Addio al Sud.

Addio al Sud Book Cover Addio al Sud
Angelo Mellone
Irradiazioni
2012
9788873100461

Che senso ha l'esordio di un nuovo poeta, in una nazione flagellata, in poesia, da un decennio abbondante di pubblicazioni fluviali, più o meno amatoriali, regolarmente autoreferenziali, estranee a ogni consapevolezza che non sia quella dell'esistenza d'un proprio, rotondo, ombelico? Che senso ha che in un paese come questo, in cui qualunque lettore forte fatica a nominare cinque – cinque – veri editori di poesia italiana contemporanea, e tre – tre – vere riviste dedicate alla poesia, un poeta sconosciuto vada per teatri e centri culturali a leggere i suoi versi? Che senso ha che un giornalista scriva versi? È mai esistito un giornalista poeta? Forse un giornalaio: più probabile. In compenso, sono esistiti poeti che si prestavano al giornalismo. Pochissimi. Strane creature anfibie. Famigerate.

Io dico che ha senso prendere in considerazione l'esordio di un nuovo poeta, in questo benedetto assurdo decaduto belpaese, soltanto se a presentarlo come dio comanda è uno dei quattro o cinque grandi letterati superstiti al Novecento: vale a dire Andrea Cortellessa, Flavio Santi, Arturo Mazzarella o Andrea Di Consoli. Se è Cortellessa – se è Mazzarella – se è Santi, a presentarmi un poeta, un poeta nuovo, allora io ascolto. Allora io leggo. Ma se è uno come Andrea Di Consoli, non solo ascolto e leggo: ascolto e leggo pensando che di lì a poco avrò un'iniezione di profondo meridionalismo – e mi rapporterò con quella parte della cultura e dell'intelligenza del paese che personalmente, venendo da due frontiere, la frontiera di Roma e la frontiera orientale della nazione, non conosco e spesso non capisco. Andrea Di Consoli è il papà di tutti i letterati meridionali di questo paese: un papà pieno di generosità e di tenerezza, un papà competente e forte. E allora ecco le notizie da darvi: è uscito un nuovo libro di poesia, di un autore sin qua estraneo alla poesia. A presentarlo, è il grande letterato Andrea Di Consoli. Andiamo a leggerlo, perché se è Andrea a dirlo allora c'è, e ci dovrà stare, qualcosa di potente, di vero, di giusto, di bello.

La copertina del primo libro di poesia del giornalista e saggista tarantino Angelo Mellone, classe 1973, uno che definirei, in editoria, “castelvecchiano di destra”, annuncia: “Addio al Sud. Un comizio furioso del disamore”. L'editore, “Irradiazioni”, è praticamente sconosciuto. L'autore non è estraneo ai comizi: è laureato in Scienze Politiche, ha una sua storia partitica e una sua idealità. Ma quello che conta è quella riga, giusto sotto il titolo: prefazione di Andrea Di Consoli. Entriamo nel libro passando per questo giusto ponte. È così che deve andare.

Scrive il poeta padre della “Navigazione del Po”: “Questo poema sentimentale e civile – sia pure d'un civismo obliquo, tagliente, furioso e, in certi momenti, sprezzante – colpisce primieramente per un fatto: per essere un canto delle radici spezzate, e dunque un canto per qualcosa che da tutto è diventato niente, anche se questo niente continua a ossessionare, a ingigantirsi, a tormentare, soprattutto a certe ore del giorno e della notte, quando la nostalgia, unita a un disprezzo mal dissimulato, fa prendere atto che 'tu, ovunque vada / qualunque cosa faccia, tu questo sei'” [p. I].

Poema sentimentale e civile. Nei ringraziamenti, il poeta di “Addio al Sud” scrive: questa è “un'orazione civile tecno-pop”. Sembra una definizione nuova. Interessante. Torniamo sempre ad Andrea Di Consoli: “Ogni meridionale sogna di crearsi un Sud altrove, il vero Sud che porta nel cuore e che non ha trovato nel suo tempo storico” [p. II]. E associa Angelo Mellone a Cosimo Argentina, a Luigi Pingitore, e finisce per imparentarlo ad Aurelio Picca, per “L'Italia è morta, io sono l'Italia”. E che altro? Di Consoli racconta la malinconia e la nostalgia e la rabbia del poemetto, accenna al dolore prepotente e irrisolto del poeta, la perdita del papà in adolescenza, e la perdita di salute e speranza di Taranto, “piegata da spopolamento, crisi industriale, inquinamento, dissesto finanziario, populismo demagogico” [p. IX]. E così ci ritroviamo, a un passo dalla lettura, pronti a leggere di una terra lontana e di una vita perduta, ma non dimenticata; di un meridione che finisce per rappresentare, metonimicamente, la nazione che si sta disintegrando; di una parola, “emigrazione”, che sembra proprio fare rima con “maledizione”. Pronti a leggere qualcosa che potrà stupirci, qualcosa che potrà ferirci, qualcosa che potrà restare vivo nei nostri pensieri – almeno per un po'.

