Mursia
2003
9788842531616
Tre sono i saggi di Lupi dedicati ad approfondire diversi aspetti della cultura e della società cubana: il primo, questo “Cuba magica – conversazioni con un santéro” è un ibrido: parte romanzo di viaggio, parte reportage, parte incontro con uno stregone un po’ à la Castaneda, parte diario. Seguiranno, nell’arco di quattro anni – come vedremo – un saggio sulla musica cubana (“Un’isola a passo di son”) e uno sulla vita quotidiana dei cubani (“Almeno il pane, Fidel”).
“Cuba magica” è suddiviso in un’introduzione, diciotto capitoli e un epilogo; il linguaggio è piano e colloquiale; ogni qualvolta appaia una parola o un’espressione proveniente dalla peculiare tradizione religiosa cubana, l’autore si premura di illustrarne i significati, integrando talvolta reminiscenze classiche o suggestioni autoreferenziali postmoderne (nomina fuggevolmente, parlando del suo amore per il fantastico, Lenzi, Fulci e Deodato; gli ultimi due protagonisti di monografie dedicate). L’impatto è complessivamente buono: le suggestioni sono incisive ed efficaci, la memoria va facilmente a comparare il pantheon cubano con quello Greco-Romano o quello Etrusco, regalando idee divertenti e non poco svago.
In ouverture, a fianco alla dedica alla musa Dargys, versi di Nicolás Guillén; non mancano – come di consueto nei libri di Lupi – omaggi ad altri artisti cari alla sua sensibilità estetica, come Willy Chirino (“La Zarabanda”, p. 82; “El Cobre”, p. 155).
Veniamo ai contenuti: Lupi spiega dapprima la situazione religiosa nell’isola. Cuba è un Paese laico: nessuna religione di Stato, previsto il libero esercizio del culto. Il regime ha tuttavia ostracizzato il cattolicesimo sino ai giorni del periodo speciale e della visita del Papa; da quel momento in avanti, il 40% della popolazione, cattolico atipico – come vedremo – ha avuto maggiore e differente libertà. Non mancano chiese protestanti e sette varie: ciò non toglie che l’autentica religione cubana si fonda su un insolito sincretismo afro-cubano, la santeria, sintesi di cattolicesimo, animismo e paganesimo. Spiriti e divinità sono associati alla natura; vengono percepite poche differenze tra i morti e i viventi, in contatto tramite speciali riti magici o divinatori. Il culto dei santi s’è confuso con quello degli orisha – divinità pagane, antropomorfe e piene di vezzi e difetti, come nelle migliori mitologie mediterranee e europee in generale; spesso si registrano affascinanti sovrapposizioni.
La magia è necessaria per comunicare con la natura e intervenire nelle interazioni sociali. Scopriamo la Regla de Ocha, la Santeria: importata dagli schiavi africani – in particolare dagli Yoruba, nigeriani – e rafforzata dalla coscienza che in ogni cubano c’è un po’ di sangue nero. Formalmente cattolici: in privato, pagani. L’energia cosmica si chiama Ashé; i sacrifici e le offerte necessarie si chiamano Ebbò. Non mancano – in tutte le case – i loro Lari e Penati: gli Eggun. Sacerdoti di questo culto sono i santeros e i babalaos, superiori di grado, esclusivamente maschi. Senso di questa religione è la ricerca della felicità: le divinazioni servono a conoscere il futuro o a comunicare con gli dei. Le tecniche – ben illustrate da Lupi – sono differenti; si va dalla lettura del cocco e delle conchiglie sino alla trance, e così via. Ogni Orisha ha le sue pietre e i suoi colori: vengono attribuiti a ogni individuo dal santero, segno di riconoscimento del proprio “angelo custode” saranno delle perline corrispondenti inconfutabilmente a quell’Orisha.
Lupi descrive puntualmente il Pantheon della santeria, a partire da Oloddumare (dio supremo, onnisciente e onnipotente) e da Elegguà, depositario dell’Ashé, intermediario tra uomini e dei; sino – tra i tanti – a Orunmila (assimilato a Francesco d’Assisi), patrono dei babalaos. Non manca una completa cosmogonia (o “genesi”) a completare il quadro dell’origine del mondo secondo i santeros. Rivale – talvolta – di questa Regla de Ocha è la Regla de Palo: il palero comunica egualmente con santi e morti, ma sembra mostrare propensione per la magia nera: la brujeria, ossia la stregoneria. Questa Regla viene da un’altra delle tante comunità negre che si ritrovarono a Cuba nei tristi secoli della schiavitù.
