Elliot Edizioni
2009
9788861920989
Ho mai letto qualcosa del genere?, mi sono domandato, dopo un centinaio di pagine, sgranando gli occhi. La risposta, scontata, è no. Assolutamente, mai. Non in lingua italiana, almeno. Perché? Perché l'opera prima di Angela Bubba, esordiente calabrese classe 1989, poggia su una lingua italiana inesistente: “La casa” è un festival di invenzioni (assolute), regionalismi, dialettismi, libertà di ogni ordine e grado. Al termine del romanzo non ci si stupisce leggendo che la prima destinataria di una dedica è la fantasia: ti credo, più fantastico di un romanzo scritto in una lingua nuova non c'è nulla.
Qualche cenno alla trama: siamo a Petronà, in Calabria, “groppo di pietre tra la Calabria e le nuvole”. Protagonista è una famiglia, la famiglia Manfredi: il padre Anselmo, la madre Lia, le quattro figlie femmine e l'unico maschietto, Benio. Le loro vicende sono quelle di ogni clan: morti, incomprensioni, adorazioni, fraintendimenti, dolcezza. A essere onesto, io sono andato in tilt per la lingua e mi sono perso quasi tutti i nodi fondamentali della trama (c'era una trama?): a un tratto non me n'è più importato niente. Ogni qualche riga sbarellavo e andavo in cerca di senso e di significati. E così m'è sembrato di avere di fronte un favoloso giocattolo, e ho giocato. Già alla sesta riga ho incontrato dei “guizzi al singhiozzo”, e ho pensato: pericoloso giocare con l'allitterazione, ma divertente. Sarà una licenza, speriamo non succeda più. E così quando m'è apparso il verbo “bordellare”, per “fare casino”: mi son detto, divertente. Ma quando ho letto che Pietro, alcolista, “metteva solo broglie” (p. 24), ho pensato: eh? Mi sentivo come “un'amarena sdillattata nell'acqua” (p. 25), troppe stranezze “ci rocambolavano addosso” (p. 25), e intorno due ragazzi abbracciati “passiavano” nella piazza (p. 27): intanto per uscire di casa c'è chi “rocambolò” (p. 17), come un pallone (o una stranezza). Che succede, ho chiesto alla mia compagna che mi guardava con sospetto, adesso “stai incialata?” (p. 56). Ma lei non “aliò” (p. 50) niente. Laddove “aliò” sembrerebbe un incrocio tra “alitò” e il latino “ait”, ma non posso esserne certo.
Una “zacheca” mi pari (p. 53), “uguale uguale” (per la geminazione dell'aggettivo, cfr. più avanti). “Zacheca”? Non capisco e rimango brutto e “spaturnato”. Spaturnato? Altrove, appare “imbrilloccato”: si riferisce a un piatto. Un piatto contro cui “scapicollarsi” (p. 72). E che dire delle bianche mani che “annacano” un incensiere? (p. 273) E di un “verbo” con cui arringa Lia, un verbo “sempre più rimbrencioloso”, cosa dirvi? (p. 287). Lei sta tutta “divacata” nel camino (p. 287). Altrove: le figlie, quelle “discioperate”, gliele avevano pure “scasate” (p. 49). Diciamo che in questo caso con un po' di fantasia e di “s” privativo...
Ma io vado avanti. In questo libro, in cui “donna” e “casa” sono idee (cfr. incipit, pp. 11 e 12), il linguaggio è un'idea. E non importa che non sia condivisa con nessuno: è un'idea dell'autrice avallata da chi l'ha scelta, lasciandola andare a briglie sciolte. Ecco quindi che si sta in un angolo “sguaiati e immusoniti” (p. 74), che si direbbero aggettivi in contrasto; e infatti più avanti appare un “codazzo sguaiato” (p. 100) (delle figlie emigrate) che pare suggerire qualcosa di diverso. Che ne dite di una persona viva che spira? Spira, ma non muore; “spirò quella, due dita sul vetro” (p. 54), sta per “respirò”. Non vi stupirà quindi che un portone, a forza di essere preso a calci e spallate, finisca “quasi” “sdoganato” (p. 25). Andiamo a “mietere frastorni” (p. 83), e ancora l'allitterazione tradisce l'autrice; stiamo vivendo tra “giostre di buone parolerie” (p. 23). Qualcuno va in bagno, intanto, e ne esce coi capelli “sierosi di brillantina” (p. 22). Poteva andargli peggio: potevano essere “spadronati” (p. 17). Sarà colpa della “schiuma per barba”: è il momento di “divacare” un bacile (p. 17). Qualcuno, intanta, s'affaccia da un muro e “spulica timido” (p. 18). Spulica? Spulica. “Avrebbe perito” (p. 18): avrebbe. È il caso di dire che “la testa funambola per ogni banda” (p. 29), “sfrigolando le parole” (p. 89). E poi, alternati a questi strani suoni e a queste ancor più strane parole, sospetto spesso del tutto inedite nel mondo, ecco la geminazione degli aggettivi più semplici: “pallido pallido” (p. 15, p. 145); “scontroso scontroso” (p. 16); “sudato sudato” (p. 27); “uguali uguali” (p. 85), “immense, immense” (p. 84), “torno torno” (p. 107: “glielo avrebbero sbatacchiato torno torno le vitelle”); e via dicendo. Alternativa: la virgola in mezzo. Ecco “bella, bella” o “allora, allora” e così via. Perché? Non so.
