Mondadori
2001
9788804492481
Silone pubblica “Il segreto di Luca” nel 1956, in un periodo della sua esistenza nel quale s’era ritirato da ogni militanza politica mantenendo e conservando una forte sensibilità nei confronti dei problemi delle classi sociali disagiate e dei contesti rurali meno evoluti. Questa sensibilità si riconosce e si distingue, senza difficoltà, pure in questo romanzo che – ad un primo livello di lettura – si presenta come libro dedicato al tema della testimonianza della verità e della demistificazione della menzogna in altro, e assolutamente individuale, contesto. Protagonista è infatti Luca Sabatini, ergastolano ingiustamente accusato d’omicidio quaranta anni prima: Silone ricostruisce, fondamentalmente tramite dialoghi, la realtà dei fatti; è una sorta di inchiesta retrospettiva, condotta da un uomo politico (un “compagno”: non sappiamo se comunista o socialista) che ha personalissime ragioni d’affetto nei confronti dello sfortunato ergastolano. Gli eventi si svolgono in un piccolo paese collinare, Cisterna dei Marsi: a far da sfondo al ritorno di Luca, graziato, e all’indagine sulle ragioni della sua condanna, una realtà provinciale che – per rapide e convincenti pennellate – Silone tratteggia nell’ambizione di rappresentare – crediamo – lo spirito e le condizioni del suo tempo. E dunque registriamo la sinistra solidarietà tra il nuovo, giovane e assai pragmatico curato, Don Franco, e l’amministrazione comunale; percepiamo tracce e segni di corruzione nel nuovo sindaco, e chiaro e crescente distacco(diremmo: scollamento) tra cittadini e loro rappresentanti; testimoniamo ipocrisia e avidità delle istituzioni di riferimento, alle spalle d’un popolo mansueto fino alla depressione e non sempre estraneo all’analfabetismo (“un terzo della popolazione vive in grotte e baracche”).
Memorabile un dialogo tra sindaco e parroco, a proposito d’un monumento da dedicare ai caduti: ci si domanda a quali caduti intestarlo; l’idea di dedicarlo “ai caduti per la libertà” appare eccessivamente generica. Così, si discute di consacrarlo – allegoricamente – “alla gloria e al sacrificio”, e si finisce a dibattere di come le due figure dovranno essere scolpite: baciandosi, sorridendosi, o l’una disinteressata all’altra. Immagino possa giovare al lettore ricordare, ancora una volta, quando venne pubblicato il romanzo: 1956 – dunque, problemi, vezzi, ipocrisie e confusioni italiote non mutano mai da cinquanta anni a questa parte, eccone conferma. È un documento letterario – è opera di fantasia: ma valga almeno come testimonianza dell’intuizione siloniana delle contraddizioni e dei contrasti che animano la nostra cultura dal dopoguerra. Il passato, invece, è diversamente connotato: ad esempio, il vecchio curato, Don Serafino, è figura umanissima e autenticamente religiosa. L’abisso che separa il “modernismo” del nuovo parroco dal “tradizionalismo” dell’antico è innegabile: si tratta di due figure umane assolutamente antitetiche, e forse non è opportuno interrogarsi a proposito di questa opposizione in altro ambito che non sia quello “umano” ed “etico”, accantonando letture religiose. Incontriamo Luca nel momento del ritorno a casa. Il mondo che conosceva non esiste più: la grande selva che si stendeva ai piedi del monte è andata bruciata - così gli racconta una donna che ha accidentalmente incontrato; e non sa neppure dirgli quando. È avvenuto un venerdì, tempo prima: ma ogni venerdì, afferma, è uguale a un altro.
Luca è immutato, dentro: a differenza dell’ambiente che va a ritrovare, lui è rimasto fedele al suo passato e conserva e custodisce il segreto del silenzio tenuto nel processo. Non s’era difeso: condannato all’ergastolo, aveva visto riconosciuta la sua innocenza soltanto quaranta anni dopo, per via della confessione del vero responsabile dell’omicidio.
La legge non prevedeva obblighi di indennizzo alle vittime di errori giudiziari: alla soglia dei settanta anni, Luca era solo e ridotto in miseria. Questo silenzio – scopertamente – nel testo è in più frangenti accostato a quello di Cristo e di Socrate, nelle eccezionali circostanze che ognuno ricorda: se vogliamo credere che doveva avere valenza simbolica, l’indicazione autoriale sembra esaustiva, in proposito.
Esteriormente Luca appare, a dispetto dell’età, sano, alto e robusto: capelli grigi e corti, barba di qualche giorno. Nelle prime scene, è scalzo: porta con sé una bisaccia, contenente un filone di pane e un paio di scarpe. Sembrava, certo, eccezionalmente povero; e al viandante che l’avesse incrociato non sarebbe stato possibile capire quale fosse il suo mestiere.