Naturalmente, santeros e babalaos – a questo punto sarà superfluo ribadirlo – sono formalmente cattolici; i loro riti sono “integrazioni” rispetto a quelli cristiani. Avvengono al ritmo di speciali tamburi e percussioni; si compongono di musica e danza. Emerge la chiara distanza da Haiti, a partire dalla nascita degli dei del vudu; quelli provenivano dal mare, questi dal Monte. Il Monte – difficile definirlo con esattezza – è là dove vivono i santi, gli Orisha, i morti: è ovunque siano terra, bosco, piante; si va al Monte con cortesia, portando doni: e si trova tutto il necessario, dalle pietre ai rami. Grande il rispetto per le erbe e per le piante: purificano, difendono, alleviano il dolore… e possono darne. Tra tutte, regna la Ceiba – già famigliare ai lettori di Lupi per via del racconto contenuto in “Nero tropicale” – unica sopravvissuta al diluvio, madre di diverse leggende: ascolta parole e canto, protegge e difende e aiuta. A certe condizioni…
Maestro di questa quasi iniziazione (il termine tecnico è “Asiento”) di Lupi è il santero Armando, un mulatto, gran bevitore di Rum, cugino del suo Alejandro Torreguitart Ruiz, noto in Italia grazie alle traduzioni di Gordiano. Saluta il nostro piombinese come un camajan, un “mezzo cubano”: non è più uno yuma, uno sciocco straniero da spolpare. Andremo accompagnandolo per parecchie pagine dedicate al senso della trance (e a come smascherare i ciarlatani: sembra che non manchino), al Mal de Ojos (il nostro “malocchio”), alle tecniche della brujeria e alla vendicatività degli Orishas; scopriremo quali sono gli animali sacri (non possono essere venduti né mangiati) e a cosa servano i fiori e le candele nei riti; e ancora, Lupi racconterà che Elegguà – “Gesù bambino capriccioso”, p. 57 – è a guardia delle porte durante la notte, ma non a mezzanotte e alle sei: a quell’ora si lanciano stregonerie, si raccolgono cattive influenze e gli spiriti danzano per strada (occhio alle secchiate d’acqua!). Come interludio piacevole per gli appassionati della scrittura di Gordiano, ecco l’annuncio di due romanzi nel cassetto – confidenza tra lui e Dargys, incerta sulla sua vocazione da saggista – e un cenno alle future traduzioni di altri racconti dell’ormai parente Torreguitart Ruiz.
La morale della favola è forse in queste righe finali, che raccontano molto dello splendido (simbiotico) rapporto tra Lupi e l’isola, della profondità di questa sua ricerca e del suo reale significato: “ (…) Perché i cubani sono come gli Orishas che venerano. Ubriaconi, bugiardi, violenti, traditori, pieni di difetti. Però simpatici. Ed è per questo che ogni volta lascio una parte di me su quest’isola. Un giorno o l’altro, con più calma, la tornerò a prendere. E i libri che scrivo quando sto lontano sono soltanto una scusa. Un modo come un altro per ricordare. Qualche amico ogni tanto mi dice che dovrei smettere di raccontare Cuba e occuparmi dell’Italia. Dopotutto sono italiano. Prima o poi lo farò. Forse (…)” (p. 157) – chissà, magari tra qualche anno, quando Cuba scoprirà la libertà e la democrazia, troveremo questi suoi libri cubanissimi, saggi e romanzi, in tutte le loro librerie. Un italiano potrà diventare orgoglio letterario dell’isola: quando la controrivoluzione sarà avvenuta, questo sì, e si potrà sorridere del passato, rivendicando quella storia e quelle tradizioni che i secoli e i regimi non hanno mutato. Come la santeria.
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“Cuba magica è il mio primo tentativo di fare un lavoro di saggistica. Prima di tutto saldo i debiti d'autore perché la base tecnica del lavoro è un famoso testo cubano introvabile in Italia: El monte di Lydia Cabrera, una delle tante intelligenze cubane costrette all'esilio da un regime liberticida. Per la definizione di monte rimando al libro, ché ci vorrebbe una pagina solo per cominciare, ma qui basta sapere che non ha niente a che vedere con ciò che noi pensiamo abitualmente. Cuba magica non è un saggio, è un romanzo di viaggio, una storia nel mondo della santeria e del palo mayombe, un racconto scritto parlando con un santero, una sorta di stregone cubano. Non sono un antropologo, non sono un saggista di storia delle religioni, ma un semplice divulgatore che cerca di far capire a chi non ne sa niente cosa è la santeria. Questo libro ha avuto un cammino editoriale assurdo. Me l'hanno rifiutato almeno 20 editori, poi l'ha pubblicato Mursia, non so davvero per quale motivo, forse cercavano un testo come quello in quel determinato periodo. Fatto sta che Mursia è il peggior editore con cui ho avuto a che fare, nonostante il nome che deve soprattutto alle collane scolastiche. Per la saggistica un editore come Olimpia di Firenze (il mio editore dei Serial Killer) è notevolmente superiore. Mursia pubblica, ma dopo si disinteressa completamente dei libri e forse questo è uno dei motivi per cui Cuba magica ha venduto un migliaio di copie soltanto. In ogni caso si tratta di un long seller, un libro che si può vendere sempre, non scade mai...” – scrive Gordiano Lupi nel maggio 2007.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.
Gordiano Lupi, “Cuba magica – conversazioni con un santéro”, Mursia, Milano 2003. Contiene un’utile bibliografia.
Gianfranco Franchi, Maggio 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.