Il mito che uccide

Il mito che uccide Book Cover Il mito che uccide
Mario Baudino
Longanesi
2004
9788830420786

Mario Baudino si fa Baudolino e dedica un atipico “saggio romanzato” alla (de)generazione del mito del Graal in epoca protonazista e nazista. Protagonista assoluto è il grottesco Otto Rahn, fanatico e allucinato artista della menzogna: il racconto delle stravaganze e delle contraddizioni della sua esistenza, terminata (parrebbe) nel 1939 durante una tormenta di neve sulle montagne tirolesi, prende il là a partire da un incontro in un café parigino, nel 1930.

Il libro fonde e confonde – secondo un disegno suggerito all’autore, immaginiamo, dalle opere dello stesso Rahn, e dalle testimonianze di parte dei suoi contemporanei – la drammatica vicenda dei Catari con la biografia d’un Rahn bohemien che, non fatichiamo ad immaginarlo, farà breccia nel cuore di quanti non attendono altro che l’occasione per poter restituire una pur mediocre dignità letteraria a un ex ufficiale delle SS, antisemita e ovviamente razzista, pesantemente colluso con un regime che non ha mai abiurato. L’argomento del testo, vale la pena preannunciarlo, sfocerà inevitabilmente nel c.d. nazismo magico: e non a caso “Il mattino dei maghi” di Pauwels e Bergier gode di due richiami diretti. Di norma, è un privilegio che a questo volume capita soltanto in certi siti in rete. A differenza del librone pseudo-esoterico, autentica manna kitsch per chi intendeva cercare spunti gotici e fantastici, spregiudicato e grezzo com’era, questo “Mito che uccide” di Baudino ha una caratteristica distintiva: l’incertezza. A tratti l’autore sembra propendere per un’interpretazione romantica dell’artista povero, sfortunato e folle; quindi, s’arrangiano e s’abbozzano pietose fanfaronate fantozziane di questo individuo spontaneamente logica-repellente, quasi a voler suggerire un sentimento di pietà nel lettore per un povero letterato che, cielo!, s’è ritrovato per caso e per necessità a far da scagnozzo a Himmler, a dichiarare il suo primo libro (“Crociata contro il Graal”) precursore del nazionalsocialismo, a farsi stipendiare dai suoi camerati e a tirocinare l’atrocità del suo sistema a Dachau. Altrove, s’assemblano compendi di storia dei Catari, manifestando in diverse circostanze una fastidiosa tendenza alla sintesi. Di equilibrio non c’è traccia: né nella struttura, né nelle argomentazioni.

Non manca un ipse dixit per rivendicare le qualità artistiche dell’esordio di Otto Rahn (Miller): a questo punto, avremmo preferito un tono meno timido e insicuro e più netto. Se l’ambizione era affermare che Rahn era un figuro geniale e terribilmente romantico, capace di creare nuove mitologie, era il caso di evitare di trattenersi e di spararla grossa. Evitando di tratteggiarlo, ad esempio, come uomo di “innocente furbizia” (p. 157).

Per Rahn, anticristiano (legato al sogno d’un “Europa senza religioni”, p. 76), la “civiltà catara” era pacifica, tollerante e ugualitaria. Baudino racconta con meticolosità le violenze e le atrocità subite dalla comunità dei “perfetti”, nel corso della “crociata” che ebbe termine con il massacro di Montségur, nel marzo del 1244. I Catari sono i protagonisti di questo “mito di morte” (nell’accezione dell’autore) dello scrittore tedesco: custodi del Graal, il cui segreto è nascosto senza dubbio nelle rovine delle vecchie fortezze degli eretici.

A partire da un incontro in un bistrot parigino tra “tre intellettuali” (lo scrittore Maurice Magre, mentore delle fantasie di Rahn; Paul Ladame, svizzero d’antica famiglia ugonotta; Otto Rahn), innesco per il delirio mistico del giovane tedesco, si raccontano – come s’accennava – le sue vicende. Rahn, reduce da un dottorato sul “Parzival” di von Eschenbach, è un giovane di ventisei anni, basso e scuro di capelli: si sente “portatore di luce”, ha qualche frustrata ambizione cinematografica. Ritroveremo il febbrile intellettuale ad arrancare tra le grotte e le biblioteche della Linguadoca, a graffitare pareti, amministrare alberghi deserti (contrabbando o intuizione turistica? Baudino propende per la seconda ipotesi) e forzare interpretazioni, fino a creare una menzogna cui dedicare la vita intera: connettere, nonostante l’improbabilità, la tradizione letteraria del “Parzival” con il credo eretico dei catari, giudicati depositari di un’antica conoscenza esoterica.

