L’allievo di Joyce

L'allievo di Joyce Book Cover L'allievo di Joyce
Drago Jančar
Ibiskos
2009
9788854601192

Conosciamo la narrativa dell'elegante e coraggioso scrittore sloveno e mitteleuropeo Drago Janĉar per via del notevole romanzo “Aurora boreale” [“Severni sij”, 1984], pubblicato da Bompiani nel 2008. Quel libro ha saputo dialogare con la coscienza e con l'intelligenza di tanti lettori italiani, e ha raccontato il rimosso segreto della città di Maribor, e dei suoi abitanti. E ha saputo farlo con grande poesia. Ma se fossimo stati più attenti ai cataloghi della piccola editoria, avremmo potuto apprezzare, con due anni di anticipo rispetto al resto dei nostri connazionali, la narrativa di Janĉar. Già: nel 2006, in una misconosciuta collana diretta dal bravo Miran Košuta, “Estlibris” della Ibiskos, è stata pubblicata una miscellanea di racconti dell'artista di Maribor, “L'allievo di Joyce” [112 pp.; 9 pezzi]. Si tratta, a quanto pare, di una raccolta nata per il pubblico nostrano; inedita in patria e in Europa. È una raccolta completa di pagine disorientanti e seducenti, e di momenti più opachi, complice qualche insistenza eccessiva sino al parossismo su dettagli perturbanti.

Qualche notizia sui racconti che considero più rappresentativi. “L'allievo di Joyce”, il quinto racconto, eponimo, non è la storia di Italo Svevo e del grande narratore irlandese, come qualunque lettore al mondo potrebbe pensare. È, piuttosto, una storia politica e romantica, di un ragazzo che sognava che Trieste diventasse slovena, e non sopportava l'idea fosse destinata a essere italiana. Tutto ha inizio negli ultimi anni di Trieste austriaca. Incontriamo il professor Zois e il suo sconosciuto giovane allievo, figlio della minoranza slovena di Trieste, uno studente di Diritto; uno che ascoltando il maestro ha imparato ad alienarsi dalla realtà e ad ascoltare il vuoto: “Un vuoto nel quale si può percepire soltanto l'ululare della bora del Carso, attraverso le vie di Trieste, giù fino al mare. Della bora che si gonfia, che via via cresce e muggisce, della bora che si trasforma in fragore e frastuono di una folla” [p. 51]. La folla è quella composta dagli austriaci, dagli austriacanti e da diversi slavi che vanno a manifestare sotto il consolato italiano, contro la prossima Italia.

Il giovane allievo sta imparando l'inglese, ma il sogno si spezza; Joyce non rimarrà in città, e dopo la guerra faticherà a riconoscere Trieste. Il giovane allievo finirà a vivere a Lubiana, ma quando verranno i giorni dolorosi e tristi della seconda guerra mondiale dovrà fuggire dalla futura capitale slovena, occupata dai soldati italiani. E da Lubiana si ritroverà a Londra. E come voce di Radio Londra parlerà ai suoi compatrioti, sognando l'unione dei nazionalisti sloveni, i domobranci, con i partigiani: un sogno folle, perché i partigiani comunisti jugoslavi non sono ciò che dicono di essere. Non sono libertari e non sono compiutamente democratici. E così, a guerra finita, l'allievo di Zois diventa prigioniero in patria: spia inglese, dicono i rossi, nemico del popolo: è uno che ha letto “La fattoria degli animali”. Ha la colpa di aver capito. Due anni di galera perché è democratico: perché non è comunista. Poi la libertà. Ma nel 1953, quando Trieste viene saggiamente restituita all'Italia, per lui è un disastro; gli inglesi non sono più alleati del regime titino, e lui è percepito come un nemico, di nuovo. Quel frastuono della folla lontana ricorda quello della folla triestina, poco prima della Grande Guerra. Stream of consciousness inevitabile, è nelle cose. E molto lirica.

“Una storia di occhi”, il sesto pezzo, è, in buona parte, un cupo e allucinato ritorno sulla poco limpida questione dei rapporti di amicizia, poi abiurati, tra Curzio Malaparte e Ante Pavelić, capo degli Ustascia croati, e sul grottesco e atroce episodio degli occhi raccontato in “Kaputt”. Per la mia sensibilità è un racconto davvero troppo morboso, e finisce per essere respingente.

