Ma c’è qualcosa che non scordo. Lucio Battisti. Gli anni con Mogol

Ma c'è qualcosa che non scordo. Lucio Battisti. Gli anni con Mogol Book Cover Ma c'è qualcosa che non scordo. Lucio Battisti. Gli anni con Mogol
Renzo Stefanel
Arcana
2007
9788879663700

Io l’ho conosciuto nell’autunno del 1965. Era un ragazzino dai capelli corti, suonava la chitarra in un complesso. Un tipo taciturno, timido. Venne alla Ricordi, mi fece sentire alcune sue canzoni. Gli dissi che la musica mi piaceva molto, ma le parole no. E lui mi diede ragione. Cominciammo a lavorare insieme (…). Lavorare con Battisti è stato per me un hobby, mi divertivo, osavo di più, dicevo e dico tuttora le cose che sento, che ho vissuto” (Mogol in “Oggi”, 3 maggio 1971. Nel libro di Stefanel, a p. 11).

Dalle origini – Lucio, “chioma afro” e “foularino psichedelico”, esordisce suonando con band come “I Satiri” e “I Mattatori” e scrivendo musica per diverse band – sino all’ultimo atto della collaborazione con Mogol, l’album “Una giornata uggiosa”: questo saggio è una lettura sociale, politica (!) e pop del glorioso periodo della collaborazione tra un poeta e un grande musicista, capace di rinnovare e italianizzare, con stile, la lezione di Bob Dylan, dei Byrds, degli Animals e dei T-Rex. È un libro destinato sia agli aficionado di Battisti e Mogol, sia a quegli appassionati che stanno cercando una buona occasione per tornare sui loro passi e restituire diversa centralità e altra concentrazione ad ascolti mai dimenticati; l’analisi di Stefanel si concentra essenzialmente sui testi e sul contesto socio-culturale dell’epoca, riducendo ai minimi termini (finalmente) pettegolezzi e noiose beghe biografiche. Ne emerge una visione meno ortodossa del solito: Mogol viene comparato, per “I Giardini di Marzo”, all’Italo Svevo di “Senilità” (brillante lettura di Stefanel: pp. 86-87) e altrove, per “La collina dei ciliegi”, al Nietzsche di “Così parlò Zarathustra”; si evidenziano attacchi, in questa circostanza, al cristianesimo: La conclusione è chiara e feroce: ‘e cattedrali oscurano / le bianche ali non sembran più’. Il Cristianesimo non porta la luce, ma il buio, l’oscurantismo, e fa sembrare una cosa sporca la naturale innocenza con cui l’essere umano vivrebbe – angelicamente – istinti e passioni naturali, che invece vengono alienate, rese altro da quel che sono, inquinate, dipinte come mostri di cui aver paura. Ma ancora una volta vince la solarità, e ‘le nostre aspirazioni il buio filtrano / traccianti luminose gli additano il blu’, con immagine davvero simile a quel ‘sole che trafigge i solai’ di 'Pensieri e parole'” (pp. 129-130).

con buona pace di quanti volevano leggere disimpegno nell’opera dei due artisti, e di quanti hanno dimenticato la loro posizione nella battaglia divorzista e le battute sul libero amore, il ribellismo è limpido. Scrive Stefanel, evidenziando la difficile riconoscibilità politica: “(…) per il fatto di non sventolare nessuna bandiera, venivano automaticamente arruolati in schieramenti opposti: i neofascisti li credevano dei loro, e allo stesso modo ne venne trovata l’intera discografia in un covo delle Brigate Rosse, che citarono pure un passo di 'Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… (le discese ardite e le risalite)' in un loro comunicato del 1978, durante il sequestro Moro. Sbagliavano entrambi, destri e sinistri. Ma non sbagliavano a coglierne la critica strutturale alla società occidentale” (p. 119).

Da qui a salutare nei dischi di Battisti uno spirito rivoluzionario naturalmente ce ne passa; generica ribellione religiosa, individualismo, ritorno alla natura, sentimentalismo ed erotismo rimangono gli assi portanti dei testi. E il coraggio di vivere, quello che un tempo non c’era, per Stefanel si rivela ne “Gli uomini celesti”, dove legge la decisione di “non recitare una parte scritta da altri, siano Stato, Chiesa, falsi miti e ideologie”, prendendo in mano le redini della propria vita. Personalmente scopro, leggendo “Ma c’è qualcosa che non scordo”, che tra i grandi fan di Battisti ci sono i gemelli Pace e la Makino dei Blonde Redhead, che hanno inserito una variazione di “Ancora tu” in “Futurism Vs. Passeism, Part 2”; e che probabilmente “Heroes” di Bowie non è estranea a quel brano. Curiosi di scoprire perché? Andate a p. 167: “I punti di contatto ci sono: entrambi i brani sono privi di un vero ritornello (…), sono costituiti da una strofa ripetuta tre volte (…), il cantato parte sommesso e termina urlato”; Bowie e Mogol erano in contatto dal 1969, ai tempi della traduzione di “Space Oddity”; nel 1974, Bowie aveva riscritto “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi”, divenuta “Music Is Lethal”, affidandola a Mick Ronson. A questo s’aggiunga – spiega Stefanel – che Bowie ha più volte dichiarato (sino al 1998: intervista a “Le Monde”) che Battisti è il suo cantante preferito.

In sintesi e in conclusione, aspettatevi tutta una serie di letture empatiche o analitiche dei testi, notizie sulle fortune e sui rovesci della sorte discografici di Lucio Battisti – incluso il passaggio da Ricordi all’etichetta indipendente Numero Uno – chicche sparse qua e là a proposito di influenze e contaminazioni dichiarate e cover straniere di brani del duo, sintetica contestualizzazione per ogni album, elenco dei collaboratori principali e loro vicissitudini. Studiatevelo per bene e spiazzate i vostri amici; chi volete che sappia che esiste una versione inglese di “Mi ritorni in mente” (p. 36), “Wake Me I’m Dreaming”, a firma Love Affair? Vi siete mai chiesti come è stata scritta “Emozioni”? (p. 40) E via dicendo. Lasciate copia del libro, al termine della lettura, a portata di mano, di fianco alla vostra collezione di dischi. L’amarcord regalerà qualche sorpresa. Una volta ancora.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Renzo Stefanel (Udine, 1964), ex musicista, giornalista e scrittore italiano.

Renzo Stefanel, “Ma c’è qualcosa che non scordo. Lucio Battisti. Gli anni con Mogol”, Arcana Edizioni, Roma 2007. Prefazione di Franco Zanetti. Contiene bibliografia e webografia. Grafica: IFIX Project.

Gianfranco Franchi, dicembre 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.