Marsilio
2004
9788831784269
“Parnaso d’Oriente” è un libro di cronaca in versi. Nella prima parte, “Correlativi”, è cronaca dei sentieri dell’anima e della ricerca letteraria; nella seconda, “Odi a Shangai”, dell’interazione e della dialettica con l’incarnazione d’una alterità fascinosa e seducente; nella terza, “Prove di provocazione”, dello spirito della satira: oltraggi, tra divertissement e blanchissement. Senza dimenticare l’insegnamento del letterato-viaggiatore per antonomasia del Novecento italiano: “l’oltranza è oltraggio”, e dunque non s’affondano gli strali e non s’offende senza garbo e misura. Si scalfisce, e non si va a sgretolare. Nella quarta, “Parnaso dei fumetti”, si canta, sorridendo, della fantasia e dell’infanzia, tributando un poemetto agli eroi delle nuvole parlanti. Infine, la quinta è cronaca d’un’interiorizzazione d’una cultura: per traduzioni, e tradimenti (donc: per alterazioni, e rinnovamenti).
Tredici anni d’esistenza, e di sperimentazione letteraria, suddivisi in cinque sezioni. Asimmetriche e imprevedibili: sconcerta l’eclettismo, la varietas, la naturale renitenza dell’opera a una integrazione definitiva in una categoria.
1990 – 2003: anni dedicati all’insegnamento nelle Università cinesi, slovacche, slovene e italiane, per intervalli di cronaca in versi d’un’esistenza atipica e poliedrica, consacrata alla letteratura e alla traduzione in poesia d’ogni mondo conosciuto, e immaginato. La prima epifania dell’alterità, nella sezione “Correlativi” (2003), è estraniante e fastidiosa: funzionari d’una dogana, non definita e non descritta, s’accostano queruli e pedanti ai viaggiatori, “invasi da stupore impolverati”: loro non resta che furbescare per trattenere questi esseri sconosciuti, custodi d’una legge evidentemente misteriosa e ammantata d’un’aura sacrale e grottesca al contempo. “Correlativi” è una sezione emblematica della condizione spirituale del poeta dai tanti orizzonti: “l’orizzonte negato” (“Tous les livres nell’unità di luogo”), per via della sua originaria dannazione alla fede nel dogma: nel Logos. Entriamo nel sangue e nel magma della sentenza: “nulla davvero mutabile / neppure il tempo / come pretesa unità (…)” (“Ovale del sosia”); “Clicca il timer / già il sipario cala / si contraggono luce / e punto” (“L’occhio terroristico”). S’è inteso il canto del Dio morente: la sua voce irrefutabile, innegabile, sublime: “La Perfezione non richiede presenza / né ci si deve preoccupare / è tutto garantito senza errore” (Garanzia illimitata): state tranquilli, giura il folgorato, tutto è previsto: errori parabole miracoli.
La poesia infine ironizza sull’immutabile (“Restauro agli Scrovegni”), perché altra via non conduce l’anima dell’artista a salvazione: metabolizzato il Verbo, non rimane che nascondersi nella prosa della quotidianità > asciugarsi portafogli fradici, ascoltare il rumore della porta scardinata d’un bungalow, sostare nei predati villaggi turistici: per non essere soffocati dalla responsabilità, per scampare. Viaggio come rifugio e fuga e ricerca d’altri colori: senza rinunciare a un’identità nitida, a una direzione limpida.
Dunque Troisio può cantare la “prima chioma d’alba”, tornando a respirare dall’algica incoscienza (“Bagaglio appresso”), per capricci di verità: l’ambizione è dominare il proprio pensiero (“Il maestro”) rinunciando al dovere d’assecondare il sentiero dettato dal Logos. E cantare infine per allievi sprovveduti e accidiosi: “presuppone il procedere / nobiltà di modi. / Il maestro deambula scalzo / si rattrista per gli allievi”. Perché si può rivelare segreto d’utopia: correlativo del Verbo. “Fiat almeno / un’asintotica progressione / un calo minimo nelle furterie. / Utopia puntino a piacere / su binari di speranze parallele / Voluttuose che all’infinito / però si bacino longinque (…)”. (Utopia)
Itinerario d’un viaggiatore occidentale, cosciente e orgoglioso delle radici, e dell’identità conquistata, e della ricerca d’altri colori necessaria alla (de, o trans) formazione: Odi a Shangai per arance, fauna inespungibile e “contadini in bici spasimati / ingobbiti (…)”, cronaca d’un mondo reale, non fiabesco: intatto e sospeso, cristallizzato. Immagini e spiriti, intesi e pesati dall’Occidente: è il mondo di Shang Hai Xiao Ya (1990-1992), tra eccentrici cantori e poetesse invisibili e giovani.
