Marcos Y Marcos
2010
9788871685427
“Pedra de tartera” (1985; It, Marcos Y Marcos, 2010) è stato il libro d'esordio della scrittrice catalana Maria Barbal, letterata classe 1949. S'è trattato d'un esordio amatissimo, nel tempo, e non solo dal suo popolo: stando a quanto leggiamo in bandella, “Come una pietra che rotola” ha conosciuto oltre cinquanta edizioni in lingua catalana, undici in lingua tedesca. Mancavano due grandi lingue occidentali, l'inglese e l'italiano. Questo 2010 è stato il loro anno. Sull'Indipendent, il 18 Luglio, leggevamo: “Thanks to Peirene Press, a small independent publisher, Stone in a Landslide has been translated into English, courtesy of Laura McGloughlin and Paul Mitchell, for the first time. It is a heartfelt lament for those rural poor transformed over the last century into a poorer urban class”. Nel Mediterraneo, nella sempre più claudicante repubblica democratica italiana, la storia non è stata dissimile: a pubblicare il libro ha pensato il piccolo editore indipendente Marcos Y Marcos, da Milano. Che potrebbe e dovrebbe essere una grande ispirazione per i suoi giovanissimi colleghi inglesi, considerando quanta esperienza ha accumulato, in tanti anni, sul campo: e quanta credibilità ha saputo guadagnare. In Rete ho notato che di Peirene Press si dice già adesso un gran bene anche al semplice livello dei lettori forti. Sprizzano intelligenza ed europeismo. Che il Regno Unito sia loro leggero. Chiusa la parentesi editoriale, veniamo all'opera.
Incipit. “A casa eravamo in tanti e si notava. Evidentemente qualcuno era di troppo. Io ero la quinta di sei fratelli e, come diceva la mamma, ero venuta perché Dio l'aveva voluto e bisogna accettare la Sua volontà. Maria, che era la prima, si occupava della casa quasi più della mamma, Josep era l'erede e Joan studiava in seminario. Quanto a noi tre più piccoli, avevo sentito un mucchio di volte che eravamo più di peso che d'aiuto”. E in quella casa la mamma conosceva soltanto due cose, “lavoro e risparmio”. Non conosceva l'ozio. E lavorava molto più del padre, perché a lei spettavano sia i campi, sia preparare da mangiare per i tanti bambini, sia badare a tutte le piccole cose di casa.
La narratrice, Concepciò detta Conxa, si ritrova a vivere dalla zia, che bambini non ha potuto avere. Siamo nei primi anni Dieci del secolo scorso. Prende e parte, tredicenne, lasciandosi tutto il suo mondo alle spalle – un mondo fatto di “tanta gente e poco pane”, e di strane scuole in cui s'era costretti a parlare e scrivere in castigliano, non in catalano. Viene accolta in una grande casa in cui si dà da fare, sbrigando tutte le faccende, proprio come le è stato insegnato: “Facevo tutto come me l'avevano insegnato, senza metterci un solo gesto mio che potesse apparire come una mancanza di rispetto” (p. 36). Viene accolta in una grande casa da una zia praticona: convinta com'è che sia meglio un tozzo di pane secco che tutti i fronzoli del mondo, è il grande esempio per chi, crescendo, deve scegliere cosa essere e come stare al mondo. Passano cinque anni. Nessuno parla di ritorno. In compenso, i ragazzi del paese cominciano a puntarla: è un buon partito, è bella. Con Jaume è colpo di fulmine. Lui è soltanto un artigiano, questo potrebbe essere un problema. Gli zii si convincono quando ascoltano la sua proposta: consegnarsi mani e piedi al lavoro necessario in casa e nei campi: “Si legò con me a una terra e a due persone abituate a fare e disfare senza chiedere niente a nessuno” (p. 61). Nascono due bambine, a breve distanza: infine arriva un maschietto.
E come un fulmine a ciel sereno – si fa per dire: lo scenario descritto, sin qua, è stato semplicemente l'espressione della durezza della vita rurale, e delle sue rare soddisfazioni, e della sua magnifica semplicità – entra in scena la politica.
Entra in scena la politica in un momento nefasto, per la storia catalana e spagnola. Quello del franchismo. Jaume era iscritto a Esquerra Republicana, il partito di governo in Catalogna. Il presidente del partito “è un uomo vicino alla gente che lavora e soprattutto alla gente che lavora la terra”, si chiama Lluis Companys. Jaume è uno che crede nella rivolta del popolo. Quale popolo? “Popolo vuol dire la gente, tutti gli uomini e le donne che vivono in questo paese” (p. 106). Jaume pagherà con la vita per i suoi ideali e per le sue convinzioni. La sua famiglia si ritroverà imprigionata, e poi costretta a ripartire senza il suo faro, senza l'amato marito, senza l'amato padre.
La narratrice ci racconta, con la stessa semplicità e la stessa franchezza spese per descrivere la vita nel paesino, e la vita nei campi, il faticoso sentiero per tornare alla normalità, per restare fedele all'esistenza che sempre e sola aveva conosciuto. E si ritrova ad accettare, a un passo dalla vecchiaia, di dovere abbandonare la sua terra per ritrovarsi a vivere a Barcelona, “una casa dove le finestre non danno sulla strada”, “un pane piccolo che finisce ogni giorno e latte in bottiglia, bianchissimo, senza panna e con un sapore leggero”, “un rumore senza parole e un silenzio pastoso pieno di ricordi concreti”. È l'ultimo passo prima del congedo dalla vita – l'ultima tenace resistenza ai rovesci della sorte. Abbandonata la terra, i figli del popolo finiscono a vivere in servitù, in città. È una sorte peggiore.
“Come una pietra che rotola” è un romanzo breve, popolare ed elegiaco, d'una fragilità amabile – espressione d'una semplicità profonda che sembra sussurrare la possibilità che possa esistere davvero una narrativa “realista”, e che possa parlare a tutti: perché non impugna una bandiera politica, o almeno, come in questo frangente, lo fa con una tale incoscienza e una tale spontaneità che non si può che sorriderne. E presto il sorriso si tramuta in amarezza, perché quell'incoscienza e quella spontaneità portano comunque alla fine: alla punizione più atroce e assurda e infame, la condanna capitale. Il complimento migliore che si possa fare a questo libro è che spinge a simpatizzare con l'incoscienza, la vivacità, l'antieroismo e la spontaneità dei catalani, non con l'ideologia d'una o d'un'altra parte.
Io in questa storia leggo le vicende di povera gente che si ritrovava (e si ritrova) a dover parlare una lingua non sua nelle scuole, e si ritrovava a faticare per sopravvivere massacrandosi nei campi, vagheggiando un futuro diverso – qualcosa di meno faticoso, di meno pesante, di meno opprimente. E infine vedo un mostro totalitario che decide di catturare e uccidere un'espressione di questa cultura fatta di fame di libertà, di autonomia, di giustizia. E uccidendola, fatalmente, finisce per eternarla. L'unica consolazione è questa – assieme alla gentilezza grande, e alla semplicità assurda, della voce che ci racconta la sua storia.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Maria Barbal (Tremp, Pallars Jussà, ESP 1949), scrittrice e insegnante catalana. Questo libro fu la sua opera prima, nel 1985.
Maria Barbal, “Come una pietra che rotola”, Marcos Y Marcos, Milano 2010. Traduzione di Gina Maneri. Copertina di Lorenzo Lanzi. Collana “Gli Alianti”, 180.
Prima edizione: “Pedra de tartera”, 1985.
Gianfranco Franchi, settembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.