Ondata di freddo

Ondata di freddo Book Cover Ondata di freddo
Thom Jones
Minimum Fax
2002
9788887765731

Thom Jones non ha il passo del romanziere: è uno scrittore che fonda la sua produzione narrativa sull’impatto – grezzo e brutale – della sua scrittura, popolana e ruvida, sulle brevi distanze; è penna intinta nel testosterone, e mente estranea alla ricercatezza e a una sensibilità che non sia larvale ed estremamente compiaciuta. Qualche cartella per parlare di sesso, farmaci, malattie o per sintetizzare, per aneddoti e dialoghi di fulminante immediatezza, qualche arguta riflessione o qualche tumultuosa e liminare esperienza esistenziale; Jones è un ex pugile che ha mantenuto, della sua passata attività, la scansione del tempo nella durata di un round.

Il round è il racconto: l’avversario il lettore. Il lettore dovrebbe resistere di fronte all’aggressività d’uno stile che gioca sulla rabbia, sulla desolazione, su una desertica preparazione culturale e sull’esibizione della trasandatezza e della sciatteria per connotarsi: spontaneamente, parrebbe, considerando che la percezione primitiva è quella d’aver a che fare con un autodidatta di quelli presuntuosi e miracolosamente naif, persuasi d’esser quel che non sono soltanto perché il clima culturale del loro tempo è contraddistinto da un imbarazzante livellamento verso il basso, e quindi consente d’assurgere a opportunità di pubblicazione e di fortuna artistica che società meno involute e decadenti reputerebbero impensabili e inaccettabili.

E quindi, in America un coatto del genere può diventare un caso letterario; qui in Italia, logicamente, non mancheremo di strabiliarci delle avventure di questi personaggi, tra patate infilate nel culo, scopate acrobatiche, odorini da sublimare con qualche doccia, amputazioni del pene schivate per un pelo, marce in costume adamitico per il giardino del presidente a Nairobi, babbuini ubriachi che rischiano d’uccidersi masturbandosi sugli alberi e via dicendo.

Divertente? Non sempre, e non eccessivamente. Coinvolgente? Niente affatto: è uno stile che pretende d’anestetizzare la sensibilità estetica del lettore, assassinando la bellezza e massacrando il senso: non c’è altra capacità di procedere che non sia quella di osservare la vita, le persone e le cose strisciando per terra, intrisi di fango e di polvere, lappando stagni d’acqua piovana e concimando – qua e là – qualche zolla.

Poca tecnica, e nessun argomento, nessun impegno, nessuna variazione nel registro. Il Boston Globe – si legge nella seconda di copertina – ha scritto che la “scrittura” di Thom Jones è “così implacabile e crudele che bisognerebbe avere il porto d’armi per essere autorizzati a usarla”. “Usare” una “scrittura”? God Bless America. Porto d’armi. Porto d’armi?

Leggere “Ondata di freddo” è come ascoltare le confidenze d’un portuale che recentemente ha sfogliato tre o quattro libri gialli o s’è innamorato di un noir, sente d’avere talenti comunicativi e ha una strana tendenza a non variare tono, registro, impostazione della sua narrazione, sia che stia rappresentando un pugile, sia che stia parlando d’un medico in Africa, sia che stia rappresentando una figura femminile. Da un momento all’altro, il lettore si attende d’ascoltare un barrito o un muggito, come intermezzo nella narrazione; e s’immagina d’aver di fronte un signore che, tra una meravigliosa avventura e l’altra, si gratta sotto le ascelle e s’aggiusta il cavallo con un gesto di generosa durata.

Questa è la scrittura in canottiera, ultimo stadio dell’involuzione figlia dell’abominio pulp. Qualche esempio: “Lou Ann prende e muore. Nella bara, la faccia sembrava una prugna fritta. Aveva una faccia che pareva merda di capra secca. Un’accusa finale, del tipo: «Ecco, guarda come mi hai ridotta»” (“Voglio un uomo che mi ami, p. 187).

Non manca la psichedelia – forse involontaria. “Aveva un mal di testa che gli faceva storcere gli occhi e che al culmine della febbre portava la sua sofferenza a un punto tale da sembrare quasi oltre i vertici del dolore, da sembrare insopportabile, ma che alla fine gli spingeva il cervello in un iperspazio etereo che non era del tutto sgradevole”. (“Sabbie mobili”, p. 93). Qui, per via dell’apparizione del termine “iperspazio”, possiamo congetturare che al portuale di cui sopra potrebbe non essere sfuggito, magari qualche tempo prima, un b-movie di fantascienza.

La visceralità – sinceramente cara a certi narratori italiani contemporanei, incapaci d’originalità anche in questo frangente, scintillava solo qualche pagina prima: “Era una stanzetta nauseante e umida, delle dimensioni d’un piccolo ascensore di inizio secolo. Puzzava di liquami di fogna stantii e vomito fresco, anche con la porta aperta e l’aria che si mescolava a quella chiusa e pesante della suite. Aveva un attacco di diarrea del Congo che sembrava non dover finire mai”( “Sabbie mobili”, p. 92). Qui possiamo rallegrarci per la presenza d’un aggettivo – quel “fresco” – che riesce nella complessa impresa di suggerire che il vomito possa avere un suo, pur morboso, fascino. Che del resto preferiremmo non scoprire.

Lo scrittore mondadoriano Giuseppe Genna così giudica Sir Thom Jones: “Strepitoso, coinvolgente, euforizzante e deprimente (…) le sue storie sono un autentico miracolo della narrativa contemporanea” (tratto dalla seconda di copertina).

Jones è uno scrittore che sa menare le mani, e sa farle menare ai suoi personaggi. Spero che qualche critico statunitense abbia un passato da peso massimo – forse è la stazza del signore in questione a creare tanta suggestione e tanta, meravigliata euforia in certi lettori.

Piano a gridare al miracolo. Il miracolo è che un uomo appena alfabetizzato pubblichi. Senza saper scrivere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Thom Jones (Aurora, Illinois, 1945), scrittore americano. Ex marine, ex pugile, ex bidello, ex copywriter.

Thom Jones, “Ondata di freddo”, Minimum Fax, Roma 2003. Traduzione di Martina Testa.

Prima edizione: “Cold Snap”, 1996.

Gianfranco Franchi, luglio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.