Keller
2007
9788889767047
È una storia di solitudini, amori, rocamboleschi rovesci della sorte, furtarelli e vicissitudini cortocircuitanti: della vita di un atleta che tutti volevano artista, malgré soi quello è stato il destino, e della sua ricerca di appartenenza. A una donna: forse non a una soltanto. Ad accompagnare questo viaggio di carta tutta una serie di assurdi comprimari, macchie di vitalità scintillante, ad animare il carnevale d’una vita anomala. “Il ciclista solitario” è, considerando gli assi portanti, un epigono moderno del genere picaresco: la narrazione è naturalmente in prima persona, conosciamo la storia del protagonista sin dai prodromi – contesto famigliare e triste sorte dei genitori – e questi prodromi coincidono con lo status di orfano di relativamente scarse disponibilità economiche (se non fosse per i nonni, e per un lascito che esamineremo più avanti, e per la poco ortodossa fortuna editoriale). In comune col genere pioniere, ancora, le (dis)avventure di chi, perduta una prima rotta – in questo caso, quello della promettente attività sportiva ciclistica – precipita in un’esistenza fatta di escamotage tragicomici, grotteschi e spesso al di là della legalità, senza che questo significhi, nella maniera più assoluta, un giudizio negativo sull’etica del personaggio.
Bodegas viene da una tradizione letteraria nobile, poggiata sul picaresco: testimonia d’averla interiorizzata e di sapersi giostrare con destrezza nel romanzo moderno, integrando motivi canonici in un tessuto diversamente raffinato. Protagonista dell’opera è questo normanno ebreo, trentenne segaligno e camminatore maldestro, avido lettore di quotidiani e habitué di torte e di caffè, cresciuto dai nonni con due speranze: che divenisse scrittore, rispettando il presago o almeno bene auspicante nome di battesimo – Valéry – o mantenesse la promessa d’essere un grande ciclista. Come scrittore sarà solo uno pseudonimo di un’autrice dalla prolificità imbarazzante, come ciclista sarà un gregario dalle glorie episodiche e presto dimenticate. Non per assenza di talenti, in questo caso, quanto piuttosto perché ci si stanca del professionismo e delle sue pretese quando si incontra un amore più grande. L’amore di una donna che amava, purtroppo, più spesso le donne: Eli. Giornalista che ritroverà in diretta tutti i giorni o quasi, durante il notiziario, martirizzandosi di rimorsi e rimpianti per averla perduta (più correttamente, per essere stato dimesso).
Cosmés, ciclista solitario, avanza per fuggire da tutto: dal mondo, dalle persone, dalla sua cittadina di provincia, da se stesso: “Allora più che mai capì che se uno si innamora, ma per davvero, fino al midollo, quando scopre che non è corrisposto, e che forse non lo è mai stato, si sente solo e disperato fino alla fine dei suoi giorni, come se fosse posseduto dalla peggiore delle maledizioni, e comunque non riesce a smettere di essere perdutamente innamorato, anche se ciò comporterebbe ammalarsi del cancro della solitudine” (p. 25). E quel male affronta, stoico, riparando per lavoretti di ogni ordine e grado e per cialtronesche imprese di ladrocinio a danno degli automobilisti in coda – anche – divenendo un nome per la sua imprendibilità. Nel frattempo, perduti anche i nonni, può attingere a un’eredità che cambierebbe la sua vita. Basta che scriva un romanzo, e che quanto scrive venga approvato da dieci letterati già indicati nel testamento, e che di letteratura viva. Peccato che Cosmés non vada, e non sappia in ogni caso andare, oltre una e una sola frase scritta, un po’ come Jack in “Shining”. Questo equilibrarlo già precario termina e si spezza quando incontra una ex di Eli. Probabilmente è proprio quella ragazza che a suo tempo aveva determinato la rottura tra di loro. E ha cambiato veste, diciamo così, e ha scoperto un talento eccezionale. E con la trama ci fermiamo qui, preferisco.
Stilisticamente Bodegas è portato più per descrizioni e digressioni che per i dialoghi; manovra una trama abnorme, puntellando con intelligenza ed equilibrio i subplot, giocando sull’intreccio e sulla gioia del cantare tante storie piuttosto che sull’introspezione dei personaggi e sull’analisi delle loro intenzioni profonde. Con una plausibile eccezione, come si può prevedere.
La ricerca dell’amore – in altre parole, il senso dell’esistenza – è il motore primo dell’opera, lucido gioco di un ragazzo che non sembrava voler uscire dalla linea d’ombra e si ritrova a sgusciare nella realtà sollevando i pugni al cielo, al termine di una tappa che sembrava essere finita male, esausto ma pazzo di gioia. L’ultima parola è una di quelle che non dovremmo pronunciare mai, e vorremmo gridare sempre. Felice.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ramón Bodegas (Gallinero de Rioja), scrittore spagnolo. Vive nei Paesi Baschi. Ha esordito pubblicando “El portero que chutaría contra su propia portería” nel 1983.
Ramón Bodegas, “Il ciclista solitario”, Keller Editore, Rovereto 2007. Traduzione di Maddalena Cazzaniga. Collana Passi, 1.
Prima edizione: “Il ciclista solitario”, 2004.
Gianfranco Franchi, giugno 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.