Ogni tanto il gerundio sembra abbandonato a sé stesso. Faccio un esempio: “La Lia abbozzò sui labbri una mossa stomacata, come quelle che certe volte si cuciono addosso i mici, specie se non li si carezza, e standosene così sguaiati e immusoniti” (p. 74). E cioè? Standosene così sguaiati e immusoniti... e allora? Niente, punto. Neo-lingua.
Altre segnalazioni preziose, senza pretesa di esaustività, si intende: il romanzo d'esordio della Bubba poggia su oltre 350 pagine, lo spazio qui è ridotto. Vediamo un po': ecco un esempio di descrizione lirica ma stravagante:
“La Lia le scrutava il labbro grinzoso, quello superiore, che si stringeva in dei solchi, come delle baie di sole bianco e morbido. Stava applicato all'orlo dorato della sua tazzina, quella del servizio da corredo, e s'adoperava con sincerità ad aprirsi” (p. 84). Si parla, immagino, del labbro.
Altrove: “Arrivò a non vedere nulla davvero; e quando, rientrato in cucina, capelli e baffi tutti scarruffati, il corpo sbrigliato d'ogni senso, ebbene quando vi entrò e scrutò sospettoso una zuppiera colma di carne giaciere sul tavolo, ebbene, s'indiavolò come mai” (p. 93).
E non stiamo mica a “sbrindellare un poco il tempo” (p. 99): non mostratemi quel vostro “riserbo stopposo” (p. 101). Bene, io mi fermo qua. Per quanto mi riguarda è un esordio straordinario in senso etimologico: qui la realtà, la logica, la razionalità e la lingua italiana sono sparite nel nulla, divorate da un buco nero che mi ha distrutto. E affascinato, si intende: non mi capitava da quando avevo 14 anni di dover consultare così tanto spesso il dizionario. Diciamo che dopo un po' mi sono arreso, capendo che il funzionario (chiamiamolo così, è più fico) non mi serviva a niente: quelle parole non stroppiavano. Capito? Non c'erano. Niente.
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Veniamo adesso a una breve intervista a Massimiliano Governi, editor del libro, anima della collana “Heroes” di Elliot. Come hai scoperto il romanzo della Bubba? Cos’è che ti ha convinto a pubblicarlo in “Heroes”?
MG: “Mi è arrivato via ufficio stampa. L'autrice era stata già premiata al Campiello e al Calvino; era una delle varie finaliste, ma tra tutte è stata l’unica che mi ha, onestamente, colpito. A partire da un suo racconto è nato, nei mesi, questo romanzo. Mi ha colpito perché era antimodernista. Il suo è un italiano talmente personale che sembra inventato: una commistione atipica e strana di dialetto, lingua letteraria e italiano regionale. Per questo sento di poterla assimilare – con grande cautela – a Verga; per altri aspetti alla Ginzburg del Lessico famigliare”.
GF: “Nei ringraziamenti l’autrice si rivolge subito alla fantasia...”
MG: “Devo dire che è stato l’editing in cui mi sono morso proprio le dita, prima di intervenire. Di solito sono interventista, ma in questo caso sentivo che l'autrice aveva bisogna di un maggiore rispetto e di una maggiore libertà. Così è stato”.
GF: “Nell'economia della tua collana, cosa significa la pubblicazione del romanzo della Bubba?”
MG: “Questo per me era l’ideale primo libro della collana: soltanto, all’epoca non era pronto. Mi sarebbe piaciuto fosse stato il primo perché c’è un tasso alto di letterarietà, e di rischio. Come se non bastasse, protagonista è un territorio poco popolare in Letteratura come la Calabria... Ma so già che pochi sapranno entrarci dentro e capire il senso profondo del romanzo. Qualche critico ha già detto che succede poco nella storia. Ma i critici, si sa, non hanno tempo. Certi scrittori bisogna solo sedersi e ascoltarli, cancellando ogni fretta”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Angela Bubba (Catanzaro, 1989), scrittrice italiana. “La casa” è il suo primo romanzo.
Angela Bubba, “La casa”, Elliot, Roma 2009.
Gianfranco Franchi, settembre 2009. Prima pubblicazione: Lankelot.