Qualche confusione a proposito della loro fede: per la popolazione si tratta dei “martiri del vero cristianesimo” (cippo di Montségur, datato 1944), per Rahn di neo-druidi. Rientrava nell’ “innocente furbizia” della sua visione di se stesso: “antenati pagani, padri eretici” (e figli apostati?)

Rahn sporca la leggenda del Graal legandola a una nuova mistica germanica, priva di coerenza, coesione, stile: s’immagina come un Lucifero d’una nuova era, e costruisce un castello di menzogne che ripete con tono ossessivo. L’opera d’apostolato mistico nazista ha un chiaro responsabile: spacciarlo come letterato romantico, fannullone e involontariamente dandy è segno dei tristi tempi che viviamo. Libro riservato a chi cerca un bignami dei catari, e una conferma italiana alle sublimi indagini di Indiana Jones. E adatto a chi giudica Rahn “intellettuale piuttosto disinvolto, che aveva visto nel nazismo uno strumento per imporsi, e per imporre il suo sogno (…)”: almeno, consolatevi: “Tutto quel che si può dire di lui è che il suo mito lo uccise” (p. 237).

E adesso, per spurgare il ciclo bretone e il Graal dai liquami nazisti (e lasciar riposare in pace i poveri catari)…

TORNIAMO ALLE ORIGINI, e ALLA FANTASIA

A proposito del ciclo bretone: fondamentale è la “Historia Regum Britanniae” di Goffredo di Monmouth, pubblicata per la prima volta nel 1136. Edizione suggerita: Studio Tesi, Pordenone, 1993. Essenziali i cinque romanzi arturiani di Chrétien de Troyes, “Erec et Enide”, “Cligès”, “Lancelot ou Le Chevalier à la Charrette”, “Yvain ou Le Chevalier au Lion”, “Perceval ou Le Conte du Graal” (incompiuto). Edizione di riferimento: Mondadori, Milano, 1983, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini.

Principale fonte a proposito del Graal è il “Roman de L’Estoire dou Graal”, scritto dal chierico Robert Boron attorno al 1201. Edizione consigliata: Alkaest, Genova, 1980.

Fascinoso il “Parzival” di Wolfram von Eschenbach(risalente circa al 1210), pur fondato sul “Conte du Graal” di Chrétien de Troyes. Edizione suggerita: Tea, Torino, 1997.

Egualmente importante la “Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri”, di Sir Thomas Malory, pubblicata a stampa da William Caxton nel 1485 (edizione segnalata: a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Mondadori, Milano, 1985, due volumi).

Molto piacevole la riscrittura dei romanzi della Tavola Rotonda di Jacques Boulenger, medievalista e scrittore francese del primo Novecento. Edizione segnalata: “I romanzi della Tavola Rotonda”, a cura di Jacques Boulenger(tre volumi), Mondadori, Milano, 1981. L’edizione italiana è sempre curata da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini.

Accattivante il romanzo di Marion Zimmer Bradley “Le nebbie di Avalon” (Longanesi, Milano, 1986). Debitore dell’opera di Sir Thomas Malory, come già era l’imperdibile libro segreto di Steinbeck: “Le gesta di Re Artù e dei suo nobili cavalieri” (1959).

Rapisce e seduce la recente trilogia di Michel Rio, narratore francese di grande avvenire. “Merlino”, Instar, Torino, 1994; “Morgana”, Instar, Torino, 1999; “Artù”, Instar, Torino, 2002. Per quanti volessero approfondire la conoscenza dell’arte letteraria dello scrittore bretone, classe ’45, segnalo “Arcipelago” (Guida, Napoli, 1993).

Preziose monografie per ulteriori approfondimenti: Norma Lorre Goodrich, “Il mito di Merlino”, Rusconi, Milano, 1992; e, soprattutto, la splendida opera di Jean Markale “Lancillotto e la leggenda di Re Artù”, Mondadori, Milano, 2000. Per finire, l’unica traduzione cinematografica che mi sento caldamente di consigliare è “Excalibur”, di John Boorman(1981).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Mario Baudino (Chiusa Pesio, Cuneo, 1952), giornalista, saggista, poeta (Premio Montale 1988) e romanziere italiano.

Mario Baudino, “Il mito che uccide”, Longanesi, Milano, 2004. Il libro è strutturato in tredici capitoli, non numerati, una sezione dedicata ai ringraziamenti e una intitolata “per saperne di più”. L’edizione Longanesi si segnala per una copertina d’un cattivo gusto perfino imbarazzante: Adolf Hitler, in armatura, ritratto da Hubert Lanzinger. La tela, datata 1936, si intitola “Il vessillifero”. Si poteva evitare.

Gianfranco Franchi, maggio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.