Maya

Maya Book Cover Maya
Jostein Gaarder
Longanesi
2000
9788830418479

Creare un intero universo è ovviamente un’impresa ammirevole. Ma bisogna dimostrare un rispetto ancora maggiore per un intero universo capace di creare se stesso. E viceversa: la semplice esperienza di essere creato non è nulla in confronto alla soverchiante sensazione di essersi generati dal nulla più totale e di potersi reggere sulle proprie gambe” (dal cap. “Adamo non si stupì”, p. 49).

È il libro dedicato alla storia delle storie: a quell’applauso per il Big Bang che s’è potuto sentire soltanto miliardi di anni dopo, all’analisi e alla riflessione sul senso dell’esistenza, della natura e dell’essenza dell’essere umano, alla “coscienza della coscienza”, alla ricerca d’una realtà che non abbia più nulla d’illusorio, d’artefatto, d’irreale. “Maya” è il contributo dello scrittore norvegese alla ricerca della verità: è narrato da un narratore onnisciente che rivelerà quali siano state le sue menzogne, quali le contraffazioni e quali le alterazioni dell’accaduto; un narratore disperato e solo come Dio, e come Dio destinato a vivere guardando le sue creature, senza apparentemente incidere.

Si svolge tra Taveuni, garden island delle Figi, Salamanca, il museo del Prado di Madrid e il quartiere gitano di Triana, a Siviglia, a qualche anno di distanza dal 2000 – l’eco delle antiche congetture sul senso del “mille e non più mille” sembra aver ispirato questa tensione alla Verità, e non alle verità, che dilata lo spazio dedicato alle riflessioni del “secondo narratore” (eccezionalmente spurio, come i lettori scopriranno), biologo evoluzionista, a proposito della vita sul nostro Pianeta e della sua presunta e non più presumibile unicità, nell’Universo.

Il romanzo è strutturato in un “Prologo di John Spooke” (primo narratore), una parte intitolata “La Lettera a Vera”, suddivisa in undici capitoli (scritta dal “secondo narratore”, Frank), una Postfazione di John Spooke e un “Manifesto”.

Frank è uno scienziato che non ha mai nascosto d’avere “nostalgia dell’eternità”: era sposato con Vera, paleontologa, e aveva una bambina, Sonja. La morte di Sonja, per via d’una tragica disattenzione della madre, aveva determinato la fine del matrimonio e il principio d’un irrimediabile malessere del biologo; sublimato, senza fortuna, da qualche alcolico. E dire che, soltanto qualche anno prima, era una “pozione magica” quel che sua moglie sognava per poter vivere in eterno: Frank precipita nel gin, e l’unica magia è qualche allucinazione – alle Figi, un geco assai dialettico (che ribattezzerà Gordon) diverrà sua sponda per nuove riflessioni a proposito della verità e della vita. Alle Figi Frank si trovava per studiare l’ecologia delle piante e degli animali introdotti non molto tempo prima – in queste isole note nel passato per la sincera dedizione al cannibalismo degli aborigeni, a lungo incontaminate dalla civiltà occidentale e dunque felici rappresentazioni dello sviluppo dei vertebrati; al 180° meridiano rispetto a Greenwich, là dove primo comincia il giorno nuovo dell’umanità, Frank s’avvicinava alla conclusione della sua ricerca: l’ammissione dell’epilogo e della sconfitta della scienza, nel momento in cui s’è assunta consapevolezza che la Via Lattea non fosse altro che una delle infinite galassie dell’Universo: l’intuizione che lo sviluppo della coscienza nell’essere umano non possa essere conquista casuale, e che la sua evoluzione sia destinata a restituirlo al Padre.

