La distruzione

La distruzione Book Cover La distruzione
Dante Virgili
Saggiatore
2016
9788842822219

UN CASO (CHE SIA UN CASO)

altrimenti inspiegabile: opera prima d’un romanziere nato e morto con questo libro, ripetitivo e noioso e piuttosto prevedibile dopo neppure trenta pagine, ristampato a distanza di poco più di trenta anni in onore alla creazione – artificiosa o meno poco importa, se non ad una minoranza che si bea d’onanismi intellettuali di questo genere – d’un caso-Virgili.

La distruzione” è un romanzo figlio degli aberranti pseudo-sperimentalismi delle ultime avanguardie: scritto per singhiozzi, corsivi e contaminazioni linguistiche, senza nessuna cura strutturale e con una imbarazzante e compiaciuta cura formale, sembra esser stato scritto per titillare qualche critico annoiato e per provocare qualche lettore, insudiciato com’è da un culto per la figura di Hitler e dalla propaganda nazionalsocialista, ibridata – come talvolta altrove accade – con la rivelazione d’una serie di inclinazioni (l’autore avrebbe preferito: perversioni) erotiche, in salsa De Sade.

Può impressionare lo sprovveduto ancora estraneo allo stream of consciousness; può titillare chi soffre d’una sinistra fascinazione nei confronti dell’infamia nazista; può emozionare i sensazionalisti e gli apocalittici d’ogni tempo, ordine e grado, volto come appare a una grottesca ostentazione di eccitazione per tutto quel che è morte, violenza, degradazione. Ma non ha niente da insegnare. Non è sconvolgente, non è aberrante, non è divertente: è un cattura-sbadigli di duecentoquaranta pagine, che cessano di apparire interessanti non appena (tre o quattro capitoletti) ci si accorge che non avverrà nessuna variazione e nessuna mutazione rilevante nello stile, nelle – chiamiamole così – argomentazioni, nella psicologia del personaggio.

Che a tratti abbandona borborigmi e allucinazioni a sfondo hitleriano per rivelare l’origine del suo malessere: “torno a distendermi rido sommessamente dopo undici anni non più notti agitate l’avrei amata se avessi potuto ora gli occhi cominciano a chiudersi la prima riga bianca del giorno si delinea il cuore mi batte calmo misurato scivolo in una dolce incoscienza la distruzione totale riscatta le angosce del passato e la Sua morte l’Europa torna dopo secoli di storia in cui io non fui ma avrei potuto essere all’alba dell’esistenza umana uomini accerchiati dal terrore risospinti nelle caverne un lunare mondo deserto o popolato da mostri l’avrei amata se”. (Sabato, VI, p. 63) S’aggiunga qualche sproloquio in tedesco, qualche fantasia erotica, qualche vampata d’antiamericanismo e una notevole nostalgia per il Reich e si ha una fedele campionatura dello stile e della natura del testo.

Protagonista è un Io narrante anonimo che – afferma Pischedda nella Prefazione – “se non autorizza letture autobiografiche, pure testimonia un’adesione tanto convinta e documentata ai principi del nazionalsocialismo da rendere problematico qualsiasi distanziamento critico” (p. 9). L’impressione è che questa adesione sia piuttosto strumentale, tutt’altro che disinvolta e spontanea, ma meditata e ponderata per finalità espressive; o che, in seconda battuta, derivi da qualche irrisolta pulsione autodistruttiva dell’autore, probabilmente – si congettura – persuaso della malvagità dell’intera specie dalla coscienza di qualche “macchia” inestinguibile nella propria esistenza.

Insomma – il gioco non riesce, non è felice e non è neppure nauseante come qualche critico, e senza dubbio l’autore, auspicavano. Il risultato è semplicemente un’impressionante rottura di scatole. Per giunta volgarotta – ecco, qualche cannibale potrebbe riconoscere un padre spirituale nell’esibizione “pornografica” delle acrobazie (tutte verbose e pruriginose) erotiche del protagonista del romanzo. Ci si ferma qua – il resto è decisamente trascurabile.

Il romanzo è strutturato in quattro parti: “Sabato”, “Domenica”, “Lunedì” e “L’alba”, suddivise rispettivamente in 6+5+5+1 capitoli. Al principio del libro, il protagonista si risveglia e ha qualche problema a riattivare i contatti con la realtà: “Chi sono io perché sono qui”, incipit opportunamente corsivato da Virgili per contribuire ad ammantare di originalità le inusitate osservazioni del suo alter ego. Il dormiente perplesso medita il suicidio già nelle prime righe: quindi, incapace d’onestà e d’onore, si reca a lavoro – corregge bozze e scribacchia per un quotidiano – dove, tra una reminiscenza nazista e una (non sempre) repressa pulsione erotica, fomenta il suo malessere emozionandosi al pensiero d’un terribile scontro tra Ovest ed Est (destinato alla distruzione dei russi e degli yankee, per riscattare Dresda e l’epilogo del Reich), constatando che la coscienza è una mutilazione e sognando d’elevarsi sopra la paura e la superstizione, perché Dio è dentro di lui.

L’ossessione per la femminilità si tinge ora di sadismo, ora di misoginia, ora di vagheggiata omosessualità: morbosa e mai seducente, la narrazione si sviluppa per episodici conati di lingua italiana. Qualcuno s’è spinto ad affermare che le allusioni alle terribili distruzioni e alle catastrofi statunitensi abbiano una sorta di valenza profetica: in realtà, si passa dall’immagine delle “urla raccapriccianti” degli yankee a quella delle “mutandine” nell’arco di una dozzina di righe, passando per Goebbels.

Scandaloso? Solo per chi reputa un testo del genere opera d’arte. La fatiscente intelligenza di questo libro, e la sua oscena ripetitività, non hanno nulla di letterario: la pubblicazione de “La distruzione” è un errore editoriale che poteva e doveva restare in casa Mondadori. La sua ristampa, un segno dei tempi cupi che viviamo. L’illusione d’una identità distrutta dall’anomia: mitridatizzata all’umanità, invece. E vigliacca e logorroica.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Dante Virgili (Bologna, 1928 – Milano, 1992), romanziere italiano. Ha pubblicato, sotto vari pseudonimi, libri d’avventure e romanzi per ragazzi.

Dante Virgili, “La distruzione”, Pequod, Ancona 2003. Prefazione di Bruno Pischedda. Postfazione di Antonio Franchini.

Prima edizione: Mondadori, Milano 1970. Il libro “passò inosservato, cadde nell’oblio, e il successivo, ‘Metodo della sopravvivenza’, è tutt’ora inedito” (dalla terza di copertina).

Gianfranco Franchi, luglio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.