Psicofarmaci agli psichiatri

Psicofarmaci agli psichiatri Book Cover Psicofarmaci agli psichiatri
Enrico Baraldi
Stampa Alternativa
2007
9788872269985

Violenta allegoria d'una crisi – una crisi di fiducia nel proprio mestiere, nella possibilità di curare la malattia mentale, nella propria capacità di ascoltare – e incredibile annullamento della distanza tra medico e paziente, “Psicofarmaci agli psichiatri” è il documento narrativo e fictionale della rovinosa caduta di un equilibrio, e della fertile ricerca di un metodo e di un approccio nuovi. Non intendo stabilire coincidenze tra l'autore – lo psichiatra Baraldi – e il narratore, protagonista del romanzo – uno psichiatra che sta piombando nel nulla. Mi limito ad analizzare la relazione tra la sorte del narratore del romanzo e il suo ruolo: leggere questo romanzo è come osservare un prete che si spoglia della toga di fronte a tutta la chiesa, quindi s'infila abiti borghesi e va a pregare assieme ai fedeli. Ritrovandosi inginocchiato di fronte a un altare come tutti gli altri: senza un sacerdote che stia officiando il rito, soltanto “Dio” di fronte.

Dio” è il leone, la pazzia. La pazzia e la sua pretesa invincibilità hanno distrutto l'equilibrio del narratore. Infine, s'è mescolato ai pazzi e s'è messo a osservarla, come fosse uno di loro (naturlich, il caso John Nash aiuta a confondere le idee e i pregiudizi): spaventato e fiducioso che spogliandosi del suo ruolo qualcosa avrebbe potuto cambiare. Cosa cambia? La prospettiva sugli psicofarmaci, in primis, finalmente denunciati come strumento di potere e di ricchezza d'un'industria sospetta; la prospettiva sull'analisi, in seconda battuta, perché il narratore s'è innamorato d'una ex paziente, precipitando al suo livello; la prospettiva sull'invincibilità della pazzia, infine, che diventa una misera ammissione di impotenza, non senza frustrazione.

Questo narratore è uno che non combatte più, e che ha deciso di unirsi agli sconfitti. Se questa è soltanto Letteratura, allora posso parlare di quanti inetti, di quanti sconfitti e di quanti vinti sia popolato il nostro Novecento; posso magnificare il fallimento – con Beckett – e cantare la sua poetica. Ma se questa è la confessione allegorica di un santo medico in crisi, mi viene soltanto voglia di incoraggiarlo, di spronarlo al combattimento contro il male e contro la pazzia, di mostrargli – come una Medusa – le gallerie degli alienati di tutti i tempi, e di tutte le nazioni. Cos'è quel volto, dottore? La società? La povertà? Ma niente affatto. Dia un nome a quel volto, poi distinguerà ogni altro dettaglio. Non bisogna avere paura di dare un nome al male. É allora che si comincia a vincere il male.

***

Un auto precipita nel vuoto. I freni sono andati. L'impatto è a un passo. Il pilota ricorda. Due giorni prima, parlava d'amore con una sua ex paziente: amore clandestino – come clandestino è, a volte, quanto di più intenso e bello esiste in vita; la violazione delle regole è una gioia infantile, e infantili in fin dei conti spesso rimaniamo. Lei era un ex Tso in crisi mistica (explicit, estasi catatonica), cinque anni di analisi alle spalle, percepiti come un secondo Tso: cercava soltanto qualcuno che sapesse ascoltare e osservare senza giudicare. Qualcuno che sapesse capire.

Il dottore sta cadendo nel vuoto – e cadendo ricorda e medita. Cura e piacere della cura devono andare di pari passo? Gli psicofarmaci avvelenano davvero l'anima, accrescendo il fatturato delle industrie farmaceutiche? Perché lei aveva scritto un libro contro di lui, due anni prima, chiamato “Psicofarmaci agli psichiatri” - ribadendo che gli psichiatri altro non sapevano fare che curare tutti con le loro droghe?

[...] certo nessuna medicina in psichiatria è curativa, quando va bene è al massimo sintomatica, cioè allevia un sintomo senza agire in nessun modo sulle cause; certo nessuno sa esattamente come funziona una singola sostanza, e figuriamoci allora le associazioni di più composti; certo non si può dimostrare una causa fisica, concreta, per nessuna malattia della mente, e allora pretendere di curarle tutte con la chimica è quasi come sostenere che esiste l'elisir d'amore; certo dei casi mortali conseguenti all'uso dei neurolettici nessuno parla, perché gli interessi delle industrie farmaceutiche sono troppo grandi, così come nessuno parla della discinesia tardiva che affligge il corpo di chi per anni assume queste sostanze; certo anestetizzare l'anima, per quanto malata, è impossibile, se non a costo di neutralizzare l'intera persona e tutti i suoi sentimenti” (p. 47).

Ecco fatto. Guardiamo altrove. Rio de Janeiro. Un nuovo farmaco cura la schizofrenia puntando al cuore: incomprensibile – per così dire – e fanatica presentazione del nuovo, costoso prodotto. Ne deriva il secondo binario della narrazione, esattamente parallelo al primo; porta le memorie del narratore all'incontro con un Dottore indecifrabile, a metà tra il genio e il santone, convinto com'è che la schizofrenia cronica non esista, e che “i disturbi mentali non sono modelli disincarnati o icone immodificabili: essi si calano nella storia e nel contesto di una vita, e da questa vita prendono la loro forma, e questa vita determina la loro evoluzione” (p. 97). Il Dottore ricorda bene la lezione di Basaglia – e ricordandola lo vedremo svanire – simbolicamente – dalla narrazione: nessuno possiede l'arma che uccide il leone; né farmacologica, né tecnica, né diagnostica, né psicoterapica. Non per questo ci si deve arrendere, però, né ammettere l'impossibilità di avanzare nella ricerca. Serve, piuttosto, fondare paradigmi e modelli nuovi, e da lì in avanti congetturare nuove ipotesi e nuove tecniche di diagnosi e di cura. Altrimenti il leone ci sbrana tutti.

Infine, la triste morale della favola: “La cosa importante non è sapere se le voci che sentiamo sono reali o no, la cosa importante è stare a sentire quello che vogliono dirci. Perché a volte ci possono salvare la vita” (p. 136). Sì, magari in Letteratura. Un vecchio sogno che consola molti di noi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Enrico Baraldi, psichiatra e scrittore mantovano. È direttore artistico di “Rete 180”.

Enrico Baraldi, “Psicofarmaci agli psichiatri”, Stampa Alternativa, Viterbo 2007. Postfazione del Dottor Giovanni Rossi.

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.