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Alessandro Leogrande, sul “Corriere della Sera”, ha scritto: “Mellone si definisce un 'fottuto nazionalista', e avrebbe volentieri impalato un po’ di briganti. Ma, pagina dopo pagina, la sua tetra descrizione di uno sfascio abitato da diavoli, dal quale occorre congedarsi ora e subito in attesa di improbabili eroici ritorni, appare come l’altra faccia della medaglia. Il sudismo nazionalista (Mellone evoca addirittura un’adesione ideale alla Repubblica sociale) va di pari passo con il sudismo neoborbonico, mentre sullo sfondo aleggia il solito sudismo folclorico, calderone di tic, pregiudizi, stereotipi come nel film Benvenuti al Sud di Luca Miniero” [fonte: “Minima et Moralia”].

Ma sempre sul “Corriere della Sera”, Aldo Cazzullo ha invece così osservato: “[...]Difficile da argomentare, ma questo testo è un 'addio' ed è anche un foglio di chiamate alle armi, e in questa contraddizione c'è tutta la modernità della posizione ineffettuale, e dunque estetizzante, di Mellone, che alla maniera di Pasolini si considera, rispetto al Sud, «con lui e contro di lui». Il suo è un appassionato addio al Mezzogiorno del rancore, della malavita, dell'inciviltà, della subcultura televisiva. È però anche un disperato e struggente ricordo di una giovinezza meridionale, al cui centro c'è Taranto, della quale Mellone ricorda le icone (il calciatore Erasmo Jacovone), le tragedie (l'Ilva, la mattanza criminale degli anni '80), gli aspetti più "privati" (la prematura morte del padre, la vendita della casa di famiglia) [...]”. E forse la distanza tra questi due giudizi racconta quanto spezzato sia e rimanga il nostro paese – e quanto incompatibili siano certe distanze. Da meditazione, no? Abbastanza.

Scrive, Mellone. “Vieni da Sud. / Sei asino e sirena. Porti in tasca la controra. / Odori di bagnasciuga, puzzi di fumaiolo e di pesce decongelato / la cenere nei capelli, l'acqua salata negli occhi, l'ulivo nella pelle. / Tu, chiunque sarai, / i vestiti e i profumi e l'accento che saprai sfoggiare, sempre da lì vieni […]. La tua piccola patria. / Vieni da Sud / Oggi è un giorno di quelli” [pp. 5-6].

E cos'è, Sud? “Sud è una terra che ti sporca per sempre la vista, / granelli di memoria che esplodono a tempesta. / Sud è passione per la forma, è cinico amore per il ciuccio spintonato […]. Sud è eterno ritorno alla possibilità di andare via. Sud è eterno rientro” [pp. 7-8]. Sud è “la storia di un'assenza” [p. 17], è il microcosmo del “genocidio della speranza” [p. 52].

Mellone sale. “Sud è aglio, salvia, miele per frittelle / pane duro da ammollicare, agnello e cavallo. / Cavallo. / Sud non sussurra ai cavalli, li mangia” [p. 14]. E poi si ferma a cantare. “E poi Lei è Sud. / Lei. / Sì!, posso cominciare dicendo / che Lei è Sud / perché il suo viso l'ha disegnato un artigiano del Tavoliere /, ha le labbra d'argilla e la pelle d'ambra, / e gli occhi paiono un granaio denso di luna a mezzanotte” [p. 23].

E poi vede Taranto. “Ho vissuto i miei primi diciotto anni in una città / di Japigi, di Arii, di Fenici / resa magnifica e ricca e splendente dai Partenii cacciati perché figli bastardi di donne spartiate, / che fu grande di Magna Grecia / con la forza di Taras figlio di Poseidone / sul dorso del delfino e chiamò Pirro dall'Epiro / con gli elefanti e poi fu spogliata dai Romani, / rasa al suolo dai Goti, incendiata dai Saraceni […]” [p. 42] – e giù passando per i fratelli Romaioi, i Bizantini, e i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, i Francesi, gli Austriaci, gli Inglesi, gli Americani. Mellone vede l'origine e racconta la sua storia; ha la visione ultima d'una “patria da congedare” ma solo col ritorno dei tanti fratelli partiti per il settentrione del mondo – non soltanto per la nebulosa piana lombarda. E infine riduce tutto a un'essenza antichissima – cenere, ulivo e salsedine. Quello è Sud – uno stato mentale. L'angoscia di non poter tornare – di dimenticare, infine, dove tornare – e la nostalgia totale.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Angelo Mellone (Taranto, 1973), giornalista, saggista, speaker radiofonico e poeta tarantino, laziale di adozione. Laureato in Scienze Politiche, è dirigente Rai.

Angelo Mellone, “Addio al Sud”, Irradiazioni, Roma, 2012. Prefazione di Andrea Di Consoli. ISBN, 9788873100461.

Gianfranco Franchi, maggio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.