Linguaggio e libertà

Linguaggio e libertà Book Cover Linguaggio e libertà
Noam Chomsky
Net
2002
9788851520458

Chomsky non vuole appartenere a nessuna tradizione. A nessun partito. A nessuna ideologia. Né liberal, né conservatore, né socialista: libero intellettuale. Simpatizza per i pensatori anarchici, inevitabilmente. Combatte gli ingiustificati privilegi dell’amministrazione statunitense, e – scrive bene Peck – l’irresponsabilità della sua potenza; analizza le responsabilità degli States, senza demonizzare la loro condotta; ammonisce a non allinearsi ai nemici ideologici, assassini di diversa qualità, della libertà e dei cittadini: Cina, Cuba. Perché sia il bolscevismo che il liberismo aggrediscono “qualsiasi processo periferico, autorganizzato, volto a cambiamenti sociali radicali”. Hanno, in altre parole, carattere elitista. Chomsky è naturalmente dalla parte dei perdenti (p. 44): sempre. E si oppone agli intellettuali di regime, come ogni intellettuale anarchico, dimostrando quanto siano strumenti della propaganda della Nazione. Esempio classico, i leninisti. Ecco che in patria, esattamente come nel fu blocco sovietico, non viene recensito (il libro è del 1987…) e discusso dalle maggiori riviste scientifiche (p. 49), a differenza di quanto accade in Inghilterra, Canada, Oceania. È nelle cose. Una voce che non serve interessi e padroni non ha peso: ha senso. Ma deve vivere di canali altri, di circuiti altri di confronto e dialettica e sensibilizzazione del pubblico.

La realtà” – scrive James Peck nella prefazione – “può essere odiosa quanto si vuole, ma con l’evaderla non s’afferma certo la dignità dell’uomo. Al contrario, questa dignità consiste proprio nel vedere la realtà com’è e nel reagire ad essa in modo responsabile”. Allineiamoci, e avanziamo. Tenendo presente che lo spirito dell’opera è ben sintetizzato dal passo che segue:

Ricchezza e potere tendono ad accumularsi in coloro che sono astuti, privi di scrupoli, avidi, privi di comprensione e di compassione, naturalmente servili verso l’autorità e pronti ad abbandonare i principi morali per i guadagni materiali” (N.C.).

L’opera è strutturata in tre parti: un’intervista di James Peck a Noam Chomsky; due raccolte di tre articoli, “La responsabilità degli intellettuali” e “Interpretando il mondo”. Nell’intervista, N.C. parla delle sue origini famigliari (figlio di democratici rooseveltiani, ebrei e sionisti) e di cosa significhi essere cresciuto durante la Grande Depressione; della relativa influenza esercitata sul suo pensiero dalle opere letterarie di fiction; del marxismo nel Terzo Mondo, dell’invasione del Vietnam. Racconta della sua formazione scolastica, e dell’istruzione negli USA; delle prime posizioni politiche (marxiste antileniniste); degli studi linguistico-filosofici, dell’avventura nel kibbutz (ne apprezzava lo spirito autarchico, detestava il controllo statale), dei rapporti tra CIA e università (Harvard esclusa).

Nella prima raccolta di articoli, s’evidenziano: in “La responsabilità degli intellettuali” (1966) la dipendenza e la derivazione dalle osservazioni pubblicate da Dwight Macdonald su Politics, vent’anni prima; l’intellettuale si domandava quanto i popoli angloamericani fossero responsabili degli atroci bombardamenti della Seconda Guerra (Dresda, Zara, Hiroshima), ricordando che quei pochi privilegiati – gli intellettuali – in grado di demistificare la realtà e le propagande dei regimi avevano una responsabilità maggiore. Nostro dovere è “dire la verità e smascherare la menzogna” (p. 104): punto. Si discute della propaganda nazista, americana (questione vietnamita), cinese; di demistifica la fame di democrazia statunitense nel mondo, chiarendo che essa implica libero accesso economico alle loro risorse e relativo controllo politico; la conclusione è terribilmente attuale, ed emblematica. Meditiamo:

La domanda ‘Che cosa ho fatto, io’? dovremmo rivolgerla a noi stessi quando leggiamo, ogni giorno, di nuove atrocità commesse in Vietnam, noi che creiamo, comunichiamo o semplicemente tolleriamo gli inganni che saranno usati per giustificare il prossimo ‘intervento in difesa della libertà’”. (p. 136)

Non vale solo per i cittadini americani. Vale anche per noi cittadini italiani, costretti dai nostri governi vassalli ad assecondare ogni strategia di politica estera americana, anche la più scopertamente criminosa e imperialista.

