Le stanze di Mogador

Le stanze di Mogador Book Cover Le stanze di Mogador
Gianluca Favetto
Edizioni Ambiente
2009
9788896238011

Sgombriamo il campo da un primo equivoco: il nuovo romanzo di Gian Luca Favetto, letterato torinese classe 1957, non è un noir e non ha niente o quasi a che fare con l'ecomafia, a dispetto della (nobile) collana di progetto in cui è inserito, quella di VerdeNero. Sgombriamo il campo con gioia – personalmente non ho nessuna simpatia per la letteratura di genere, e non l'ho mai nascosto; ma ne ho molta, senza dubbio, quando il genere si rivela “impegnato” e di denuncia, come in questa collana – e ci ritroviamo di fronte a un grande romanzo dedicato e concentrato a un tema fondamentale: l'arte della fotografia. Damir (il nome significa: “sì alla pace”) è un fotografo di sangue bosniaco, nato a Sarajevo, testimone degli anni tristi della guerra, e dei bombardamenti, scampato alle disgrazie ricostruendosi una vita a Milano (p. 79), come fotoreporter. Gli è rimasto, del suo Paese, la lingua: la lingua è la patria (p. 153). Il suo è il mestiere di guardare – non solo di vivere. Sa d'essere pagato per il suo sguardo: ha raccontato “i caffè di Beirut, i raduni gitani in Francia, le palestre di boxe in disarmo in Italia, i musulmani di New York, la vita notturna di Gaza, che non immagini ma esiste, o come si possa sopravvivere a Grozny dopo l'attacco ceceno al teatro Dubrovka di Mosca, come ci si diverta nelle feste private di Teheran, come i funerali riassumano la storia dei popoli, le loro origini e non la fine (...)” (pp. 27-28).

E adesso si ritrova dalle parti di Portopalo, in Sicilia (memoria sinistra: cfr. “I fantasmi di Portopalo” di Bellu), nell'hotel Mogador, scelto per via delle suggestive assonanze del nome. È uno che ha già dormito in un'infinità di posti, considerando il lavoro che ha scelto, e che ovunque vada pensa sempre di andarsene (p. 65): “Pensa e se ne va. Ovunque sia, se ne va. Se ne andrà”. E in effetti l'esperienza isolana non durerà molto; il tempo di amare una donna e di ritrovarsi a osservare la storia nascosta di quei lavoratori clandestini che smantellano le navi per rivenderne le parti. Con un pizzico di lirismo, ecco – ad esempio – il cimitero di navi: “Vedi questo sforzo immenso dell'uomo che arriva al capolinea, queste mastodontiche navi costruite per attraversare i mari, per domarli, rendergli maneggevoli e banali come qualunque terra, eh, le vedi alla frutta. Le vedi alla ruggine, smontate, che crollano, ormai corrose, e passano. Non partono più, passano soltanto. Dovresti fotografarle” (p. 180).

Punto? Tutto qua? Fermi. Dicevamo che questo è il grande romanzo della fotografia. Entriamo nel dettaglio. “Damir Babic fotografa carne, per questo ha bisogno della vecchia pellicola. La pellicola è un impegno con la luce e contiene la carne; il digitale la sublima – teorizza. Non ha fretta, non gli piacciono le cose comode e troppo precise, neppure quelle che diventano immediatamente ciò che sono. Ci vuole fatica e imperfezione per diventare ciò che si è” (pp. 33-34).

Poesia. Ancora. Filosofia della fotografia, adesso. “Un osservatore non è un fotografo, un osservatore è uno che usa la macchina. Il fotografo, invece, è un pensiero che scatta, un'illuminazione che agisce e poi sparisce. Agisce e sparisce, agisce e sparisce, e si muove ancora in te dopo che hai scattato. Un po' come il mare, mi capisci?” (p. 172).

Etica, ora. “E' sempre un giudizio, la fotografia. Mai una morale, però. Non è un moralismo, è un'etica. E non è sempre quella di chi scatta, è un'etica della foto in sé, capisci?” (p. 184).

E cosa osserva, in Sicilia? Cosa impara? “Poi si vedrà non esiste da noi. In Sicilia non si coniugano i verbi al futuro, usiamo il presente, diciamo poi si viri. Abbiamo l'eterno presente non il tempo futuro, siamo così. Nessun dialetto siciliano ce l'ha, il futuro” - dirà Lena (p. 130).

E ancora poesia: “Se quei due sono capaci di fare queste cose, pensa smarrito, allora sono anche capaci di morire. L'amore è un'ischemia, pensa, porta la morte a piccole dosi, la celebra e la imita” (p. 84).

Ecco. Ci voleva un artista che ragiona in versi per raccontare un dramma con toni così elegiaci, e così onirici. In appendice, un apparato di notizie (“I fatti”) a firma Pergolizzi (Legambiente) per sensibilizzare cittadini e lettori sulla questione dello smantellamento e dello smontaggio (shipbreaking) delle navi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gian Luca Favetto (Torino, 1957), giornalista (Repubblica), critico cinematografico, poeta, drammaturgo e scrittore italiano.

Gian Luca Favetto, “Le stanze di Mogador”, VerdeNero, Milano 2009.

Gianfranco Franchi, luglio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.