Momento quindi delle “Prove di provocazione”, tra una goliardata per profanare l’aura di plastica di Nostradamus, quello che “prevede sempre dopo” (pp. 84-85), e il meraviglioso “nucleo pratico” custodito da Renucio Boscolo, e derivazioni bukowskiane, taccuini di seduttore ch’esiste per stupirsi (“del mondo di bellezza cosmogonica”, p. 86) e rinnovare ed eternare la voce degli antichi cronisti. “Visitai mondi lontani città strepitose / vidi l’unicorno impagliato ma più cactus che rose” (p. 101): “Di tanto mondo / poco mi spiego” (p. 104): annuncio di nuovo viaggio e di coscienza della limitatezza d’un filtro, dell’incapacità di riflettere in sé la voce della diversità e dell’alterità e tuttavia e al contempo del dono di comunicarla, come strumento intelligente, a nuovi e sprovveduti ermeneuti. La lingua adottata è splendidamente contaminata: contiamo, tra le voci latine: machinae / olim / incipit / senectus / magister / ad astra / sub tegmine / rictus / fiat / Dominus / explicit / virgo / tempus loquendi / ecce / vende quod habes. Siamo nel postmoderno: l’italiano sposa l’inglese. Ecco, tra gli altri vocaboli: teen-ager / once / timer / I am not so bad / bungalow / singles / jobless / display / cow boy / sweet / tattoo / bookstore. Si campiona solo qualche esempio relativo alle due lingue più comunemente presenti, tra le varie, nei versi di Troisio. Che forse non va creando un nuovo italiano, ma va testimoniando da un lato lo spirito della cultura del nostro tempo, e dall’altro va partecipando alla ricerca d’una neo-lingua più fedele all’eclettismo della quotidianità del pensiero d’un letterato europeo del Duemila. Cronista in versi per vocazione e dedizione: a tradurre gemme, per marcare il mistero dell’alterità.
PAROLE D’AUTORE (di LUCIANO TROISIO)
Padova, giovedì 3 giugno 2004. «Caro Gianfranco, ho riletto la tua recensione su Parnaso con calma, nel segreto della mia cameretta. È un buon lavoro, te lo posso garantire io che sono un “negato” affermato. Ho capito il tuo percorso: hai l’ansia e l’usma di andare avanti, oltre, temi ininterrottamente di essere sorpassato (come del resto ricordo succedeva nelle assemblee degli anni Sessanta, quelli meravigliosi che non torneranno mai più; giocavamo a massacrarci, a scavalcarci col prevedere, col procedere, col digerire dialetticamente, smontare e demolire tutto a cannocchiale). Comunque mi pare che tu riesca benino. Quindi pretenderesti che io ti attaccassi, contraddicessi, criticassi; rendi meglio, ti accendi ancor più (come anche alcune mie donne, ormai in promemoria) nella disputa, nel contrasto, magari ininterrotto. Ma benedetto figlio, ciò fa salire la pressione, e io per vivacchiare devo prendere ogni mattina mezzo Tenormin (che presumo significhi tenore minimo), devo anzi fuggire i bellicosi giovanetti achei, essere mite e piuttosto mediare che inveire. (Ciò ovviamente non impedisce che mi tenga ben salde le mie cocciute stagionate ragioni). Veniamo al dunque: non hai poi tutti i torti, l’intervista è meno provocante, più ovvia e digesta. Ergo cercherò di stroncarti con qualche noterella.
“Orizzonte negato”: titolo efficace, stimolante e ben scelto. In fin dei conti fa affiorare il succo, il segno della silloge, individua e indovina a perfezione la grande metonimia; fermate il mondo, voglio scendere. Oppure: questo mondo non ha più posto per me, quindi non posso più usufruire della sua straordinaria Beltà, e a ciò risulta già molto problematico sopravvivere. Quindi il maestro non ce la fa a dialogare, quindi i funzionari, quelli che sanno vivere, mi tengono a distanza, non sono ammesso, sono il povero, l’anziano, il marginale della bellezza.
“Libro di cronaca in versi”: a questo non avevo pensato. Come sai, a un certo punto del tragitto l’autore non vede più la sua creatura, però sotto sotto la conosce, e infatti ammetto che è esatto. Qui dimostri molta capacità, raffinatezza ottica, forse troppa per il lettore medio: vai in profondo come uno psicoanalista che abbia fatto il classico. Per capirti poi ci vuole un coinvolgimento, un elitario dispendio di rimuginata riflessione.
D’altronde te l’ho servita a puntino: la silloge è suddivisa in parti, in periodi. Hai magistralmente enucleato alcune caratteristiche.