In “Obiettività e cultura liberale” (1968) si parla della limpida opposizione di Bakunin ai criminosi progetti statalisti marxisti; del pericolo dell’elitarismo degli intellettuali, in primis nei regimi bolscevichi; dell’antitesi tra anarchia e socialismo bolscevico; del franchismo, e dell’intervento sovietico nei fatti di Spagna; della Catalogna cara ad Orwell (e non solo). Ne “La fabbrica del consenso” (1984; il concetto deriva dagli studi di Walter Lippmann, negli anni Venti), si parla del massacro dei nativi americani (80 milioni circa, secondo le stime più prudenti: sopravvissuti, 200mila): un genocidio senza precedenti celebrato dagli yankee assassini durante il Columbus Day. Come niente fosse. Quindi, di chi seguì ai nativi (messicani, filippini, vietnamiti, nicaraguesi e via dicendo) nella politica americana; e del placido consenso della popolazione, semper, e della scarsa differenza tra “propaganda” e “istruzione” o “formazione”. Ancora: di quando Wilson spedì truppe a invadere Haiti e la Repubblica Dominicana, dove ripristinò la schiavitù, distrusse villaggi, sterminò la popolazione; del rischio grottesco dell’infamia delle infamie, ossia “la religione dello Stato”. Come s’ottiene? Tramite l’arte raffinata della fabbrica del consenso, rivoluzionaria nella pratica della democrazia. La propaganda rappresenta per la democrazia ciò che la violenza costituisce per il totalitarismo. Secondo NC, siamo sottoposti a un sistema di lavaggio del cervello sotto l’egida d’una sedicente libertà.

Passiamo al secondo blocco di articoli. In “Linguaggio e libertà” (1970), saggio eponimo dell’edizione italiana, si medita sul legame tra questi due poli; per reminiscenza schellinghiana (“Il principio e il fine di tutta la filosofia si chiama Libertà”), si denunciano le repressioni allora in atto nell’URSS e negli USA; per reminiscenza di Rousseau (“Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini”: 1755), si contesta la legittimità delle istituzioni sociali, della proprietà privata, della congiura delle oligarchie dei rocchi. Si discute dello Stato come responsabile di una sola cosa: la sicurezza dei cittadini, sulla scia di Humboldt; della necessità, tuttavia, di considerare lo Stato necessario per salvaguardare l’ambiente fisico. In “Psicologia e ideologia” (1972), si discute di antropologia e razzismo; di genetica, e dei limiti del behaviorismo, con una progressiva confutazione delle teorie di Skinner; in “Eguaglianza” (1976) si medita sull’uguaglianza dei diritti, delle condizioni e delle doti naturali; cioè sulla natura del genere umano. Quindi, sul ruolo dello Stato in una società caratterizzata dal dogma della proprietà privata; del socialismo, e del suo rapporto con l’eguaglianza delle condizioni dei cittadini (scarso). Infine, si ricordano le uniche virtù essenziali: onestà e sincerità, responsabilità e sollecitudine. Tutto il resto dovrebbe discenderne.

L’instabilità del sistema è dovuta alla sua dipendenza dalla menzogna. Ogni sistema fondato sulla menzogna e sull’inganno è intrinsecamente instabile. D’altra parte, il sistema ha dalla sua un’enorme elasticità, una straordinaria capacità di assorbire i colpi, nonché scarse resistenze da vincere, limitate e sufficientemente emarginate perché l’impatto della propaganda ufficiale resti potente e ubiquitario.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Noam Chomsky (Philadelphia, USA, 1928), intellettuale, filosofo e linguista americano.

Noam Chomsky, “Linguaggio e libertà”, Marco Tropea, Milano 1998. Collana Net, 37. Traduzione di Cesare Salmaggi. Prefazione di James Peck. Contiene un notevole apparato di Note e un Indice analitico.

Prima edizione: “The Chomsky Reader”, 1987.

Gianfranco Franchi, agosto 2008.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Dedicata a chi non si vende. La libertà non ha prezzo.