Castelvecchi
2009
9788876152962
“La mappa della nostra vita è piegata in modo tale che noi non la vediamo attraversata da un'unica grande strada, ma, mano a mano che l'apriamo, da una piccola strada ogni volta diversa. Crediamo di scegliere e non abbiamo scelta” (p. 21).
Opera prima di JC, “La spaccata” (“Le grand écart”, 1923), scritto prodromico del più riuscito e drammatico “I ragazzi terribili”, veniva considerata da Cocteau una lettura della solitudine estranea agli artifici, completamente nuda (p. 7); eppure, paradosso ma non troppo, rimane fondamentalmente una vicenda d'amore e di formazione psichica (non estetica). Il romanzo, sinora estraneo al pubblico italiano, appare nel giugno 2009, nella traduzione di Bergamasco, nella collana di narrativa Castelvecchi.
Jacques Forestier, il protagonista, è un ragazzo parigino che piange con facilità, senza che nessuno se ne accorga. Ammira la bellezza, al di là dei sessi; meno essa è gentile, più ne viene scosso. È magro e nervoso: è stato ammalato per anni, da ragazzino, consumandosi “come la carta d'Armenia”: allora bruciava rapidamente, senza nessun odore (p. 15). Detesta sia la massa che l'aristocrazia. Si ritrova a vivere a pensione presso uno dei suoi professori, Berlin. Si innamora di una ragazza, Germaine. E capisce qualcosa, qualcosa di nuovo. “Non voleva essere Germaine. Voleva possederla. Per la prima volta il suo desiderio non si manifestava sotto forma di malessere. Per la prima volta non odiava la propria immagine. Si credeva guarito” (p. 40). E ciò avviene perché il desiderio della bellezza ci uccide, quando è vago, spiega JC.
Ma Germaine è una che ama sempre come fosse la prima volta, mentre Jacques ama se stesso, i viaggi e troppe cose insieme al contempo, nella sua donna (p. 49). Lei ama l'amore, lui ama il suo riflesso. Pian piano, entra così in simbiosi con lei (o con l'idea di sé stesso che in lei legge...) che non riesce più a giudicare nulla: “Ora è la sua metà oscura che, come una seppia, sputa nuvole d'inchiostro sulla metà chiara. Dopo averlo aiutato, lo acceca, piano piano” (p. 90). E lei, quando entrano in crisi, misura il suo amore col metro degli amori trascorsi (p. 108). Qualcosa s'è corrotto, sta per spezzarsi.
Germaine, attrice di rivista, amica (anche troppo) di amici (Louise), ha una bellezza che sta “in equilibrio sulla bruttezza come un acrobata sulla morte” (p. 31), racconta Cocteau con un'immagine abbastanza stravagante. È mantenuta, e come per tutte le mantenute il teatro è una tassa da pagare e il palcoscenico “un vaccino” (p. 35). Un amorazzo nuovo sarà un diversivo: un intervallo. Da vivere con intensità, consapevole che sarà un'altra esperienza da accumulare, qualche pagina nuova in un enorme album di fotografie. Il distacco sarà grottesco. Significati e tecniche del distacco li lascio scoprire alle lettrici e ai lettori. Il risultato è abbastanza ingenuo, ma non del tutto prevedibile. In ogni caso, è decisamente ben scritto, e divertente.
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Tra i comprimari di lusso dell'opera, Petitcopain, studente giovanissimo “dai lineamenti sfuggenti ma incantevoli”; amava un saltatore in lungo inglese, Stopwell (quanti nomi parlanti...), “stirato come una fotografia un po' mossa” (p. 24) dall'atletica. Si ritrova ammalato di sifilide, per aver cercato sfogo e consolazione nelle donne e non nell'amichetto, e non riesce a conquistare il suo vero obbiettivo.
Su tutti e su tutto, domina Parigi: nella capitale, l'arte, “specialmente la peggiore, è uno smacchiatore magico. Non elimina le macchie, le mette in risalto. Così, una cattiva reputazione, portata alla ribalta, diviene redditizia quanto una buona. Richiede le stesse attenzioni” (p. 35). Viviamo una Parigi accogliente e mai scontrosa, tollerante e ruffiana; consapevole delle proprie contraddizioni e tutt'altro che intenzionata a risolverle.
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Come in ogni opera prima, è appassionante studiare debolezze e punti di forza diversamente riconoscibili nella produzione successiva; Cocteau mostra una certa sensibilità nei confronti dei dialoghi, diciamo wildiana ma con una negligenza snob tutta francese e una trasandatezza molto borghese, e una viva capacità di tratteggiare personalità e personaggi in poche battute – come se i suoi personaggi fossero acquarelli. Qua e là, si aprono scorci di grande intelligenza e letterarietà, parlando d'altro: come del sonno. Così: “Il sonno ha il suo universo, la sua geografia, la sua geometria, il suo calendario. Capita che a volte ci trasporti in ere antidiluviane. Allora ritroviamo una scienza del mare misteriosa. Nuotiamo e crediamo di volare senza fatica” (p. 91).
O come del cancan: “Questa danza coinvolge il parigino come la corrida lo spagnolo. Termina con la spaccata, un ritratto di gruppo su foglio trasparente, in cui, rompendo il suo busto da statuina di cerca, la vecchia mocciosa che è la Torre Eiffel sorride, tagliata in due fino al cuore” (p. 96).
“La spaccata”, “ècart”, è anche il gap, il divario da colmare per conquistare qualcosa che potrebbe assomigliare molto non dico alla maturità ma a una personalità più netta e riconoscibile; come in ogni buon romanzo di formazione, non senza dolore, si raggiunge un equilibrio nuovo, infine, al di là degli amori, dei suicidi giocati come una scommessa, con leggerezza infantile, e al di là dei tradimenti e delle bassezze.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Jean Cocteau (Maisons-Laffitte, 1889 – Milly-la-Forêt, 1963), poeta, sceneggiatore, regista cinematografico e teatrale, disegnatore, attore, narratore, autore di drammi e balletti, pittore francese.
Jean Cocteau, “La spaccata”, Castelvecchi, Roma 2009. Collana “Narrativa”, 18. Traduzione di Francesco Bergamasco. Illustrazioni originali dell'autore.
Prima edizione: “Le grand écart”, 1923. Ultima edizione FR: Stock.
Gianfranco Franchi, luglio 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.