Le Figi erano le selvatiche e “pure” isole degli antropofagi: sono diventate le isole dei gechi domestici, rettili diffusi soltanto dagli anni Settanta. Al principio – chissà – d’una fortunata evoluzione che, nell’arco di qualche milione di anni, potrà assicurare alla loro specie quel che la nostra ha già vissuto e va dissipando, sembra ipotizzare l’artista. Frank incontra una donna splendida, vestita di rosso; è mora, ha i capelli ricci, è alta, elegante e fiera; e sembra ricordare qualcuno che ha già conosciuto e s’è nascosto nel suo inconscio. È Ana, una ballerina di flamenco che si presenterà come inviata d’una televisione spagnola, assieme al suo compagno Josè, giornalista; la coppia sembra inseparabile. I due sembrano dapprima Adamo ed Eva, e quindi Eros e Psiche agli occhi del tormentato biologo; che accetta d’essere intervistato più per poter ascoltare le loro misteriose confidenze in spagnolo, che per amore di divulgazione della sua ricerca. Josè e Ana parlano per enigmi; parlano di un Jolly, di Folletti e di verità e menzogna; parlano dell’Universo e dell’esistenza, nominando e demistificando tutto quel che percepiscono e intuiscono.

È soltanto il principio d’una vicenda che, in un certo senso, ha principio dal Devoniano e ha termine – per così dire – nei giorni nostri; e da romanzo d’argomento scientifico, d’un tratto, sembra trasformarsi in trattazione filosofica o esistenzialista; consapevole che il sistema solare sia solo una frazione microscopica della realtà (il geco, Gordon, appollaiato su una bottiglia, sarà decisamente maieutico), Frank capisce che non possiamo vedere altro che noi stessi, e che una sola verità ormai esiste: che Io esiste, ed è l’unico mondo. Sbarazzarsi delle menzogne delle altre realtà è come cercare la verità sulla Maya di Goya: due tele per spiegare, forse, che “Maya è l’illusione del mondo. È lei che genera in te il doloroso inganno di essere soltanto un povero individuo, separato dal Grande Sé e con la prospettiva di avere ancora pochi mesi di vita (…) Su alcuni, la presa di maya è così salda che il risveglio suscita dolore. È più o meno come svegliarsi da un incubo” (p. 156). Ma questo romanzo di Gaarder è molto altro ancora: è la storia di tre grandi storie d’amore (perché la più triste, quella di John, viene soltanto evocata, eppure solca la narrazione e ne segna direzione e senso), una carta geografica della poetica dello scrittore scandinavo (ancora una volta, come ne “L’enigma del solitario” o ne “Il venditore di storie”, appare un homunculus; e – ma questo non più stupirà chi ama le opere dell’artista di Oslo – incontriamo un jolly, fuggito da un’isola sprofondata nel mare, dove 52 elfi sono venuti alla luce; e stavolta sono trasparenti gli omaggi a Carroll e a Saint-Exupery – e, sorpresa, a Knut Hamsun); torna il tormento per la caducità dell’esistenza (pensiamo a “Vita Brevis”) e la volontà di capire che lo sviluppo della vita e dell’intelligenza non può che avere avuto significato e direzione precisa. Jostein Joker, io sono convinto che le tue ragioni e la tua immaginazione possano restituire tanta speranza all’umanità.

Noi portiamo un’anima e siamo portati da un’anima che non conosciamo. Quando l’enigma sta su due gambe senza risolversi, è il nostro turno. Quando immagini di sogno si pizzicano sul braccio senza svegliarsi, tocca a noi. Perché noi siamo l’enigma che nessuno decifra. Siamo la favola racchiusa nella propria immagine. Siamo ciò che continua ad andare avanti senza arrivare mai a capire” (dal cap. “Adamo non si stupì”, p. 59). Da leggere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Jostein Gaarder (Oslo, 1952), ex insegnante di filosofia, romanziere e favolista norvegese.

Jostein Gaarder, “Maya”, Longanesi, Milano, 2000. Traduzione di Cristina Falcinella. Revisione di Nada Vàstina.

Prima edizione: “Maya”, Oslo, 1999.

Gianfranco Franchi, novembre del 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.