Zandonai
2007
9788895538044
“Sai” le disse, senza togliere la mano dalla guancia, “tempo fa mi sono messo a riflettere su tutto quello che è avvenuto in questo secolo e che impregna l'aria che respiriamo. È talmente infetta da avvelenare le nostre coscienze, sconvolgere il nostro pensiero e rendere apatici i nostri cuori. Ma siamo costretti a respirarla, senza potercene difendere” (p. 47).
“Il petalo giallo” è un romanzo eccezionalmente dialogico, quasi un canovaccio evoluto per una sceneggiatura cinematografica. È fondato su un drammatico incontro di memorie di atrocità subite nel passato: un uomo e una donna, Igor e Lucie, vittime del male che si respirava nel Novecento in tempi e modi differenti, sono consapevoli che solo l'amore può salvare dalla rovina interiore. Uno ha alle spalle tragiche memorie di lager, l'altra violenze sessuali in casa: come esseri umani hanno conosciuto l'abisso più cupo e disperato, e stentano quasi a credere alla gioia, quando s'incarna. Non è difficile da capire. È difficile da accettare. Che triste cosa che è essere umani, dio santo. Al fondo non c'è mai fine.
Al principio della storia, la donna scrive al narratore: crede che le sorti di certe persone siano così drammatiche da potere essere assimilate a quelle dei prigionieri dei campi di sterminio. E si domanda se i due si sono già incontrati, tempo prima. Va a cercarla. Entrambi si trovano a Parigi. Lui sente che tra loro esiste un misterioso legame. Parlano di Celan; non passa molto ed ecco che si riconoscono nei versi di Baudelaire. Ah Letteratura, malattia. E lui torna sempre a pensare alla sorte terribile e ingiusta sua, e dei deportati sloveni, nei lager nazisti: e meditano assieme sull'orrore delle violenze, della morte, del dolore. Omnia vincit amor, ma non la memoria, a quanto pare. Qui si perdona, ma non si dimentica niente. Proprio niente.
Qual è il difetto di certa Letteratura Slovena? Semplice. Nel caso di Pahor, e “Il petalo giallo” ne è una conferma, la tendenza a rimuovere le conseguenze delle disgrazie denunciate: ossia, il furto – l'esproprio – di terre se non italiane almeno storicamente venete, come l'Istria costiera tutta, Fiume e diverse città dalmate, come Zara, per mano croata. Cittadini italiani stupidi e ignoranti cascano, post editoriale gloria di “Necropoli”, nella trappola del pianto dell'ingiustizia patita dagli sloveni, dimenticando che l'ingiustizia patita dal nostro popolo è molto più atroce: la damnatiomemoriae, l'abbandono di case, a volte cittadine intere (Pola), e la disgregazione di tessuti sociali. È più atroce perché è del tutto dimenticata. Chi la rivendica, spesso, distende il braccio nel saluto romano. È grottesco ma è così. Avete fatto tutti finta di niente. Come se fosse normale. No, non è stato normale.
In parte Pahor aiuta a farvi venire il dubbio, quando scrive, in questo libro, “ho scritto un saggio sulla dittatura fascista nella Venezia Giulia, di cui l'Europa non sa praticamente nulla, sebbene sia durata per ben un quarto di secolo e abbia cercato di annientare l'identità degli sloveni” (p. 19). E giù a sbrodolare sul “genocidio culturale”. Magari potrebbe aggiungere che da oltre cinquant'anni – mezzo secolo! – gli esuli istriani, gli istriani veri, e così i fiumani e i zaratini popolano il mondo: e che stranieri abitano nelle loro case, e siedono alle loro tavole. Chi li ha autorizzati? La mala condotta del fascismo? Comodo, eh? Per oltre mezzo secolo? E voi, jugoslavi, che servivate il comunismo, ossia l'ideologia più assassina della storia dell'uomo, cosa siete, allora, rispetto agli italiani? Cosa siete? Già. Voi eravate l'altra via, quella di Tito, rispetto all'Urss. Eppure non vi dispiaceva radunare in certe isole gli oppositori del regime. Quelli nessuno li piange. Ti credo: in parte erano italiani, operai di Monfalcone.
I ladri, caro Pahor, ormai siete voi. Certo, nessuno ne sa niente. Avete riscritto la storia, per falci e martello e copertura yankee. “Liberatori”, e quindi tutto era concesso. Figuriamoci rivendicare l'ingiustizia. Ma insistere senza ammettere l'altra parte della verità è abbastanza scorretto. Tengo a dirlo perché di pianti sloveni comincio a essere abbastanza stufo. Dell'ingiustizia patita da noi discendenti di esuli non si parla mai. Sembra tutto legittimo: come se, di punto in bianco, la minoranza albanese potesse rivendicare, che so, la Puglia. La storia non è mai abbastanza creativa. Lasciamo stare. Così non saremo mai amici. E dico mai. Mai. Proprio impossibile. Il sangue brucia. Ora che i nonni sono morti, brucia e fa più male. Dobbiamo loro giustizia. Giustizia, e restituzione piena dell'onore. Il genocidio culturale e il furto – insisto – della terra, delle tradizioni e della storia è ormai pienamente vostro. Prendetene atto. È un atto vergognoso. E cancella quasi la bellezza e la carica di giustizia della vostra battaglia per la memoria delle violenze italiane anti-slovene. La cancella quasi, perché assieme non ammettete le vostre orrende e ancora presenti colpe.
Perché? Perché siete un popolo giovane. Siete incoscienti. Siete, forse, imprudenti. Ma ve ne accorgerete, un giorno, del peso sulla coscienza della storia scritta a tavolino, e della povera gente cacciata via per colpa di un regime. E comincerete, forse, con pietà, a piangere anche loro: e non solo voi stessi, o i vostri nonni. Piangerete questa gente che ha perso tutto, perché voi foste un popolo e poteste prendere quel che non vi apparteneva. Ricordatevelo. Ribattezzare le città con sigle da codice fiscale, una volta de-italianizzate, non è farle rinascere. È rinnegare la verità. Basta con i piagnistei, prendete atto delle vostre responsabilità. Guardate bene i letti dove dormite: per secoli ci dormiva gente che parlava ben altra lingua. Non la vostra. Noi assumiamo le nostre responsabilità. Le abbiamo già pagate. Voi, no. Personalmente, vi aspetto.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Boris Pahor (Triest, Österreich, 1913), letterato sloveno, triestino. Laureato in Lettere presso l’Università di Padova, insegnò nelle scuole medie superiori slovene di Trieste. Vice-presidente dell’Associazione Internazionale per la difesa delle lingue e delle culture minacciate. Autore di romanzi e novelle, saggista, è direttore di “Zaliv” (“Il golfo”, rivista che si è battuta per la democrazia in Slovenia e per l’affermazione dell’identità slovena.
Boris Pahor, “Il petalo giallo”, Zandonai, Rovereto, 2007. Traduzione di Diomira Fabjan Bajc. Copertina di Alessandra Spranzi.
Prima edizione: Nicolodi, Rovereto 2004.
Gianfranco Franchi, ottobre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.