Einaudi
2007
9788806190262
“Certe mattine, sull’isola di Atlantide – scrisse nel suo diario, – non riuscivo quasi a credere che la terra dove mi trovavo appartenesse ad un altro mondo, lontano dall’Italia come l’Italia è lontana dalla luna. Mi guardavo attorno e pensavo che il sole sorgeva e tramontava da quest’altra parte dell’Oceano, proprio come sorgeva e tramontava sulla mia città di Casale. Pensavo che era lo stesso sole; e che anche le donne e gli uomini che vedevo, pur essendo più primitivi di noi, erano fatti come siamo fatti noi e provavano all’incirca le nostre stesse sensazioni. Ridevano, piangevano, soffrivano la fame e il freddo, si meravigliavano o si impaurivano a seconda di quello che gli capitava…” (Vassalli, “Stella avvelenata”, capitolo XVII, “Radice, Prugna e Canapa selvatica, p. 168)
Sostiene Vassalli, nella Premessa, d’aver tratto la storia che racconta da un dimenticato libro del 1768, “Viaggio anacronismico nell’isola di Atlantide, compiuto dal chierico Leonardo Sacco e nuovamente raccontato dal di lui discendente sac. Isacco Sacco”. Nel Congedo, il romanziere aggiunge che il manoscritto fu tradotto dal latino in volgare dopo tre secoli di oblio; tradotto, e sintetizzato. Vassalli avverte che la parola “anacronismico”, presente altrove nel volume, potrebbe essere soltanto un modo antiquato o errato per dire “anacronistico”: e che la vicenda non è una favola di gusto swiftiano, ma “vera storia di avventure e di viaggi”. Non scomoderemo Luciano, è una promessa.
“Stella avvelenata” è un romanzo di viaggio ambientato tra 1440 e 1441 circa: protagonista, il giovane diacono Leonardo Sacco, partito con un coltello a due tagli e venti monete d’oro, a ventidue anni, alla volta di Parigi. Studente che sognava d’essere allievo del Valla, a Pavia, e che aveva orecchiato almeno le lezioni del Cusano, dopo esser sopravvissuto all’amorazzo d’una fantesca viveva l’ultima occasione per evitare un’esistenza da curato di campagna: la partenza per Parigi poteva essere l’opportunità di nuove avventure e determinanti incontri. Ma il giovane Sacco non ha fortuna: dopo esser stato ospite dell’alchimista Quaglia in Torino, si trova ad avere, sul Moncenisio, un lebbroso come temibile rivale nella questua; entrato in Francia, tra Bourget, Belley, Nevers e Cluny, viene picchiato e derubato d’ogni cosa. Provvidenziale l’intervento di una stravagante comunità di eretici, i “Fratelli del Libero Spirito” (pag. 30): costoro, prossimi alla partenza dal porto di La Rochelle, accolgono lo sventurato chierico nelle loro fila e lo ingaggiano come cronista per la loro straordinaria impresa: solcare l’oceano per raggiungere l’Atlantide.
Credono nel libero amore, rifiutano l’esistenza dell’inferno e del peccato: per loro, “esisteva la comunione tra Dio e l’uomo, nell’estasi, ed esisteva l’amore di Dio per gli uomini: così grande, da riassumere in sé ogni altra forma d’amore, compreso quello carnale (…) soprattutto, nel mondo, esistevano la ragione e il piacere, che sono le due vie maestre per arrivare a Dio”. Leonardo comprende d’esser tra quanti i suoi maestri avrebbero volentieri arso sul rogo: ma sente, vuoi per giovinezza, vuoi per intraprendenza, vuoi per mancanza d’alternativa, di potersi unire all’estatica confraternita.
Presto ha inizio la navigazione: a bordo della Stella Maris, capitanata dall’avventuriero Pieter Cat, unico ad aver già visitato l’Atlantide, segnato profondamente dal ricordo della bellezza di quella terra e dall’amore di una donna, Araya. Uno dei due grandi amori della sua vita – l’altro era il mare. La ciurma, ovviamente, non si compone soltanto d’onesti marinai: si sono imbarcati assassini, ladri e malfattori, per scampare a qualche condanna o per tagliare la corda nel momento propizio; non mancheranno risse, omicidi e violenze, a bordo – inevitabilmente, sconcertando i Fratelli del Libero Spirito, partiti per vivere nel promesso Eden all’insegna d’una religione che si fondi sull’amore, e non sulla morte e sulla paura, e pure già predisposti a perdonare e sorvolare sulla condotta dei nuovi compagni.
Il Continente promesso apparirà, e poco a poco gli europei entreranno in contatto con quelli che definiranno “protouomini” (p. 123): tra dolorosi attriti e improvvise comprensioni empatiche, tra fusioni con le tribù e confusioni sul senso delle proprie credenze e della propria natura, i primi scopritori dell’America rimarranno per circa un anno, dall’estate alla primavera, nel giardino dove l’umanità è innocente e selvatica, spietata e lunare, e i draghi delle favole son tornati a uccidere.
Metafora del tracollo delle illusioni e dell’inevitabile attrito tra realtà immaginata e realtà incontrata ed effettivamente vissuta, “Stella avvelenata” è un romanzo che appassiona senza però rapire il lettore; godibile e fluido, sembra incespicare per la frenesia di chi narra gli eventi bruciando attese e intervalli: il ritmo è singhiozzante e nervoso e non sempre risultano convincenti e credibili i “diari di bordo”. L’argomento è pure fascinoso, ma l’interpretazione del mito di Atlantide è poco convincente e non condivisibile. La semplice sovrapposizione tra America e Atlantide è una posizione fin troppo diffusa tra scettici e negazionisti. Quanto alle popolazioni autoctone, vengono tratteggiate rispettando l’abominevole spirito dei navigatori del tempo: intelligenti e coerenti il taglio e la prospettiva scelti dall’autore. Avremmo bisogno forse di leggere altra narrativa di viaggio: definitivamente allegorica, o decisamente contemporanea. E – per carità, è solo un auspicio – spurgata da ogni richiamo a secoli d’infausta produzione narrativa. Vassalli è uno scrittore di grande talento – si legge sempre con grande godimento. Ma da una mente del genere s’attendono capolavori, e non esercizi di stile.
“[…] risalimmo il corso del fiume per due giorni, avendo nelle orecchie un frastuono che non capivamo cosa fosse e che era il rumore di una gigantesca cascata, alta circa trecento braccia e larga almeno due miglia. Sopra la cascata, la luce del sole formava una mezza dozzina di arcobaleni nitidissimi. C’erano, nella foresta, uccelli di specie mai viste, e le acque del fiume pullulavano di pesci che nessuno aveva mai pescato. Tornando verso il mare, ci confidammo il nostro stato d’animo. Eravamo approdati come naufraghi in un mondo sconosciuto, lontano dalle nostre case quanto la Terra è lontana dalla Luna, o poco di meno, con due compagni moribondi: ed eravamo felici! Secondo uno di noi, un marinaio norvegese, quella era la prova che ci trovavamo nel paradiso terrestre” (Vassalli, “Stella avvelenata”, capitolo VI, “Il capitano Cat”, p. 63)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Sebastiano Vassalli (Genova, 1941-Casale Monferrato, 2015), poeta e romanziere italiano.
Sebastiano Vassalli, “Stella avvelenata”, Einaudi, Torino 2003.
Gianfranco Franchi, febbraio 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.