“Eclettismo, varietas, renitenza”. Osservazioni molto personali, che potrebbero anche sottendere eufemismi. Io stesso non avrei mai previsto di scrivere “Correlativi”, e in soli due mesi, nel 2003. Se questo non fosse successo, fornendomi una cinquantina di nuove pagine (dopo tutto) accettabili, non avrei potuto eliminare molti testi preesistenti, che non mi convincevano. Per questo motivo non avevo accettato la (tutto sommato generosa) proposta dell’editore. Forse non mi crederai ma avevo abbandonato l’idea di pubblicare la silloge, avevo anzi deciso di concentrare le forze sulla narrativa. Comunque questo eclettismo non è sdoppiamento di personalità o travestimento (forse può essere anche questo): mi deriva soprattutto dall’antica pratica dello sperimentalismo, eredità più che legittima della neoavanguardia, mai rinnegata. Qui il discorso si farebbe assai personale: sofferta evoluzione di linguaggio, mutata “visione del mondo” ecc. ecc.
“Alterità e funzionari” (ciò che ci proviene da fuori): ma loro sono i bravi, i potenti, i maggiori, gli angeli; non possono prendermi con loro che per un mezzo pomeriggio. Stare con loro è un’agognata meta di cui non sono degno (sono della razza di chi rimane in braghe di tela). Non sono fastidiosi; direi piuttosto inarrivabili, io li ammiro, concedono a piacere minime pillole di sicurezza, è una vita che cerco invano di ruffianarmeli…Sì, l’orizzonte è negato; la realtà è una progressiva metonimica serie di esclusioni. Inoltre migliorare il mondo, utopia irrinunciabile, diventa sempre più difficile, forse impossibile.
“Scampare-scappare”: questo no, rinunciare alle responsabilità, fuggire dalla realtà? Questo no, qui dissento. Ma dopo 10 anni di sderenate scuolette campestri che erbose hanno le soglie, dopo 14 anni in paesi dal comunismo irreale, dopo 40 anni di contributi, dopo aver rinunciato a carriera e potere, uno può anche averne abbastanza, avere già dato. Se proprio vi faccio schifo permettetemi a fortiori di non infastidirvi con la mia presenza, almeno di fuggire i rumori molesti, riconoscete il mio diritto di evitare la prossemica con i bifolchi (e le gentili fanciulle) che non esiterebbero a calpestare il cadavere della loro brava madre. Purtroppo c’è il sospetto che la virginea utopia sia definitivamente caduta nelle mani di un’algebrica banda prefissata, sempre la stessa dopo il Rinascimento e Machiavelli.
“Shang Hai Xiao Ya”: questa sezione l’hai letta troppo in fretta e sottovalutata. Forse ha l’ispido e poco simpatico residuo della neoavanguardia, ma qui ci sarebbe da riflettere sulla costanza, sull’amore per i poeti, che testimoniano e dunque fanno sopravvivere la bellezza del mondo; per le poetesse seducenti, per gli ossigenati orizzonti ecc. È un discorso sulla cultura cinese, a sé, assai denso. Sezione-omaggio pubblicato solo in parte.
“Prove di Provocazione”: ben rilevato l’intento sarcastico del breve assaggio di una silloge in 53 parti già uscita autonomamente, come sai benissimo dalle note. Il volume risulta una specie di autoantologia recente, che per restare tale doveva essere compresa intorno alle 100 pagine (in realtà erano almeno 300). Ma il nucleo affiora agevolmente. Anche “Parnaso dei fumetti” ha un’insospettata importanza. Garantisce e rasserena, ricollega a vivibilità.
“Lingua adottata”: trovo straordinaria e originale la tua osservazione sulla contaminazione linguistica, specie per quanto riguarda latino e inglese. E altrettanto formidabile il lucidissimo acuto, confortante finale. Hai trascurato alcune pagine; specie l’operazione “Correlativi”; stilistica e non, che pretenderebbe proporsi come consuntivo d’apprendistato e pedagogia; il fatto che cavallerescamente io abbia svolto un compitino, quindi che dia atto di aver assimilato alcuni messaggi forti (ammesso che nell’Italia poetica del secolo XX ce ne siano davvero), nel momento stesso in cui li seziono e ne prendo ironicamente le distanze. Riassumendo, hai voluto filosoficamente privilegiare il significato. Secondo me bisognava dare più peso alle “catene” (e ai significanti), affondare di più nell’ineffabile, specialmente quando si ha a che fare con generazioni più vecchie e con la loro inespungibile processualità, con chi proviene dall’oscurità provocatoria (probabilmente ormai datata) della neoavanguardia, e accetta finalmente di ristabilire il tentativo di comunicazione caparbiamente negato, di uscirne anche dolorosamente in apparente diluizione (evitando almeno di scimmiottare alcuni propri giovani sussiegosi glabri allievi, di scarsa e infida memoria). Con queste belle parole, certo di averti massacrato ti ringrazio e ti abbraccio. Luciano»
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Luciano Troisio (Monfalcone, 1938-Padova, 2018), ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana.
Luciano Troisio, “Parnaso d’Oriente”, Venezia, Marsilio 2004.
Gianfranco Franchi, giugno 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Un libro di cronaca in versi.