“Morte a Santa Maria delle Nevi” è un omaggio alla “Guardia bianca” di Bulgakov e una storia intrisa di profonda spiritualità e di greca predestinazione. Il protagonista è il dottor Vladimir Smjonov, buon russo, medico di campagna per scelta e per volontà, finito a lavorare nei dintorni della chiesa di Santa Maria della Neve, a Maribor-Marburg. È una figura misteriosa e amatissima dai compaesani, solitaria e religiosa. È un russo che non ha potuto accettare le violenze e la cattiveria della rivoluzione socialista; ha combattuto contro quel male assurdo; ha perduto, e forse è stato miracolosamente guarito da una ferita mortale. E poi s'è fatto esule, e ha abbandonato la patria, col cuore a pezzi. “Dietro di lui c'è la salvezza dalla morte”, scrive l'ottimo Drago Janĉar, “davanti a lui ci sono le città della Bulgaria e della Grecia, l'incenso delle chiese serbe, il freddo e l'indifferenza delle capitali europee. […]. Un vortice disperde per lunghi anni moltitudini di russi bianchi in tutta l'Europa e una delle sue onde lo getta nelle contrade slovene” [p. 14]. Il dottor Vladimir s'è fatto esule e ha trovato la pace in un luogo semplice e povero e dimenticato. Ma non è bastato. L'armata rossa sta avanzando, sta per guadare il fiume, s'è avvicinata alla piccola e spoglia chiesa di campagna di Maria della Neve. Angoscia furibonda. Vladimir dovrebbe fuggire ancora: guadagnare tempo, trovare un altro luogo dimenticato dove vivere in pace. Ma “la sorte vede là dove il nostro sguardo non arriva”, e il dottore, disperato, rifiuta il tempo; rifiuta forse la possibilità d'un nuovo miracolo; s'ammazza.

“Incidente sul prato”, il quarto racconto, è un divertimento allegorico e grottesco – è la storia di un nemico ossessivo come il mal di denti ma propagandato con maggiore intensità dai suoi fedeli, e di come un bravo accademico che aveva saputo ribellarsi a quel nemico ossessivo, ai suoi eserciti e alla sua polizia segreta non sia mai riuscito a resistere alla strizza per il trapano del dentista: complice, forse, un intervento del dentista nelle galere del regime. Un bel giorno, su un prato, un apostolo marxista insiste tanto, modello testimone di geova, per consegnargli un volantino rosso; ma il povero Ševčenko perde la pazienza: sta crepando di mal di denti, e finisce per ribellarsi e rovinarsi la carriera, con una zuffa da film muto.

Il secondo pezzo della raccolta, “Le Etiopiche, ripetizione” è un omaggio alle “Etiopiche” di Eliodoro e una storia di guerra, di cattiveria e di tristezza. Siamo sulle montagne slovene, nel 1945. In un piccolo borgo, un'unità dell'esercito incontra una carneficina – e non riusciamo a decifrarla, sulle prime. Uomini e cavalli massacrati come maiali. “Nell'aria ristagnava l'odore di una esaltazione ebbra e sanguinaria, di una libidine folle, forse ubriaca”. L'esercito, nel dubbio, saccheggia, sciacallo, le case e i corpi dei caduti. Sin quando non trova un'anima viva. È una giovane bellissima e ammutolita dalla pazzia figlia del dolore, e sta al capezzale del suo amato, che sanguina, e sta per andarsene. L'epilogo sarà allegorico ma niente affatto Eliodoro. Janĉaro.

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E allora non rimane che aspettare la traduzione di un altro suo romanzo, dopo “Aurora boreale”. Leggo, nella bandella, indicizzati romanzi come “Petitntrideset stopinj” [“Trentacinque gradi”, 1974], “Galjot” [“Il galeotto”, 1978] o “Zvenenje v glavi” [“Rintronature”, 1998], o saggi dai titoli suggestivi come “Brioni” [2002]. Spero di poterli leggere nella nostra lingua e in un'edizione degna – sarebbe il caso. Altro che Pahor. È Janĉar lo scrittore sloveno che sfiderà il tempo. Ci metto le mani sul fuoco.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Drago Janĉar (Maribor–Marburg, Jugoslavia, oggi Slovenia, 1948), narratore, saggista, giornalista e drammaturgo sloveno, fiero oppositore del regime jugoslavo. Vive a Lubiana.

Drago Janĉar, “L'allievo di Joyce”, Ibiskos Editrice, Firenze, 2006. Traduzione di Veronika Brecelj. Collana “EstLibris”, diretta da Miran Košuta. 9788854601192.

Prima edizione: mancano indicazioni nel colophon. Si direbbe una raccolta di racconti assemblata per la prima volta per il pubblico IT.

Gianfranco Franchi, gennaio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.