, ne rimane sedotto. Il ragazzo parla della povertà della sua famiglia e del suo popolo, e trova comprensione e consolazione. L'amore ha un prezzo, forse anche il cuore. Notevole “Quando si chiuse la Sacra Porta”, nostalgia del sultano Abdulhamit II per il Bosforo che sta per cadere, per il tramonto dell'Impero che aveva dominato il Nordafrica e parte dell'Oriente; dolore per il prossimo avvento della Repubblica. Abbandonato dalle guardie e prossimo alla sconfitta, sprofonda nelle carte ragionando sulla questione armena. Sente gli armeni come avamposto religioso della decrepita Europa...
In “Una notte senza Dio” siamo a Tinehir, Algeria. 1995. Nella famiglia di Lofti e Zubayda si leggono pagine da “Le Mille e una notte”, per i bambini. C'è un clima irreale, i piccoli sono incantati. Ma quella notte c'è un terribile incendio, in città. C'è una rivoluzione in atto. Musulmani contro musulmani. Guerra civile. “E mai... più in là... dei corpi, ammucchiati come i panni ritirati che sanno di pulito, vedo frasi che salgono nel cielo, che sarà della mia vita, il dolore che sale e che non strazia in quanto non vi è forza che possa più attaccare un dolore così duro, un muro insormontabile che ormai ti ha separato dal mondo e da te stessa, che ti divide in due ma ti lascia viva, viva, viva, viva, viva”, scrive, con efficace sentimento, Gigliotti. L'autore dà voce a un dolore terribile, allo sterminio di una famiglia. Il dolore si consola solo con l'amore. È una lezione da non dimenticare. Vale per tutti. In “Kourbaluà”, infine, Tajeb scopre che sua madre è ancora viva. Un figlio senza madre “è come un ramo in fiore senza fiori, (...) un occhio senza sguardo, un pensiero senza testa”.
Morale della favola, esordio promettente: registro stilistico uniforme, lingua capace di trasmettere pathos e sentimento, ambientazione insolita e atipica, resa efficace. Lettura destinata a chi sogna arabian nights e a chi vuole conoscere i nostri vicini di casa. Il filtro, non dimenticatelo, è europeo: quindi, lasciatemelo dire, equilibrato, necessario, nostro.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giorgio Gigliotti (Catanzaro, 1960), collabora con “Manifesto” e “Rinascita”. Ha diretto la webzine “Interact Press”. Inviato per Radiorai nel Magreb. Questo è il suo primo libro di narrativa; in precedenza, ha pubblicato otto monografie sui Paesi del bacino Sud del Mediterraneo.
Giorgio Gigliotti, “Hotel Allah. Racconti dall’Islam”, Coniglio, Roma 2008. Collana Descantabaucchi. Copertina di Massimiliano D’Affronto. Editing: Antonio Veneziani. Revisione e impaginazione: Francesca Di Benedetto. Prefazione di Khaled Fouad Allam. In appendice: glossario.
Gianfranco Franchi, ottobre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.