Le Nubi
2007
9788889616154
“Benjamin Wechsler ebreo e moldavo, Fundoianu in romeno e Fondane in francese, saggista e poeta contro l'eterna barbarie. Forse non è troppo tardi per conoscerlo” - scriveva Gianluca Spadoni, curatore di questo “Rimbaud la canaglia” [1933], lussuoso repechage pubblicato da Le Nubi nel 2007. E allora partiamo dalla sua biografia di Rimbaud, nient'affatto romanzata, nient'affatto idealizzata, estranea al sublime: una pagina di poesia della filosofia, di poesia dell'estetica. Partiamo da questo libro perduto, ormai non più dimenticato, non senza aver simbolicamente poggiato, sulla scia del curatore, una pietra sulla sua lapide: lapide d'un intellettuale e d'un artista che perse la vita per via delle atrocità e dei ciechi fanatismi del Novecento, nei campi di sterminio; lapide d'un essere umano che preferì, pur di non lasciare sola la sorella, rifiutare i suoi privilegi acquisiti e accettare una sorte terribile. Quella del martirio. Sfogliare le pagine di chi ha perso la vita così ingiustamente e con tanta crudeltà è una responsabilità civile, prima che letteraria; serve un rispetto profondo, estraneo – per quanto possibile – alla retorica. Allora, punto. Avanti, entriamo nel libro.
Fondane scrive che della sua natura di avventuriero Rimbaud non conservò, nel breve tempo della sua esistenza, che “la sete, la disperazione, la volontà di non arrendersi, di non rassegnarsi mai, di non morire”; e che piuttosto che “veggente” fu, come pensava de Gourmont, “un'insopportabile canaglia”. Fu uno che, pur di poter perseverare nel suo essere, dovette “frantumare la sua opera, e il poeta che era in lui”. Un ribelle “prima di ogni esperienza”. Un voyou: cioè un individuo dai costumi discutibili, nemici della morale, che vive tendenzialmente per la strada. Un vagabondo, un irregolare, un estraneo alla logica: uno che vuole cercare la poesia ovunque, per riconoscere in essa una verità nuova – laddove forse, nella parola “verità”, potremmo spendere una v maiuscola. Ci siamo intesi.
Il suo avvento nell'arte fu esemplare, archetipico; quando uno come lui appare sulla scena letteraria, “L'arte avverte l'incendio, la guerra, la sedia elettrica; ci appare tutto d'un tratto come un evento terribile, come l'evento terribile per eccellenza […]; è l'azione di una volontà assurda e carnivora” (p. 19). Rimbaud fu un ribelle che sembrava chiedere “una cosa che nessuno si sentiva capace di accordare”. Amava dispiacere, perché tutto aveva in orrore. Cercava Dio, disperatamente, sentiva che il sentiero per abbracciarlo non poteva che essere letterario. Rifiutava tutto il resto, perché in tutto vedeva ipocrisia e menzogna.
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Gli stadi di comprensione: meglio, di interpretazione, della poetica e dell'esistenza di Rimbaud raccontano molto del nostro Novecento. Pensavo, leggendo le pagine infuocate di letterarietà e di passione del franco-rumeno Benjamin Fondane, a come è stato letto e restituito alla mia generazione il poeta padre della “Stagione all'inferno”. La prima immagine è stata isterica, gaia e slabbrata: quella cinematografica di “Poeti dall'inferno” della Holland [1995], scandalistica rilettura della relazione tra Rimbaud e Verlaine. Arthur Rimbaud è un efebo sregolato, un ragazzino pieno di ispirazione e di smania di provocazione: un Rimbaud freak, più che proto-punk – come da lezione di Picasso. La seconda immagine è stata rock, e ancora una volta filmica: in coincidenza col film di Oliver Stone, “The Doors”, in Italia era apparso lo studio del professor Fowley, “Rimbaud e Jim Morrison – il poeta come ribelle” (Il Saggiatore, Milano, 1997; prima edizione: Duke University, 1994). Scopo del gioco era mostrare il rapporto derivativo tra le liriche di Morrison e i versi di Rimbaud, plagi inclusi; questa era una delle strategie. Infine, s'andava a meditare sul loro tratto comune princeps, ossia la vocazione alla ribellione. Così: “Il giovane ribelle vive in un mondo a parte. La classe medio-borghese da cui solitamente proviene ha diversi nomi per definirlo: rascal, hoodlum, ruffian, in inglese; scapestrato, teppista, canaglia, in italiano. Il francese usa il termine più forte, voyou, che associa l'idea di un comportamento scorretto a quella di una tendenza criminale […] Il voyou è l'uomo che si sottrae a tutto ciò che normalmente trattiene gli altri esseri umani: gli studi, la famiglia, gli obblighi civili, la religione. Il voyou è l'avventuriero dello spazio, delle strade impraticabili, della sconfinata libertà di campi e città” (pp. 139-140). Insomma: una sorta di hobo, per la cultura statunitense (cfr. almeno Jack Black, e “The Road” di Jack London), con tutta la poesia della clandestinità, e tutta la prosa dell'approdo scontato e periodico nelle patrie galere.
Qual è la differenza essenziale tra l'approccio della Holland, quello di Fowley e quello di Fondane? Fondane non cerca scandali, e non ha pruriginose curiosità nei confronti dell'omosessualità di Rimbaud; non ha bisogno di associarlo ai suoi epigoni, perché dà per acquisita e universalizzata la sua lezione politica anarchica e la sua lezione estetica; Fondane scandaglia l'essenza del poeta-veggente, per cercare di capire cosa abbia significato rinunciare alla società, all'arte, alla fama e cosa invece consacrarsi alla poesia. Il suo sentiero è quello più complesso; è esistenzialista, è difficilissimo, è personale. In altre parole: è autoriale, e non prevede sovrapposizioni, né nasconde agiografia; non è mai lezioso, non è mai soltanto speculare; è umano, lirico, tutt'altro che caricaturale. Dimenticate il Rimbaud clown e il Rimbaud gay per amore dello scandalo. Dimenticate le semplificazioni, dimenticate le normalizzazioni. Qui si cerca di illustrare l'anima di uno che è nato poeta e ribelle, e ribelle e mercante è morto. Sarebbe piaciuto a Vecchioni, al vecchioni giovane che cantava “A.R.”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Benjamin Wechsler alias Benjamin Fondane (Jasi, Moldavia, 1898 – Birkenau, 1944), scrittore rumeno, ebreo; naturalizzato francese dal 1938, deportato con la sorella ad Auschwitz nel marzo 1944. Esordì pubblicando “Ciné-poèmes” nel 1928.
Benjamin Fondane, “Rimbaud la canaglia”, Le Nubi, Roma 2007. Traduzione di Gian Luca Spadoni. Collana “Edipo”, 6.
Prima edizione: “Rimbaud le voyou et l'expérience poétique”, 1933.
Gianfranco Franchi, marzo 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.