ISBN Edizioni
2010
9788876381942
“Forse in questo ero diverso dai miei coetanei: ché provavo scarso desiderio di conoscere molta gente, di passare l'estate nei luoghi consacrati dalla fama come propizi a ogni genere di fortuna per i giovani. Non era per timidezza né per orgoglio che io volevo esser solo; la rustica solitudine della campagna era il bene più grande che avevamo provato nella nostra famiglia. Nessuno di noi avrebbe voluto rinunciarvi; e io specialmente non potevo paragonare nessun luogo al querceto della strada, alle clementi montagne che circondano il mio paese, alla varietà di colori che letificano i colli. Partii per il mio paese a metà del luglio [...]” (Bigiaretti, “Esterina”, capitolo quinto, p. 41).
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Libero Spartaco Ribelle Bigiaretti [1908-1993], letterato marchigiano dai nomi anarcosocialisti e dalla scrittura piana e democratica, esordì in narrativa pubblicando questo romanzo nel 1942. L'opera, scritta circa due anni prima, avrebbe dovuto uscire – apprendiamo nell'elegante nota biografica ISBN – da Bompiani, “se Valentino in quel periodo non fosse stato richiamato. E io non potevo, o meglio non seppi aspettare il suo ritorno”. E così “Esterina” apparve, in tempo di guerra, nella collana di volumi complementare al periodico “Lettere d'oggi” di Giambattista Vicari (cfr. p. 161), col quale l'artista collaborava.
Il professor Eugenio Ragni, nella postfazione alla nuova edizione del romanzo, giudica il testo “non soltanto il felice debutto di una voce nuova, ma, letto in prospettiva di tempo, uno dei romanzi più significativi della nostra narrativa novecentesca”. Le ragioni sono presto spiegate: “Stupisce ancora oggi, infatti, che il racconto di una relazione di coppia sia condotto con una lucidità d'analisi introspettiva e una compattezza stilistica insospettabili in un autore sostanzialmente autodidatta, il cui curriculum letterario era limitato a due volumetti di liriche e a un certo numero di brevi prose d'arte pubblicate su riviste e quotidiani [...]” (p. 139).
Personalmente ritengo si sia di fronte a un buon romanzo esistenzialista, di sentimentalismo morboso e di granitica ricerca d'un senso che sappia mitigare la sofferenza per un dolore irremovibile. Tecnicamente, Bigiaretti poggia su una lingua letteraria dignitosa, episodicamente ferita da qualche ricamo giovanile, da qualche ricerca d'effetto che lascia il tempo che trova, e a volte irrita un po'. È senza dubbio un buon debutto, d'un narratore che non sembra mai stato capace d'andare al di là di questo mediano livello: qualche anno fa, tornando ad analizzare e interiorizzare il suo “La controfigura” (1968), avevo sofferto per qualche caduta borghesotta, per la deriva rosa, per la ricerca coatta dello scandalo. “Esterina” torna a rappresentarci, con discreto risultato, la capacità autoriale di rappresentare contrasti e contraddizioni d'una relazione di coppia, e patologie antiche come l'idealismo. È un bel feticcio per collezionisti e per lettori forti. Poco più di questo, nel 2010.
La prima cosa che appare, di Esterina, è lo sguardo. Il cortocircuito comincia allora. Libero riesce a distogliere per primo lo sguardo: ma non capisce che colore abbiano i suoi occhi. E subito commenta, sprofondandoci nell'essenza della sua storia: “Ancora oggi non saprei dire con precisione che colore avessero quegli occhi; e li ho tanto a lungo guardati, ed ho creduto per tanto tempo che dal loro lampo partisse la luce che avrebbe dato il colore più proprio alla mia vita. Chiari occhi, erano, di pupilla forse più verde che azzurra; calmi si posavano sugli oggetti e sulle persone con un senso preciso di possesso; e alteri appunto come quelli di un padrone” (p. 18). Impressionante, vero? Sembra completamente sbilanciato. Sembrano le parole d'uno schiavo, non d'un corteggiatore. E non a caso, allora, Bigiaretti s'accorge subito – e i due sono ragazzi – che in quello sguardo c'è qualcosa di maturo e di “un poco freddo”. Lo sguardo rimane fondamentale, nella prima metà del libro. Si rivelerà, nel tempo, “imperioso e freddo”, e poi “più limpido e umano”, quando Esterina comincia a dare segnali d'avvicinamento.
Più avanti, Bigiaretti descrive la “ricercata eleganza dei suoi vestiti”, osservando come e quanto essa s'addica alla sua amata. E di lì a poco, l'artista canta la “grazia del suo passo”, per via della sublime leggerezza con cui schiva i ciottoli e le buche d'un viottolo. L'amore si nutre di cose da niente, e ne fa meraviglia – questo è un segreto che i poeti alle prime armi conoscono bene.
Esterina incarna il futuro di libertà e perfezione dell'artista da adulto: la prima scelta di vita vera, quella radicale e fantastica che può determinare la formazione d'un'identità solare, autonoma. Libero scopre d'amarla e presto sogna di sposarla, maturando un senso improvviso d'estraneità alla famiglia (al passato). E decide – perché di decisione si tratta – che nonostante sia stato, per anni, innamorato dell'amore, e facile all'amore, all'amore di tante donne, che lei è “il mio amore necessario” (p. 58). Si sposano un anno più tardi. Il matto sembra lui, che ha inventato la loro predestinazione al futuro.
Passano i primi anni di matrimonio, e le prime difficoltà sono legate all'apparizione della malinconia di lei, e al progressivo deterioramento delle infantili illusioni di Libero, e allo scarso equilibrio della coppia. Vivere assieme alla donna idolatrata, venerata come una dea, non basta a disintegrare le proprie inquietudini (ma va?). Come se non bastasse, non arrivano figli. Il distacco aumenta, giorno dopo giorno. Il romanzo diventa, man mano, una radiografia delle cause e degli effetti di questo distacco – ma il narratore, in prima persona, coincide con il protagonista: non esiste nessun approfondimento credibile delle ragioni del malessere e della depressione di Esterina. Giusto puntualizzarlo. Nel corso di questa morbosa radiografia si passa per il tradimento, per il rancore (che diventa “abitudine di vita”, p. 86), per la depressione. Si sprofonda infine nell'autodistruzione. Esterina s'ammazza. Suo marito combatte per accettare l'accaduto, e per smentire ciò che ha fatto e ciò che è stato. Un uomo che prendeva, tradiva, mentiva e non sapeva ammetterlo. L'amore diroccato di questo romanzo è così ottocentesco, e sicuramente piccolo borghese.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Libero Bigiaretti (Matelica, Macerata 1908 – Roma, 1993), poeta, scrittore e critico letterario italiano. Fondamentalmente autodidatta, esordì pubblicando le raccolte di versi “Ore e stagioni” (1936) e “Care ombre” (1939) e il romanzo “Esterina” nel 1942. Fondò il Sindacato Nazionale Scrittori, con Alvaro e Jovine, nel 1946. Tradusse opere di Flaubert, Maupassant, Becque, Gide e Giraudoux.
Libero Bigiaretti, “Esterina”, ISBN, Milano 2010. Con uno scritto di Eugenio Ragni. In appendice, nota biografica. Collana “Novecento Italiano”, 10.
Prima edizione: “Esterina”, 1942.
Gianfranco Franchi, settembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.