Swimming Underground

Swimming Underground Book Cover Swimming Underground
Mary Woronov
Meridiano Zero
2007
9788882371517

Prologo. Mary sta rischiando di morire, in mare, con la madre. Almeno: questo lei sospetta e crede. È solo una bambina, e ha paura della morte, non ha capito che coincide col disordine. Più avanti diventa lucida: “Ordine= Paura della Morte; Caos= Vera Realtà. Assumevamo droghe per combattere le gabbie dell’ordine, in modo da poterci immergere nel caos dell’ordine divino. Io = Ordine + Ondine = Caos – Andy = il nero primordiale creativo negativo. Avevo ridotto l’essenza al simbolo: una volta disegnato quest’ultimo, potevamo evadere” (p. 115). Mentre racconta delle sue prime esperienze (sessuali, a partire dalla verginità, e artistiche), della anomala circolazione di farmaci nella sua famiglia (naturlich, padre medico e accomodante), la Woronov ci avvicina al tempio del postmoderno: la Factory. La Factory di Andy Warhol. Sin dai suoi prodromi: “… e invece di avere le pareti immacolate e di essere ben illuminato come gli altri, era buio e aveva un’aria sporca, come se fosse nel sottosuolo. L’unica luca era la luce riflessa proveniente dalle pareti coperte di stagnola, che rendeva tutto irreale e tremolante” (p. 25) – riuscite a immaginarla? Stiamo nuotando nel sottosuolo, nell’underground. Ecco gli screen test di Andy – immortalità per gli sconosciuti, nascita d’un’altra e nuova identità – e la musica dei Velvet: “Heroin”, per cominciare. Magari durante una performance di Andy Warhol, altrimenti non li avrebbe scritturati nessuno.

New York, anni Sessanta. Factory prima (Tony Wilson, Manchester: non manca molto). Mary Woronov non se ne rendeva bene conto, ma stava vivendo la leggenda: facilitata dal sangue slavo, e dal cattolicesimo, elementi famigliari al deus ex machina. Meritava? Ha importanza? Almeno testimonia. Ne parla. “Mi addormentai davanti a un salmodiante Allen Ginsberg, non trovai nulla da dire a Salvador Dalì, e rimasi seduta, muta e immobile come una pietra, mentre Warhol riprendeva Gerrard che mi leccava uno stivale per venti minuti” (p. 30) – intanto s’abbandonava a gelosie stupide, odiava – come i suoi sodali – Frank Zappa e il suo potere (la sua influenza…), se ne andava – diciamo così – per funghi (viaggiare è un’arte) e cercava di badare a Nico. “Era così bella che si aspettava che tutti volessero scoparla, compresi i mobili, che mugolavano di piacere appena entrava in una stanza” (p. 37).

Nico. Una che morirà a Ibiza cadendo in bicicletta, dopo aver incatenato la leggenda ai suoi piedi. 1988. Troppo tardi, è immortale, una morte stupida non corregge la storia, non la modifica. Certa musica rimane incisa.

No, non è un’agiografia di Andy Warhol e della Factory. Nemmeno dei suoi film, e della sua band. Per niente. Le ragioni le decida in privato ogni lettore, io non voglio essere etico, e nemmeno indagare l’invidia di chi ha conosciuto il sole e s’è ritrovata nell’ombra. Non parlando d’arte, niente morale. “Andy diceva sempre le cose più insulse; la gente ci impazziva sopra, si sentiva in dovere di leggerci i significati più reconditi, ma per noi era un’altra storia. Andy non solo era dislessico: le parole lo mettevano a disagio” (p. 52). See. Heroin.

Lei si innamora di Ondine, gay. Uomo del disordine. Sexy, bello e imprevedibile: la eccitava e la terrorizzava (p. 77). Cerca di diventare come i maschi – diventa l’idolo delle drag queen, comportandosi in questo modo. Intanto Andy proietta un film di 24 ore – Fuck – a un pubblico di morti. Mesmerizzarli non è difficile, basta abituarsi all’idea (che abbia senso, che sia possibile). “Chelsea Girls” è stata la pietra dello scandalo – la Woronov fece causa a Warhol perché non le versava quanto dovuto mentre la pellicola incassava nelle sale. Intanto, droghe, arte, esperienze estreme – e conseguenze micidiali sulla vita di tutti i giorni, soprattutto per questa giovanotta borghese che restava, a quanto pare, con una gamba al di qua e una al di là. E no, troppo comodo. Scegli da che parte stare, schierati. Entra in gioco, appartieni a qualcosa. Senza rimpiangere amori impossibili (Ondine, che poi se ne andrà) e arte perduta (per sempre).

Andy forse era un vampiro (pp. 151-152), assetato del sangue di artisti spesso da niente. Intanto, nutrendosene, dava loro un nome e instillava arte. La Factory, in un certo senso, non gli apparteneva affatto. Soltanto, era stata la sua argilla. I golem, venendo alla vita, si rivelano autonomi: e critici. Divertente, anche. Vero.

Chi è Mary Woronov? Una che ha lavorato per Andy Warhol. Una sua creatura. Questo libro è un frammento di Factory. Serve a vampiri nuovi, d’altra e più arrogante generazione, come linfa per arte e esistenza futura. Due righe nelle enciclopedie è riuscita a guadagnarle, ma satellite rimane. Un satellite scrivente: mica poco. Grazie.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Mary Woronov (Brooklyn, New York, 1943), pittrice, attrice, regista e scrittrice americana.

Mary Woronov, “Swimming Underground”, Meridiano Zero, Padova 2008. Traduzione di Alberto Pezzotta. Foto di Billy Name. Collana Sottozero, 10.

L’opera era stata precedentemente pubblicata nel 2003, col titolo “Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Factory di Andy Warhol” nella collana Meridianonero.

Prima edizione: “Swimming Underground”, 1995.

Gianfranco Franchi, luglio 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.