Voland
1999
9788888700267
“Nessuno dovrebbe essere autorizzato a parlare della bellezza, solo i mostri. Sono l’essere umano più brutto che ho mai incontrato: ritengo dunque di avere questo diritto. È un tale privilegio che non rimpiango il mio destino. E poi c’è una voluttà a essere mostruosi. Per esempio nessuno prova più piacere di me a passeggiare per strada: scruto il volto dei passanti alla ricerca dell’istante magico in cui entrerò nel loro raggio visivo: adoro le loro reazioni, adoro il terrore dell’uno, il moto di disgusto dell’altro, adoro quello che distoglie lo sguardo per il fastidio, adoro la fascinazione infantile di chi non riesce a staccarmi gli occhi di dosso” (p. 5).
Epiphane Otos è cosciente d’essere straordinariamente brutto: ma non è privo d’una provvidenziale autoironia, e trova questa sua peculiarità estetica davvero buffa. Ha un viso – racconta – che somiglia a un orecchio; è concavo, e intervallato da una serie di rigonfiamenti assurdi delle cartilagini. Ha “occhietti flosci” e iniettati di sangue, pupille grigiastre, come “pesci morti”. La Nothomb si richiama ad Hugo: “La smorfia era il suo volto”. È magrissimo, appare come un “copertone bucato”; si veste con abiti larghi, dopo aver sperimentato il fallimento d’indossare qualcosa d’aderente. Come se ciò non bastasse, sostiene d’ospitare “tutto l’orrore del mondo” sulle scapole: una costellazione d’acne si distende sulla sua schiena, colorata e implacabile, sin dall’adolescenza. Ha ventinove anni, ed è consapevole che questo suo segreto mantello non rinuncerà al suo dominio. Vive all’insegna di due vangeli: onanismo e spavento. Fin quando non incontra la creatura più bella dell’universo, Ethel, e si dedica con sincero entusiasmo ad adorarla, meravigliandosi d’ogni istante, e d’ogni atto, della sua esistenza. Epiphane – fedele allo spirito dei personaggi della Nothomb – non sa amare: conosce adorazione e idolatria: non affetto, né misura, né equilibrio. E non illudano le concessioni ad un dialogo che pare rivelare dolcezza, o una sobria distanza dalle cose terrene: sono parole dettate da una precisa strategia, non dall’istinto.
La strategia di Epiphane – fin quando Ethel non apparterrà ad un pittore, Xavier – è lineare: rimanere al suo fianco, per poterla adorare. Quando tuttavia s’accorge d’essere sul punto di smarrire la sua musa, il suo angelo e la sua madonna, rovescia la posizione originaria; complice una elefantiaca dose di caffeina, innesca un delirio. Può una bruttezza così immensa essere indice di grandezza, e può forse essere complementare ad una bellezza così indicibile? Epiphane è un esteta e un voyeur, che d’un tratto s’accorge di non resistere alla brama del possesso; e se avesse saputo accantonare la sua inumana e non corrisposta passione, non avrebbe forse potuto vivere a oltranza godendo dello splendore della (segretamente) amata? “Finché ho avuto l’intelligenza di tacere la mia follia, ho conosciuto le delizie di un amore ascetico: essere lo spettatore insospettabile della mia attrice che dava il meglio del suo talento solo con me. Io la vedevo recitare a sua insaputa la più grande delle parti: lei era quella che ispira l’amore di ogni eternità. Nulla appaga quanto l’ascesi. Se non avessi provato il bisogno più primario, quello di parlare, non ci sarebbero stati problemi” (p. 15)
È un romanzo che si tinge dapprima di grottesco e di paradossale, giocando con sontuoso stile a rivelare, dietro ai dialoghi dei due protagonisti e alle riflessioni di Epiphane, una visione dell’estetica e del mondo puramente autoriale; così, “Attentato” può andare a costituire, per un lettore appassionato, una elettiva porta d’accesso all’idea di bellezza e di amore “totale” che fonda l’opera della talentuosa Amélie Nothomb. In seconda e ultima istanza, il testo va precipitando nel gotico – quel che poteva apparire un sentimento esasperato si rivela morbo e ossessione, impedendo di simpatizzare con un personaggio che – paradossalmente – a dispetto del suo terribile aspetto, del suo cinismo e del suo egoismo non era mai risultato sgradevole.
Nel cuore del romanzo, l’autrice si diletta a provocare, criticare, umiliare e tramortire, con l’irriverenza e la grazia che abbiamo imparato a conoscerle, il mondo della moda: graffia e incrina gli specchi di plastica e le cornici di carta d’un sistema che difficilmente conquista l’apprezzamento delle persone sensibili, artefatto, volgare e mercificato come appare. Si può congetturare che se la bellezza non fosse stata alterata e mercificata, ma onestamente adorata e ammirata, la Nothomb avrebbe espresso altro e sincero amore nei confronti di quel mondo; ma evidentemente l’ammirazione e l’adorazione del bello appartengono esclusivamente alle arti, e agli innamorati dell’arte, non a qualche sarto o a qualche appariscente manichino.
“Attentato” non è un elogio o un apologo della bruttezza, né tanto meno una reincarnazione postmoderna d’un infame Tersite. È una favola d’amore, morte e passione, dedicata a riflettere – stavolta con un’amarezza che è difficile non percepire – sull’abisso che separa chi ha il dono della bellezza, e chi la maledizione della bruttezza. È un libro della dannazione, mascherato da romanzo satirico. Come sempre, quando si tratta d’un romanzo della scrittrice belga, non posso che concludere caldeggiando la lettura del libro – auspicando, con tutta l’anima, che i lettori possano interiorizzare l’amore per l’arte e il culto per la bellezza che ogni romanzo dell’autrice manifesta e sprigiona.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Ha esordito nel 1992 pubblicando il romanzo “Igiene dell’assassino”.
Amélie Nothomb, “Attentato”, Voland, Roma 1999. Traduzione di Biancamaria Bruno.
Prima edizione: “Attentat”, 1997.
Gianfranco Franchi, 3 Ottobre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.