Storie di pugni

Storie di pugni Book Cover Storie di pugni
Jack London
Piano B Edizioni
2010
9788896665138

Le storie di pugni, in narrativa americana e canadese, hanno una grande tradizione: facile spendere i nomi di Ernst Hemingway, Thom Jones, Chuck Palahniuk, Craig Davidson. Il risultato più spettacolare è stato “L'anno dell'uragano” di Joe R. Lansdale, allegorico, politico e paradigmatico. Stavolta andiamo a (ri)scoprire le pagine dedicate al pugilato da uno dei più importanti scrittori americani del Novecento, Jack London: merito della PianoB di Prato che ha appena dato alle stampe “Storie di pugni”, raccolta di quattro pezzi del papà di “Martin Eden”: si tratta dei racconti socialisti “Il messicano” (“The Mexican”, originariamente apparso sul “Saturday Evening Post” nel 1911) e “Una bistecca” (“A Piece of Steak”, pubblicato sul “Saturday Evening Post” nel 1909), del dramma sentimentale “Il gioco” (“The Game”, 1905), del reportage, sin qui inedito in Italia, “Il match del secolo” (“Jeffries vs Johnson”, apparso sul “New York Herald” nel 1910).

Quando Jack scrive di boxe tendenzialmente sta parlando di qualcosa di ben più alto: sta parlando di rivoluzione delle classi sociali più deboli e oppresse (“The Mexican”), sta parlando dell'infelice condizione di quei figli del popolo che, finita la carriera, si ritrovano a campare di stenti (“A Piece of Steak”), sta parlando della triste fine dei sogni d'amore (“The Game”). I risultati migliori di questa antologia, a mio avviso, stanno proprio nelle prime due prove. E questo al di là della loro natura scopertamente politica. Nel “Messicano”, incontriamo un diciottenne, Felipe Rivera, sguardo che brucia di “fuoco gelido”, che un giorno prende e si presenta ai suoi compatrioti rivoluzionari, perché vuole lavorare per la rivoluzione. Sono i giorni drammatici della tirannide di Diaz, e serve saper scegliere da che parte stare. Felipe è uno che non ha dubbi: sono i rivoluzionari a pensare che sia una spia, invece. Perché è capace di portare in casa parecchi soldini, quand'è il momento. La ragione è semplice: li guadagna sul ring, prende, sale, fa a cazzotti, vince. Formidabile incassatore, è talentuoso ma odia la boxe: “Aveva cominciato a combattere solamente perché moriva di fame. Il fatto che fosse meravigliosamente tagliato per la boxe non significava nulla. Odiava farlo. Aveva iniziato solo una volta entrato a far parte della Giunta, perché era un modo facile di riempirsi le tasche. Non certo il primo fra gli uomini, né l'ultimo, a scoprirsi abile in un mestiere che disprezzava” (p. 18).

Di fronte a sé Rivera ha un grande combattimento contro un atleta di talento, a un passo da una grande sfida. Chi vincerà l'incontro prenderà tutta la borsa, the winner takes it all. Rivera combatte perché ha la motivazione immensa di portare ai suoi compagni denaro utile per sostenere il popolo. Sportivamente, non ci piove, la sua scelta è suicida. Un pugile clandestino contro un pugile vero, oltretutto gringo. Potrebbe finire male. Ma Rivera ha le idee chiare. E la memoria molto lucida:

“Intanto, altre visioni infiammavano la memoria di Rivera. Lo sciopero, o piuttosto il licenziamento in massa dei lavoratori di Rio Bianco che erano scesi in lotta per solidarietà con gli scioperanti di Puebla; la fame, le spedizioni in collina alla ricerca di more, radici ed erbe che tutti mangiavano, per poi contorcersi con crampi e spasmi allo stomaco. E poi l'incubo; la terra nuda davanti al deposito della fabbrica; i migliaia di lavoratori affamati; il generale Martinez e i soldati di Porfirio Diaz; i fucili che vomitavano morte, e che sembravano non smettere mai mentre le rivendicazioni degli operai venivano lavate ancora e ancora nel loro stesso sangue. […]. Si rivide intento a scavare in quel mucchio abominevole di corpi per cercare suo padre e sua madre, per poi trovarli, nudi e dilaniati. Ricordò soprattutto sua madre, con la faccia che spuntava tra decine di cadaveri. Poi i fucili agli ordini di Diaz ripresero a sparare” (p. 20).

E con queste memorie le motivazioni si fanno straordinarie. Sul ring sale una bestia feroce che non andrà al tappeto se non crepando. Sul ring sale un campione di giustizia e rabbia sociale che non può e non deve conoscere sconfitta. Vincerà.

**

“Una bistecca” è invece la storia del vecchio pugile Tom King, un campione decisamente sul viale del tramonto. Nella vita borghese non riesce a trovare pace, né lavori diversi da quelli al porto. I soldi finiscono in fretta e gli amici facili conquistati combattendo e trionfando a ripetizione non ci stanno più. Troppo vecchio per il pugilato, e troppo inadatto al mondo, King si concede un altro combattimento per avere qualche soldo. È talmente al verde che non può neanche comprarsi una bistecca il giorno del match: nessuno intende più fargli credito. Combatte contro un giovane – London spiega che quel ragazzo è la Gioventù – e viene sconfitto. La sconfitta brucia perché King sa che la sua vita non potrà che peggiorare, da quel punto in avanti.

In questo racconto London sembra concentrarsi su quella che appare la predestinazione all'ingiusta sconfitta dei cittadini figli del popolo: semplici, umili, dignitosi e combattivi, sono vittime di una società che sa emarginarli a dovere prima di mandarli al tappeto. Non è questione di giovinezza o meno: è questione di ingiustizia sociale. La prova è che nel “Gioco” è un giovanotto a perdere tutto, vita inclusa, nel giorno del suo ultimo match. Un match giocato soltanto per soldi, perché Joe vuole farsi casa con la sua fidanzata, che sta per sposare. Il ragazzo, d'onestà cristallina e grande lealtà, precipita nella polvere. Lei rimane a guardare – e il tragicomico finale, intriso di uno spirito profondamente grottesco, è una beffa che non sembra tuttavia affatto irrazionale.

**

Insomma, qual era il rischio scrivendo storie come queste? Presto detto: quello di sprofondare nella retorica. Ma Jack London aveva questa suprema innocenza (ingenuità?) di fondo che impediva un risultato del genere. Il punto è che London sembra davvero persuaso della bontà e della santità delle sue battaglie politiche e sociali, e quindi le sue storie vanno dritte al cuore senza mai suonare artificiose, o capziose, o – appunto – retoriche.

La retorica, guarda un po', spunta fuori quando scrive un reportage per un giornale, forzando e spettacolarizzando a oltranza un evento molto atteso. È appassionato, ha la solita incredibile capacità di scrittura e sa trasmettere il consueto pathos. Ma la narrativa è un'altra cosa, la narrativa vince sempre.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Jack London (San Francisco, 1876 – Glen Ellen, California, 1916) scrittore americano.

Jack London, “Storie di pugni”, PianoB, Prato 2010. Traduzione di Antonio Tozzi e Silvia Franceschetti.

Prima edizione: “The Mexican”, 1911; “A Piece of Steak”, 1909; “The Game”, 1905; “Jeffries vs. Johnson”, 1910.

Gianfranco Franchi, luglio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.