È disorientato, inevitabilmente. Va in cerca del parroco, ma scopre che non è più Serafino ad essere responsabile della cura delle anime del paese. S’avvia allora verso la sua antica casa, che trova diroccata e spoglia d’ogni oggetto; la porta, sbarrata con pesanti assi. Uno sconosciuto ragazzino – che sembra davvero il suo “doppio”, come ogni lettore non faticherà a intuire, e non solo per l’epilogo “rigenerante” della vicenda – l’attende a pochi passi; ha il suo stesso soprannome d’infanzia, “Testa dura”, e non ha padre. Ha occhi verdi e vivissimi. È solitario e vagabondo; ed è pronto, spontaneamente, ad assisterlo.
Da questo punto in avanti, seguiamo lo sviluppo della vicenda del ritorno di questo scomodo innocente ergastolano tramite i dialoghi, in diversi frangenti, tra sindaco, curato nuovo, curato vecchio, maresciallo, e vecchio mugnaio, Ludovico, amico di giovinezza di Luca: e, per la maggior parte del testo, tramite la febbrile inchiesta che condurrà Andrea, eroico ex partigiano, già carcerato e confinato dal regime fascista, che torna al paese dei suoi antenati per rifiutare che gli sia tributato un omaggio politico da un’amministrazione corrotta, e sostenere un vecchio amico di suo padre.
Nessuno nega l’innocenza di Luca. Nessuno vuole dire perché era innocente. Il giudice ripete ad Andrea che non ritiene d’aver sbagliato: mentre gli consegna gli atti, gli ricorda che l’esito della causa fu determinato da una giuria popolare di contadini e negozianti, e che nessuno parve dubitare della sua colpevolezza. Andrea è basito: perché un’intera cittadinanza doveva condannare all’ergastolo un innocente? Vuole capire, e non giudicare: vuole riabilitare Luca, perché, molti anni prima…Ne deriva una vicenda che narra d’amore, d’inganni, di fedeltà, di menzogne e false testimonianze, d’onore e di sentimento: tredici capitoli che si lasciano leggere senza particolare difficoltà, e senza patire noiosi rallentamenti per via del progressivo scioglimento del triste e romantico groviglio.
È un romanzo che prova l’attitudine dell’autore a rappresentare, per dialoghi, una vicenda intricata e complessa – il testo pare facilmente adattabile ad una riduzione cinematografica, o a una traduzione teatrale. Pregevole la linearità delle descrizioni dell’ambiente – in generale – e del contesto rurale. Silone sa essere paradossale e sa essere avvincente. E regala un libro di grande dolcezza, elegia d’un sentimento puro. Da leggere.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Biografia ALFA
Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone (Pescina dei Marsi, L’Aquila, 1900 – Ginevra, 1978), romanziere, giornalista e saggista italiano. Fu parte della Gioventù socialista. Prese parte alla fondazione del Partito Comunista italiano. Dal 1922 fu direttore del settimanale romano “L’Avanguardia” e redattore del quotidiano triestino “Il Lavoratore”. Collaborò con Gramsci, occupandosi de “L’Unità”, per difendersi dallo squadrismo. Ferreo oppositore dello stalinismo, uscì dal partito nel 1930, giudicando che ogni divergenza d’opinione col gruppo dirigente “era destinata a concludersi con l’annientamento fisico della minoranza da parte dello Stato”. Esule in Svizzera fino al 1944: rientrato in Italia, aderì al Partito Socialista e diresse l’“Avanti!” tra 1945 e 1946. Non mancarono nuovi attriti: si ritirò da ogni militanza politica istituzionale nel 1949. Avversò ogni forma di tirannia: regimi, partiti, chiese. Fu avversato dalla destra e dalla sinistra; e dalla critica letteraria italiana, fino alla vecchiaia.
Biografia BETA
Recenti ricerche condotte dagli storici Biocca e Canali indurrebbero a credere che la precedente biografia sia, se non del tutto errata, almeno notevolmente incompleta: sembra che Silone, con lo pseudonimo “Silvestri”, sia stato informatore della polizia fascista negli anni in cui era militante nel partito comunista. Si congedò (parrebbe) dall’attività di spionaggio con questa lettera, nel 1930. Tuttavia, un libro bianco della Fondazione Nenni s’oppone a questa interpretazione. Negli anni a venire, ne sapremo di più.
Ignazio Silone, “Il segreto di Luca”, Mondadori, Milano 1993.
Prima edizione: 1956.
Gianfranco Franchi, ottobre del 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.
A Spleen.